Il trattamento IVA del distacco del personale

Gli orientamenti della Cassazione sul corretto trattamento ai fini IVA sul prestito di dipendenti: la definizione dell’esatta base imponibile su cui calcolare l’imposta.

A poco più di un anno e mezzo, la Corte di Cassazione rivede nuovamente il proprio orientamento in materia di imposizione IVA sul prestito di dipendenti, assumendo questa volta una posizione certamente conforme all’avviso generalmente invalso secondo cui, ove il compenso pattuito per il distacco di personale non corrisponda, in più o in meno, al mero rimborso del costo, l’addebito del prestatore dovesse formare, per intero, oggetto di imposizione IVA.

Infatti, la recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Unite, n. 23021 del 7 dicembre 2011 ha ribaltato l’avviso espresso lo scorso anno con la sentenza n. 19129 del 7 settembre 2010 della Sez. tributaria, in base alla quale la Corte ebbe ad affermare che l’esclusione da IVA sussisteva sino a concorrenza del costo del personale distaccato e che bensì rimaneva attratta nell’ambito impositivo l’eventuale sola eccedenza.

A tale proposito va preliminarmente evidenziato che con il termine “distacco” deve intendersi la messa a disposizione provvisoria di un lavoratore a favore di altro imprenditore, con conservazione dell’originario rapporto di lavoro.

In altri termini, non si verifica l’interruzione o la sospensione del rapporto di lavoro, ma il semplice svolgimento, in via temporanea, della prestazione a vantaggio di un soggetto diverso dal datore di lavoro.

Il distacco, dunque, consiste in una modificazione delle modalità di svolgimento della prestazione del lavoratore che, sulla base della decisione datoriale, svolge la propria opera a favore di un terzo soggetto (stabilito dal datore di lavoro), senza che, per questo, si produca effetto novativo, ovvero che il precedente rapporto sia estinto e che ne sorga uno nuovo.

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, affinché il distacco sia legittimo devono ricorrere i seguiti requisiti:

  1. temporaneità del distacco o comando (cfr. Cass. 15 giugno 1992, n. 7328);

  2. interesse del datore di lavoro distaccante alla prestazione lavorativa in favore del destinatario (anche se dello stesso gruppo societario) (cfr. Cass. 3 giugno 2000, n. 7450).

 

Gli aspetti IVA del rapporto di distacco

Per quanto concerne il trattamento IVA dei compensi derivanti dal distacco di personale, va tenuto presente che, in base a quanto stabilito dall’art.8, comma 35, della legge 67/88, «non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo».

In concreto, perché il rimborso del costo del personale sia escluso dalla sfera di applicazione dell’IVA devono ricorrere due condizioni:

  1. deve essere rimborsato il mero costo del dipendente;
  2. l’onere deve riferirsi alle sole voci retributive e previdenziali e non ad altre voci di spesa che – pur collegate al personale dipendente – non hanno natura retributiva o previdenziale.

In relazione al primo aspetto, vale a dire quello dell’ammontare da escludere dall’applicazione dell’IVA, va segnalato che, stante quanto sino ad ora invalso in ambito interpretativo, nel caso del distacco di personale, si riteneva che non operasse la regola – valevole invece per le prestazioni di lavoro interinale1 – secondo cui, ove l’ammontare del compenso spettante al prestatore eccedesse il costo del personale dipendente, l’IVA andasse applicata soltanto sulla differenza.

Come noto, infatti, nello schema negoziale del lavoro interinale, l’impresa fornitrice di lavoro iscritta ad apposito albo pone uno o più lavoratori, da essa assunti a tempo determinato, a disposizione di un’impresa utilizzatrice e percepisce un compenso comprensivo non solo del rimborso del costo del personale, ma anche del ricarico spettante all’impresa fornitrice.

Nella fattispecie del lavoro interinale. è esclusivamente quest’ultima componente di prezzo che rileva agli effetti IVA, rimanendo fuori campo la componente di rimborso del costo.

Si riteneva, tuttavia, che la sfera applicativa della cennata regola fosse tuttavia circoscritta al lavoro interinale e non potesse essere estesa alle prestazioni di distacco o di prestito di personale.

