Il terreno edificabile da suddividere

divisione della comunione fra due comproprietari di un terreno edificabile: gli effetti sugli indici di edificabilità

La sentenza che analizziamo oggi (n. 31/11 del Tribunale di Lecco), pur concernendo propriamente la materia urbanistica, viene proposta per le interessanti questioni affrontate relativamente alla problematica del valore economico da attribuirsi ad un terreno in funzione dell’edificabilità, che ha senz’altro risvolti ed implicazioni in ambito tributario, in un caso specifico di cui non si conoscono precedenti pronunce giurisprudenziali, quella relativa al “P.I.I.” (Piano Integrato di Intervento).

 

La controversia devoluta alla cognizione del Tribunale di Lecco è scaturita dalla necessità di dividere un cortile in comunione tra due soggetti, terreno che ai fini urbanistici non poteva ritenersi omogeneo in quanto, CEDU (Certificato di destinazione urbanistica) alla mano, una porzione del mappale era rientrante nel P.I.I. già approvato dal comune, e quindi dotata di uno specifico indice di edificabilità.

 

In relazione alla suddetta problematica, la tesi sostenuta da parte attrice era che non si poteva dividere il terreno in comune unicamente in base ai millesimi di proprietà, giacché, non essendo urbanisticamente omogeneo, ciò avrebbe comportato una illegittima attribuzione di area in favore della parte avente la quota millesimale maggiore; situazione che si sarebbe evitata se la divisione fosse stata attuata sulla base del valore monetario derivante dai differenti azzonamenti delle singole aree, edificabili o meno, che componevano il mappale in oggetto.

 

La tesi sostenuta dalla convenuta, che aveva un evidente interesse a che il terreno fosse considerato omogeneo, si basava sul fatto che la stessa non aveva ancora formalmente aderito alla convenzione del P.I.I. già adottato dal Comune e che quindi, in mancanza di tale adesione, l’indice di edificabilità stabilito dal P.I.I. poteva dirsi solo “ipotetico”; sosteneva altresì che non vi era alcun precedente giurisprudenziale in favore dell’edificablità di un’area rientrante in un P.I.I. in quanto i precedenti avevano ad oggetto altre tipologie di pianificazione edilizia, quali i P.E. (Piani di Espansione), i P.L. (Piani di Lottizzazione e i P.I.P. (Piani di Intervento Programmato).

 

Ebbene, se in ambito tributario non vi era alcun dubbio che un terreno rientrante nel P.I.I. era edificabile, difatti più volte in giurisprudenza è stata riconosciuta la soggezione al tributo ICI – si veda per tutte la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 25506/2006 secondo cui: “ai fini dell’applicazione del D. Lgs. n. 504/1992 un’area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile allo scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione in regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”, per quanto riguarda gli aspetti più propriamente civilistici non esisteva un precedente specifico in materia.

 

 

Malgrado la giurisprudenza civile aveva riconosciuto che: “Le aree comprese dal piano regolatore generale nell’ambito di un piano per gli insediamenti produttivi (Pip) assumono carattere edificatorio e subiscono la conformazione del piano stesso” (Cass. Civ. n. 5874/2004), e che “Il fatto stesso, quindi, che un terreno sia compreso nel peep ed in esso abbia destinazione all’edilizia economica e popolare, che, del prg costituisce attuazione o variante, è, d per sé, elemento giustificativo del legale carattere edificatorio del terreno medesimo, sia pure nei limiti che il peep consente […] l’edificabilità di diritto delle aree in questione è, dunque, in re ipsa ” (Sent. Corte d’Appello Firenze del 03/06/2005), come si è detto, mancava ancora una pronuncia specifica in caso di P.I.I.

E proprio la mancanza di un precedente specifico aveva alimentato le speranze dell’avversario che aveva tentato sino all’ultimo di equivocare sul concetto di edificabilità, volendo intendere con ciò la facoltà o meno di costruire su un terreno.

 

Ma la stipula della convenzione con il Comune per l’attuazione del relativo piano (per poter materialmente costruire), attiene ad un passaggio successivo: infatti ogni strumento di pianificazione attuativa, partendo dal più semplice P.L. – piano di lottizzazione, prevede per la sua attuazione, la stipula di un’apposita convenzione tra i privati ed il Comune (ad esempio, nel caso del P.L, sarà la cd. “convenzione di lottizzazione”) nella quale sono esplicitate le reciproche obbligazioni delle parti e la tempistica di realizzazione delle opere edili e di urbanizzazione.

 

Quindi, sulla scorta della migliore dottrina che ha chiarito come “Il diritto di edificare trova fondamento non nella convenzione e nei relativi patti, ma nello strumento generale urbanistico, del quale la lottizzazione costituisce uno strumento attuativo”, discende che la stipula o meno della convenzione non incide sull’edificabilità o meno di un terreno, giacché questa è una caratteristica intrinseca del bene e non dipende certo dalla volontà delle parti (che sono libere anche di lasciare a verde un terreno edificabile).

 

Il Tribunale di Lecco, aderendo ai principi sopra esposti, ha accolto la tesi di parte attrice, osservando al riguardo “che la natura e l’attitudine edificatoria di un’area, ai fini della valutazione economica della stessa in sede di divisione, prescinde dalla volontà dei proprietari della stessa, venendo ad essere determinata dalle previsioni contenute negli strumenti urbanistici. Appare evidente, infatti, che il valore economico di un’area, […] va determinato alla stregua della sua attitudine intrinseca e non della volontà concreta del proprietario della stessa di sfruttare tale caratteristica. Nel caso di specie il P.I.I. prevede espressamente l’edificabilità di parti dell’area in questione”.

 

25/11/2011

Roberto Molteni