Le dichiarazioni sostitutive di atto notorio non smontano l'accertamento sintetico

e’ possibile dichiarare la simulazione di un contratto di compravendita di partecipazioni per difendersi da un accertamento sintetico?

L’ordinanza n. 26067 del 5 dicembre 2011 (ud. 8 novembre 2011) della Corte di Cassazione verte su un complesso e particolare caso di accertamento sintetico.

 

Dichiarazioni sostitutive di atto notorio e accertamento sintetico – Fatto e diritto

L’Agenzia delle Entrate ricorre davanti la Corte di Cassazione per l’annullamento della sentenza con cui la CTR del Friuli Venezia Giulia, riformando la decisione di primo grado, ha annullato l’accertamento sintetico operato dall’Ufficio per gli anni 2000 e 2001, sulla scorta della ricostruzione del reddito del contribuente operata in base ai beni dal medesimo posseduti (art. 38, c. 4, D.P.R. n. 600/73).

Secondo la CTR,

“l’incremento patrimoniale che aveva qualificato la capacità contributiva del contribuente ai fini dell’accertamento fiscale – vale dire l’acquisto, dalla figlia, della totalità delle quote di una società a responsabilità limitata, per un prezzo di 640.000 Euro – doveva ritenersi simulato, e dunque inidoneo a fondare una presunzione di capacità contributiva, risultando detta simulazione (relativa, giacchè le quote sarebbero state si trasferite dalla figlia al padre, ma a titolo gratuito e non oneroso) provata da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà sottoscritto da padre e figlia”.

 

Le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria

Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate si fonda su due motivi.

Da una parte, si censura la violazione dell’art.7, c. 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, atteso che la CTR ha attribuito efficacia di prova piena alla dichiarazione extraprocessuale della venditrice delle quote sociali, in violazione del principio, derivante dal divieto di prova testimoniale previsto dalla suddetta disposizione, che alle dichiarazioni extraprocessuali di terzi può attribuirsi solo valore indiziario, inidoneo, in assenza di altre concordi risultanze, a soddisfare l’onere probatorio.

Dall’altra parte, si contesta l’insufficienza della motivazione della sentenza gravata in ordine al fatto decisivo della simulazione della vendita di quote sociali, censurando che la Commissione Tributaria Regionale abbia omesso di indicare quali risultanze istruttorie integrassero la dichiarazione scritta della figlia.

 

La sentenza

I due motivi – trattati congiuntamente, attesa la loro intima connessione – appaiono per la Corte manifestamente fondati.

“In sostanza, secondo quanto emerge dalla motivazione della sentenza gravata (dove non si fa menzione di alcuna risultanza istruttoria che suffraghi il contenuto della dichiarazione sottoscritta dalla venditrice delle quote), la Commissione Tributaria Regionale ha caducato la ripresa fiscale esclusivamente sulla base di una dichiarazione extraprocessuale dalla venditrice delle quote (e figlia del contribuente) attestante la simulazione del contratto dal quale il Fisco aveva desunto la capacità contributiva del contribuente.

Tale decisione è in contrasto col fermo insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di contenzioso tributario, se – in forza di quanto affermalo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 18 dei 2000 – anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, le risultanze emergenti da tali documenti non hanno valore probatorio pieno (a ciò ostando il divieto di prova testimoniale e di giuramento fissato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, che in tal guisa verrebbe eluso mediante un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo), ma possono essere utilizzate solo quando trovino ulteriore riscontro nelle risultanze del processo (Cass. 16032/05, 149/10, 3724/10, 6755/10)”.

Il Collegio, quindi, cassa la sentenza gravata, con rinvio alla CTR del Friuli Venezia Giulia, che dovrà riesaminare la questione della simulazione della vendita di quote sociali dalla figlia del contribuente a quest’ultimo, attenendosi al principio che le risultanze emergenti da dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale non hanno valore probatorio pieno, ma possono essere utilizzate solo quando trovino ulteriore riscontro nelle risultanze del processo.

 

 

Dichiarazioni sostitutive di atto notorio e accertamento sintetico – Brevi riflessioni

Come è noto, la Corte di Cassazione1 ha riconosciuto anche al contribuente la possibilità di utilizzare in suo favore eventuali dichiarazioni a lui rese da terzi al di fuori del giudizio, nell’ottica di attuazione dei principi del “giusto processo”, e pertanto, l’utilizzabilità delle dichiarazioni dovrebbe essere ambivalente, per garantire la parità delle armi processuali e l’effettività del diritto di difesa (in senso conforme si è espressa la Cassazione con la sentenza n. 4239/2004, che riprende un orientamento già precedentemente affermato nella sentenza n. 1930 del 10 febbraio 2001)2.

Naturalmente, anche per il contribuente le dichiarazioni in questione non potranno avere pieno valore probatorio, ma solo il valore di “elementi”, che non possono costituire da soli il fondamento della decisione.

