L'abuso del diritto retroattivo

secondo la recentissima, contestata ed opinabile sentenza di Cassazione, l’abuso del diritto a seguito di operazione elusiva sussiste anche se il divieto all’operazione è entrato in vigore successivamente!

L’abuso del diritto a seguito di operazione elusiva sussiste anche se il divieto all’operazione è entrato in vigore successivamente. La Suprema Corte con la sentenza n. 22193 depositata il 16 febbraio 2012 ha affermato che anche in ambito tributario vige il generale principio antielusivo in forza del quale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale. E’ quindi elusione avvalersi delle detrazioni sugli interessi passivi del mutuo contratto dal socio per finanziare l’azienda.

 

Abuso del diritto: nozione

L’abuso del diritto in campo civile si evidenzia come uso improprio di un diritto soggettivo attribuito dall’ordinamento giuridico a un suo membro; il diritto soggettivo è esercitato con modalità formalmente corrette, sebbene non corrispondenti alla ratio normativa. All’impossibilità di ricondurre l’atto di esercizio di un diritto soggettivo alla norma che lo ha attribuito, ne consegue naturalmente il suo disconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico, per il quale il diritto non risulta concretamente esercitato. L’abuso del diritto tributario si manifesta invece come aggiramento di una norma fiscale sfavorevole, al fine di ottenere l’applicazione di una disposizione agevolativa, attraverso l’utilizzo di strumenti giuridici contemplati e disciplinati da altra e diversa norma. Nelle ipotesi di abuso del diritto tributario, l’atto non risulta abusivo in relazione alla norma che lo disciplina, ma in relazione ad un’altra che lo contempla a fini fiscali. L’inefficacia relativa dell’atto non può, dunque, essere ricondotta al suo disconoscimento da parte del sistema giuridico, per il quale quell’atto risulta concretamente e validamente esercita.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che in ambito tributario il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che impedisce al contribuente di conseguire vantaggi fiscali mediante l’uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere u’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni apprezzabili dal punto di vista economico che possano giustificare l’operazione (Cass. 20 maggio 2011, n, 11236). Tale principio è applicabile a tutti i settori dell’ordinamento tributario, anche ai tributi non armonizzati nonché a quello delle imposte dirette, a prescindere dalla natura fittizia o fraudolenta dell’operazione posta in essere ed incombe sul contribuente l’onere della prova sull’esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti (Cass 23 dicembre 2008, n. 30055; 4 aprile 2008, n.8772)1.

Sul tema in esame una recente sentenza della Cassazione ha evidenziato che l’elusione fiscale assurge anche a reato se il contribuente ha violato le specifiche norme antielusive contenute nell’art. 37-bis del Dpr n. 600/73, emergendo che la “sanzione penale” potrebbe scattare allorché siano violate specifiche norme di legge. E’ stato affermato che “non qualunque condotta elusiva ai fini fiscali può assumere rilevanza penale ma solo quella che corrisponde ad una specifica ipotesi di elusione espressamente prevista dalla legge” (sent., 28 febbraio 2012, n. 7739 – processo a carico degli stilisti Dolce&Gabbana).

 

Il caso

Una società del nord ha impugnato alcuni avvisi di accertamento con cui l’ufficio finanziario aveva ripreso a tassazione dei costi ritenuti non di competenza per gli anni 1999-2000. I giudici tributari di primo e secondo grado hanno respinto il ricorso, ritenendo che sussistesse l’elusione fiscale nel riconoscimento, da parte della società, di parte degli interessi passivi in favore di alcuni soci, a fronte del finanziamento dagli stessi ricevuto come garanzia del mutuo ottenuto da un gruppo di banche. La società ha proposto ricorso in cassazione eccependo che la disciplina elusiva di cui all’art. 37-bis del Dpr. n. 600/73 non fosse applicabile al caso concreto in quanto il finaziamento e il riconoscimento degli interessi erano avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge. La SC ha affermato che non è rilevante che la condotta elusiva posta in essere non fosse vietata da una norma in vigore all’epoca del fatto e che questo non esclude il potere dell’amministrazione finanziaria di contestare la deducibilità delle componenti passive esposte dal contribuente, ritenendole inopponibili alla luce del generale principio antielusivo.

Tale principio antielusivo non è presente in norme specifiche ma è contenuto nei più noti principi generali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione sanciti all’art. 53 Cost. Del resto sul tema in esame vige un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che possano giustificare l’operazione. Il fatto che nell’ordinamento non vi siano specifiche norme antieleusive non contrasta con l’individuazione nello stesso di un principio antielusivo ma anzi conferma l’esistenza di una regola generale in questo senso; viceversa l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria di una certa operazione mediante norme emesse dopo il compimento della stessa, offre una indiretta conferma dell’illiceità fiscale dell’operazione.

Nel caso di specie è risultato antielusivo avvalersi delle detrazioni sugli interessi passivi del muto del socio preso all’estero per finanziare la società, essendo emersa la antieconomicità del tasso di interesse riconosciuto al socio relativamente al differenziale dello spread rinegoziato dai compratori.

 

5 marzo 2012

Enzo Di Giacomo

1 Contra cfr. Cass 12 maggio 2011, n. 10383: non rappresenta abuso del diritto acquistare materie prime presso uno stabilimento industriale.