Spese di sponsorizzazione sostenute a favore di terzi: deducibili se si dimostrano i vantaggi futuri

la diversità di soggetti tra l’impresa che sostiene il costo e quella che beneficia della sponsorizzazione non determina di per sé, una violazione del principio generale dell’inerenza del costo se il contribuente che deduce la spesa può dimostrare che è riferibile a proprie utilità future, anche se solo potenziali (Nicola Papaleo)

È possibile portare in deduzione dal reddito d’impresa il costo della sponsorizzazioneanche se finalizzata a promuovere l’immagine o il marchio di un’altra impresa, diversa da quella che ne ha sostenuto il costo. E, in particolare, la diversità di soggetti tra l’impresa che sostiene il costo e quella che beneficia della sponsorizzazione non determina di per sé, una violazione del principio generale dell’inerenza del costo se il contribuente che deduce la spesa può dimostrare che è riferibile a proprie utilità future, anche se solo potenziali.

È il principio che si desume dalla sentenza n. 24065 depositata dalla Corte di Cassazione il 16-11-2011.

 

Il caso sottoposto al giudizio di legittimità riguarda una società che aveva portato in deduzione dal proprio reddito d’impresa, il costo relativo ad un contratto di sponsorizzazione sottoscritto con una società cinematografica per pubblicizzare l’immagine di un’altra società cliente con la quale intratteneva primari rapporti commerciali.

L’Amministrazione finanziaria, con avviso di accertamento, aveva recuperato il costo di tale sponsorizzazione disconoscendo l’inerenza della spesa e contestando l’incongruenza di tali costi con i ricavi conseguiti nell’anno d’imposta.

La CTP accoglieva il ricorso del contribuente e, successivamente, la CTR del Lazio, Sez. 27, con Sent. n. 125 del 31.10.2005 respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e confermava il giudizio di primo grado.

L’Amministrazione finanziaria ricorreva, quindi, in Cassazione deducendo, in primis, la violazione e falsa applicazione del principio di inerenza disposto dal previgente art. 75 del T.U.I.R. e, in secondo luogo, la contraddittoria ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata.

 

La Suprema Corte – nel rispetto del principio del primato della questione più liquida – esaminava, dapprima, la seconda eccezione e, accogliendo l’eccezione sollevata dall’Amministrazione finanziaria, censurava la “ratio decidendi” della sentenza impugnata in quanto «non è in sintonia con la questione controversa che i Giudici di appello erano chiamati a decidere e che concerneva la verifica di inerenza sotto il profilo dell’incongruenza logica della spesa sostenuta a favore di un soggetto terzo, non avendo ad oggetto la pubblicità marchi, prodotti, denominazioni ovvero qualità od aspetti delle attività commerciali comunque riferibili alla società contribuente».

In particolare – rilevano i giudici di piazza Cavour – la sentenza della Commissione Regionale non motiva adeguatamente in ordine alla circostanza che, nel caso specifico, i costi di sponsorizzazione risultano sostenuti per promuovere l’immagine di un soggetto terzo che opera, peraltro, in un ambito commerciale diverso da quello della società che ha sostenuto e dedotto il costo della sponsorizzazione. La sentenza censurata avrebbe dovuto esaminare «la congruità della spesa in quanto riferibile a potenziali utilità o vantaggi fututi (ampliamento del settore di mercato; incremento della clientela; introduzione di nuoi prodotti e servizi) conseguibili dalla società contribuente e non conseguiti o conseguibili, invece, esclusivamente da soggetti terzi (ovvero dal soggetto pubblicizzato)».

 

Nel cassare la sentenza, con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la Corte di Cassazione precisa, tuttavia, che la circostanza che il contratto di sponsorizzazione sia stato stipulato a favore di un soggetto terzo non è di per sé sufficiente a determinare l’indeducibilità della spesa dovendosi valutare, invece, gli specifici rapporti tra la società contribuente ed il terzo tali che la prima possa comunque ottenere vantaggi ed utilità dalla pubblicità svolta in favore del terzo.

 

Sul punto la la sentenza in commento richiama a titolo esemplificativo alcune ipotesi in cui si ritiene sussistente, almeno in astratto, il principio dell’inerenza. È il caso dei costi di sponsorizzazione sostenuti da un sub-fornitore per pubblicizzare il prodotto fabbricato o commercializzato da altra impresa committente in quanto da tale pubblicità ci si attende, anche in via potenziale, un incremento degli ordini di fornitura. Analoghe conclusioni sono espresse con riferimento alle spese di sponsorizzazione sostenuti dal rivenditore a favore dell’impresa produttrice per la quale opera in regime di esclusiva.

 

L’esistenza di potenzialità utilità future qualifica, dunque, in astratto l’inerenza del costo che, però, deve essere sempre provata dal contribuente che deduce il costo in ragione della loro correlazione con i propri potenziali ricavi.

La sentenza in commento – pur caratterizzandosi per la specificità della fattispecie analizzata – si fonda su principi di diritto già ampiamente espressi dalla Corte di Cassazione1 in tema di spese di sponsorizzazione in base ai quali deve essere dimostrata e verificata l’utilità prodotta dai costi dei servizi pubblicitari commissionati con riferimento all’incremento anche solo potenziale dei ricavi dell’impresa che deduce il costo.

 

30 novembre 2011

Nicola Papaleo

  1. 1Corte Cass. Sez. 5, 30.7.2002, n. 11240; id. Sez. 5, 16.5.2007, n. 11205; id. Sez. 5, 25.2.2010, n. 4554; id. Sez. 5, 30.12.2010, n. 26480.