Dal punto di vista pratico, per quanto riguarda le dichiarazioni dei terzi, si pone il problema della cosiddetta “verbalizzazione” – ossia quello di definire la veste formale nella quale tali dichiarazioni3 debbano essere rese al fine di venire prodotte nel giudizio4 – : di solito si utilizza:

  • l’atto notorio5;

  • la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà6;

  • la perizia giurata7.

 

Sul punto specifico, con sentenza n. 703 del 29 novembre 2006 (dep. il 15 gennaio 2007), la Corte Cassazione ha affermato che la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative essendo, viceversa, priva di qualsiasi efficacia in sede giurisdizionale, trovando ostacolo invalicabile, nel contenzioso tributario, la previsione dell’art.7, c. 4, del D.Lgs. n. 546/1992 e ciò perché altrimenti si finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento sancito dalla richiamata disposizione – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato ma, anche costituito al di fuori del processo.

Sempre di recente, con sentenza n. 16348 dell’8 aprile 2008, depositata il 17 giugno 20088, la Corte di Cassazione ha confermato la propria posizione.

E con sentenza n. 14328 del 19 giugno 2009 (ud. del 28 maggio 2009) la Cassazione, proprio in ordine all’efficacia probatoria della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, ha rilevato che

“ è principio generale del nostro ordinamento quello secondo cui nessuno può costituire titoli di prova a favore di se stesso, essendo giustificato il sospetto che chi affermi o neghi un dato fatto possa farlo anche contro la verità, mosso dal proprio interesse.

Ne deriva che la prova a favore può provenire soltanto da terzi mentre una dichiarazione o un documento provenienti da un soggetto possono essere solo titoli di prova contro di lui”.

Comunque sia, gli atti notori sono solo indizi che devono essere corroborati da altri elementi, come peraltro affermato dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 18 del 12-21 gennaio 2000, che ha conferito dignità giuridica alle testimonianza improprie – quali indizi9 – pur se per costituire il fondamento della pretesa devono essere supportati da altri elementi o riscontri: elementi indiziari, che possono concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono, da soli, idonei a fondare la decisione se non supportate da riscontri oggettivi.

Ancora di recente, con sentenza n. 149 dell’8 gennaio 2010 (ud. del 2 dicembre 2009) la Corte di Cassazione ha confermato il valore di indizi agli atti notori.

Nella fattispecie sottoposta ai Massimi Giudici, il contribuente si doleva del fatto che la Commissione tributaria centrale avesse ritenuto i due atti di notorietà da lui prodotti inidonei a fornire la prova del finanziamento familiare, che secondo la sua tesi avrebbe spiegato l’anomalo rapporto tra costi e ricavi da cui origina l’accertamento.Osserva, diversamente, la Corte che

“la Commissione tributaria centrale non ha escluso l’ammissibilità dei due atti – come sembra desumersi dal ricorso – ma, attribuendo correttamente ad essi valore meramente indiziario, li ha ritenuti – con congrua motivazione – non idonei a fornire la prova del fatto controverso, tanto più che tali dichiarazioni, come lo stesso ricorrente assume, provenivano da lui stesso, dal coniuge e dai genitori”.

In pratica, le questioni familiari – in particolare – devono essere corroborati da ulteriori elementi.

 

6 febbraio 2012

Gianfranco Antico

 

NOTE

1 Cfr. Cass. 25 marzo 2002, n. 4269, in cui dando concreta attuazione ai principi del giusto processo, riformulati dal nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, ha ritenuto che la Commissione tributaria aveva correttamente preso in considerazione un atto notorio contenente dichiarazioni rese dal genitore del contribuente, ma aveva erroneamente assegnato a tali dichiarazioni il valore di prova vera e propria, basando la decisione solo su di esse. Si confronti anche Cass. n. 11221 del 28 febbraio 2007, depositata il 16 maggio 2007, secondo cui anche le dichiarazioni rese da terzi al contribuente possono trovare ingresso nel processo tributario e il valore probatorio di tali dichiarazioni è pari a quello delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione, cioè quello proprio degli elementi indiziari, i quali, ancorché non idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione, possono concorrere a formare il convincimento del giudice (nel caso di specie si trattava di dichiarazioni rese dal genitore del contribuente in un atto notorio). In dottrina cfr. DI CARLO. Processo tributario. Valore delle dichiarazioni rilasciate da terzi, in “La settimana fiscale”, n. 40/2005, pag. 29; ANTICO, Il valore delle dichiarazioni di terzi: la posizione della giurisprudenza, in “ il fisco”, n. 37/2007, pag. 4077.

2 Cfr. anche la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, n. 73053/01 del 23 novembre 2006 – causa Jussila c. Finlandia – secondo cui l’impossibilità di utilizzare la prova orale è in astratto compatibile con il principio dell’equo processo sotteso dall’art. 6 della Convenzione europea diritti dell’uomo (Cedu) “solo se dal divieto non deriva un grave pregiudizio della posizione del ricorrente-contribuente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile”. In pratica, per la Corte europea, il divieto di prova testimoniale è in contrasto con l’equo processo europeo in tutte quei casi in cui costituisce l’unico mezzo di prova, ed è conciliabile con l’art. 6 del Cedu se la posizione del contribuente è difendibile mediante altri mezzi di prova. Tale pronuncia – di estremo interesse – va letta unitamente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 348 del 24 ottobre 2007, secondo cui l’eventuale contrasto tra norma interna e norma convenzionale “si presenta come una questione di legittimità costituzionale di esclusiva competenza del giudice delle leggi”.