Ciò stante, si era dell’avviso che – ove il compenso pattuito per il distacco di personale non fosse corrisposto al mero rimborso del costo del personale medesimo – l’addebito del prestatore dovesse formare oggetto di imposizione IVA2.

Restava inteso che, nel caso di distacco parziale, era legittima l’esclusione da IVA del costo ribaltato dal datore di lavoro distaccante sull’utilizzatore, purché detto costo – ancorché parziale rispetto alla base mensile – fosse direttamente proporzionale al tempo di effettivo impiego presso la Società distaccataria.

La riportata posizione interpretativa è stata ora completamente riformulata dalla Corte di Cassazione, atteso che essa, nella sentenza di cui in premessa, precisa che «se il beneficiario del distacco rimborsasse una somma inferiore, sarebbe evidente che esso non avrebbe acquistato alcun bene e non avrebbe usufruito di alcuna prestazione da parte del soggetto distaccante il personale, onde si continuerebbe a versare nel campo dell’irrilevanza per l’IVA».

In pratica, quindi,

«la somma eccedente il rimborso …. del costo del personale … distaccato … , è sottoposta ad IVA detraibile».

Ciò comporta, in pratica, che se l’importo addebitato dal distaccante al distaccatario è minore del costo del personale, l’addebito permane nell’ambito dell’esclusione previsto dalla norma speciale; viceversa, se l’addebito eccede il costo citato, allora sarà soggetta ad IVA la sola eccedenza.

Una volta accertato che, nel distacco di lavoro dipendente, il rimborso del costo deve essere escluso da IVA, particolare attenzione deve essere posta all’esatta individuazione delle voci di costo per le quali può essere legittimamente adottata detta esclusione.

In particolare, occorre verificare se nell’ambito dei costi al cui rimborso è dato luogo fuori campo IVA è corretto comprendere anche le spese relative al trattamento di trasferta e quelle costituenti fringe benefit per il dipendente.

A questo proposito, va infatti evidenziato che l’ordinamento tributario italiano (Cfr. l’art. 51 del DPR 917/86) ha attribuito alla nozione di “compenso” di lavoro subordinato l’accezione onnicomprensiva di somme e valori che affluiscono al dipendente a qualsiasi titolo (uscendo dalla disponibilità patrimoniale dell’erogante), in dipendenza del rapporto lavorativo, nel corso del periodo di imposta.

In considerazione del senso universale attribuito alla voce retributiva, è quindi corretto ritenere che anche il trattamento di trasferta attenga fiscalmente alla sfera retributiva e che il rimborso spettante all’impresa fornitrice possa essere escluso da IVA in base al citato art. 8, c. 35, della legge 67/88, ancorché il regime di trasferta non concorra (a determinate condizioni) a formare la base IRPEF e quella previdenziale del dipendente interessato.

Il criterio dell’onnicomprensività della retribuzione comporta che sono soggette ad IRPEF

«tutte le somme e i valori (intendendo con tale espressione la quantificazione dei beni e dei servizi) che il dipendente percepisce nel periodo d’imposta, a qualunque titolo, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro, e, quindi, tutti quelli che siano in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro, anche se non provenienti direttamente dal datore di lavoro» (cfr. Circolare del ministero delle Finanze n. 326/E del 23 dicembre 1997).

Nell’ambito delle somme e valori sono quindi da comprendersi anche i rimborsi di spese di trasferta e dei fringe benefit, che sono imponibili ai fini IRPEF se non detassati in base a «quanto disposto a proposito delle trasferte e dei trasferimenti» (cfr. la citata Circolare n.326/E).

La valenza retributiva del rimborso spese di trasferta e dei fringe benefit esclude pertanto l’assoggettamento ad IVA del rimborso stesso, ove esso sia richiesto nel contesto del distacco di lavoratori dipendenti.

E’ dunque irrilevante che il trattamento di trasferta abbia formato materia imponibile ai fini dell’IRPEF e della previdenza (come, ad esempio, nell’ipotesi del rimborso del vitto nell’ambito comunale della sede di lavoro) perché possa essere operativa l’esclusione da IVA del relativo addebito.