3 Come osservato in dottrina, cfr. BORGOGLIO, Le dichiarazioni sostitutive di atto notorio sono solo indizi, in www.https://www.commercialistatelematico.com, l’atto notorio è quella dichiarazione che viene resa da un soggetto ad un pubblico ufficiale, mentre la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, prevista dall’articolo 47 del DPR 28 dicembre 2000, numero 4453, “consiste nella dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo soggetto, e può riguardare stati e fatti di cui egli sia a conoscenza, anche relativi ad altri soggetti. Tale dichiarazione deve essere sottoscritta innanzi ad un incaricato di pubblico servizio oppure, in alternativa, deve essere accompagnata dalla copia fotostatica di un documento d’identità”.

4 Cfr. sul punto RICCIONI, L’ammissibilità ai fini probatori delle dichiarazioni rese da terzi in ambito extraprocessuale in rapporto al divieto di prova testimoniale nel processo tributario, in “il fisco”, n. 14/2003, fasc. n. 1, pag. 2120.

5 Cfr. Cass. n. 5154 del 6 aprile 2001, secondo cui “il processo deve svolgersi nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, comporta che le prove devono essere raccolte nell’effettivo contraddittorio delle parti, cioè nel processo e con la partecipazione del giudice; pertanto, non può attribuirsi valore di prova all’atto notorio, precostituito al processo al di fuori di qualsiasi contraddittorio con l’avversario, né tale atto può implicare un’inversione dell’onere della prova, che deve essere espressamente prevista da una norma positiva e non può derivare esclusivamente dalla mera iniziativa di parte”. In pratica, il pieno valore probatorio dell’atto notorio resta limitato al fatto che la dichiarazione sia stata resa in presenza di un pubblico ufficiale, ma non si estende alla rispondenza alla verità delle circostanze indicate nell’atto stesso.

6 Cfr. Cass. n. 7107 del 20 luglio 1998, secondo cui la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, quanto lo stesso atto notorio, devono essere considerati documenti la cui libera valutazione da parte del giudice deve essere in concreto ammessa ogni volta che la dichiarazione venga resa non già da una delle parti, ma da un soggetto estraneo al processo che attesta un fatto rilevante ai fini della decisione. La principale differenza fra atto notorio e dichiarazione sostitutiva del medesimo consiste nel fatto che il primo assolve alla funzione di far conoscere fatti, stati e qualità personali che sono a diretta conoscenza del dichiarante, e che non risultano in altro modo noti alla Pubblica Amministrazione, mentre la seconda mira a portare a conoscenza della Pubblica Amministrazione circostanze a questa già risultanti in propri atti.

7 In particolare, tale strumento viene utilizzato per la valutazione degli immobili e/o dei terreni. Cfr. Cass. n. 4437 del 19 maggio 1997 che ha escluso la possibilità di attribuire efficacia di prova legale alla perizia giurata depositata in giudizio da una parte, neppure rispetto ai fatti che il perito assume di avere accertato nel caso specifico. La Corte ha affermato che non essendo prevista dall’ordinamento la precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, ad essa può essere riconosciuto solo il valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla libera valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto. Cfr. anche Cass. sentenza n. 8871 del 5 marzo 2007 (dep. il 13 aprile 2007), secondo cui “le valutazioni effettuate dall’Ute non possono rappresentare da sole elementi sufficienti per giustificare una rettifica in contrasto con le risultanze contabili, ma possono … essere vagliate nel contesto della situazione contabile ed economica dell’impresa e, ove concorrono con altre indicazioni documentali o presuntive precise e concordanti, possono costituire elementi validi per la determinazione dei redditi da accertare”; Cass., sentenza n. 8890 del 9 marzo 2007, dep. il 13 aprile 2007, secondo cui “le stime dell’Ute … costituiscono delle semplici perizie di parte cui può riconoscersi valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non per quel che riguarda il contenuto. Ciò non toglie, però, che soprattutto nel processo tributario, in cui c’è molto più spazio per le prove cosidette atipiche, anche la perizia di parte possa costituire fondamento della decizione a condizione, però, che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (cass. n. 7935/2002)”.

8 Cfr. ANTICO, Dichiarazioni di terzi: si ribalta o si conferma il pensiero della Cassazione ? Cass. n. 16348 dell’8 aprile 2008, dep. il 17 giugno 2008, in “Fiscalitax”, n. 10/2008, pag. 1321.

9 In senso conforme Cass. sent. n. 22443 del 25 giugno 2008, dep. il 5 settembre 2008, che ha confermato la valenza indiziaria.