Per inciso, in senso conforme all’esclusione dall’assoggettamento ad IVA del ribaltamento delle spese di trasferta è la giurisprudenza tributaria e la prassi dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Corte di Cassazione Sez. Civile I, 6 marzo 1996, sentenza n. 1788 nonché, con riferimento all’analoga fattispecie del lavoro interinale, la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.384 del 13/12/2002).

Se non che, nella sentenza n. 19129 del 2010 citata in premessa, la Suprema Corte ebbe a precisare che entro i limiti del costo del personale, il prestito di dipendenti dovesse essere escluso da IVA anche se il compenso addebitato dal datore di lavoro al soggetto utilizzatore fosse risultato eccedente rispetto al costo medesimo, sicché l’IVA sarebbe stata calcolata solo su tale eccedenza.

Argomentava, infatti, la Suprema Corte che

«il rimborso, da parte del soggetto A, del costo del personale del soggetto B distaccato presso A, è esente dall’IVA”, perché, secondo la statuizione della L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 8, comma 35, dal momento che A rimborsa B, il costo del personale di B distaccato presso A è sostenuto, in definitiva, da A questo costo è, ai fini dell’IVA, irrilevante (sempre in base alla L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 8, comma 35): in quanto B, distaccando il suo personale, non effettua, nei limiti del relativo costo, alcuna prestazione ad A, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 1, non si applica l’IVA e non esiste, dunque, alcuna imposta che possa essere detratta ai sensi dell’art. 19, comma 1, n. 1, confermato, in negativo, dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, comma 2, n. 1;

2) “la somma eccedente il rimborso, da parte del soggetto A, del costo del personale del soggetto B distaccato presso A, è sottoposta ad IVA detraibile”, perché il regime dell’esenzione dall’IVA, fissato nella norma appena individuata, riguarda solo il costo del personale, che è sostenuto da B e che A si limita a rimborsare, cosicché, se A trasferisce a B una somma maggiore, questa non è più esente da IVA in quanto si giustifica solo per la sua corrispondenza all’acquisto di un bene o all’acquisizione di un servizio; la relativa IVA è conseguentemente detraibile».

Nella recente sentenza n. 23021 del 7 dicembre 2011, la Corte di Cassazione, Sez. Unite, ha invece definitivamente chiarito che laddove il compenso spettante al distaccante non corrisponda esattamente al costo del personale, tutto l’addebito effettuato ricade nella sfera applicativa dell’IVA, stabilendo dunque che

«va pertanto confermato, come principio di diritto, che la L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, deve essere inteso nel senso che il distacco di personale è irrilevante ai fini dell’IVA soltanto se la controprestazione del distaccatario consista nel rimborso di una somma esattamente pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante.

La differente conclusione raggiunta dalle sentenze nn. 19129/1932 del 2010 non pare, infatti, convincente né per quanto riguarda la non assoggettabilità ad IVA dei rimborsi inferiori ai costi (in quanto finisce, essa sì, con l’assegnare alla norma un significato ed uno scopo diversi da quelli voluti dal Legislatore), né per quanto concerne il trattamento dei rimborsi superiori, rispetto ai quali l’imposta dovrebbe essere applicata soltanto sulla quota eccedente i costi.

Tale ultima affermazione appare, anzi, ancora meno condivisibile della prima perché oltre a porsi in contrasto con le intenzioni del Legislatore, giunge addirittura a scomporre artificiosamente la controprestazione del distaccatario, attribuendole due diverse funzioni e nature malgrado l’indubbia unitarietà economica e funzionale del servizio. Certamente, nulla avrebbe impedito al Legislatore del 1988 d’introdurre una sorta di franchigia, prevedendo in ogni caso l’inapplicabilità dell’imposta per le somme corrispondenti ai costi».

 

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13 febbraio 2012

Giovanni Mocci

 

1 Cfr. l’art.26 bis della legge 196/97 – così come modificato dall’art.7 della legge 133/99 – nel quale è stabilito che devono intendersi non compresi nella base imponibile IVA «i rimborsi degli oneri retributivi e previdenziali» che l’impresa fornitrice ha sostenuto in favore del prestatore di lavoro temporaneo.

2 Cfr. la Risoluzione del ministero delle Finanze n.411847 del 20 marzo 1981 nonché la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.346/E del 5 novembre 2002.