Ispezioni fiscali nei locali ad uso promiscuo: solo con autorizzazione della Procura

Antonio Terlizzi ricorda le norme che regolano la possibilità per il Fisco di accedere ai locali di abitazione del contribuente, anche se utilizzati per l’attività professionale-imprenditoriale: serve l’autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria.

Locali utilizzati promiscuamente

verifica fiscale ihn locali ad uso promiscuoLe autorizzazione all’accesso(1) nei locali utilizzati promiscuamente, esclusivamente e nella circostanza di agevole possibilità di comunicazione interna con spazi destinati ad abitazione del contribuente deve ritenersi sempre necessaria (Corte di Cassazione sentenza n. 16570 depositata il 28 luglio 2011).

La relativa destinazione ad uso promiscuo sussiste non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi(2).

In simile eventualità è comunque necessaria l’autorizzazione all’accesso da parte del procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52, c. 1, D.P.R. n. 633 del 1972, ancorchè non essendo richiesta, all’uopo, la presenza di gravi indizi di violazioni di norme del medesimo D.p.r. secondo quanto invece stabilito dal comma 2, della disposizione de qua allo specifico fine di reperire, in locali diversi da quelli destinati all’attività d’impresa, libri, registri, documenti e scritture.

In tema di accertamento dell’Iva, cioè, l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, prescritta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, cc. 1 e 2, ai fini dell’accesso degli impiegati dell’amministrazione finanziaria (o della guardia di finanza, nell’esercizio dei compiti di collaborazione con gli uffici finanziari a essa demandati) a locali adibiti anche ad abitazione del contribuente (cd. locale promiscuo) od a locali diversi (cioè adibiti esclusivamente ad abitazione)(3), è sempre necessaria.

Resta ferma la necessità dell’autorizzazione previa, ancorchè non motivata dai ripetuti gravi indizi, laddove si sia in presenza di immobili complessivamente destinati – in ragione della facilità di comunicazione interna – anche ad un uso abitativo. E’ legittima l’acquisizione di prove, raccolte tramite accesso a locali abitativi, non solo nei casi in cui tali locali siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogniqualvolta la possibilità di comunicazione consenta l’agevole trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nell’unità abitativa.

Non si ravvisa promiscuità dei locali quando l’abitazione, pur trovandosi nello stesso edificio, sia distinta dal luogo di lavoro; e ancora, non si ravvisa promiscuità nei casi in cui l’abitazione pur se comunicante con il luogo di esercizio del lavoro, sia divisa da una porta chiusa e sia provvista di due separati ingressi (è il caso tipico dei professionisti che hanno abitazione e studio nello stesso appartamento). Inoltre, se i locali adibiti a laboratorio costituiscono pertinenza dell’abitazione è necessaria l’autorizzazione del magistrato (cfr. Cass. n. 26454 del 23 settembre 2008, dep. il 4 novembre 2008).

La distinzione tra locali di diversa natura è configurabile solo se i rispettivi ambiti spaziali siano connotati da una obiettiva indipendenza e incomunicabilità (integrata, magari, ma non necessariamente, dalla circostanza che l’abitazione pur trovandosi nel medesimo complesso immobiliare, costituisce una unità edilizia autonoma e separata rispetto ai locali adibiti all’esercizio dell’impresa).

 

Locali adibiti esclusivamente ad abitazione

Essa rimane subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie soltanto in quest’ultimo caso (id est, appunto, in locali “diversi” in quanto solo abitativi), e non anche quando si tratti di locali a uso promiscuo (cfr. Cass. nn. 2444/2007, 10664/1998).

 

Gravi indizi

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l’autorizzazione all’accesso domiciliare rappresenta un provvedimento amministrativo endoprocedimentale e strumentale rispetto all’avviso di accertamento e dal quale deve rilevarsi la sussistenza degli elementi atti ad assumere natura di gravi indizi, attesa la inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost.. Al giudice tributario è devoluto non semplicemente il controllo sull’adempimento dell’obbligo di motivazione del decreto di autorizzazione ma altresì l’apprezzamento circa la valenza indiziaria degli elementi indicati quali gravi indizi.

Il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di imposta sul valore aggiunto – reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 -, ha il potere-dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o “per relationem” mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria.

Pertanto, nell’esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell’autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove (Cass. civ. Sez. V, 16-10-2009, n. 21974).

 

Mancanza dell’autorizzazione all’accesso presso i locali

ispezioni domiciliari per verifiche fiscaliIn tal caso l’autorizzazione all’accesso da parte dell’A.G., in quanto diretta a tutelare l’inviolabilità del domicilio privato, e quindi, indirettamente, lo spazio di libertà dei contribuente, rileva alla stregua di condicio sine qua non per la legittimità dell’atto e delle relative conseguenti acquisizioni (da ultimo, per riferimenti, Cass. n. 6908/2011). Deve essere annullato l’avviso di accertamento fondato su dati rinvenuti a seguito di accesso presso un luogo adibito ad abitazione/studio del dottore commercialista del contribuente “accertato”, ove i funzionari non si siano muniti della preventiva autorizzazione della Procura della Repubblica.

Infatti, l’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che, qualora l’accesso debba avvenire presso luoghi adibiti anche ad abitazione da parte del contribuente, non è sufficiente l’autorizzazione del capo ufficio, ma occorre quella proveniente dall’autorità giudiziaria (Cass. civ. Sez. V, 25-03-2011, n. 6908). La circostanza che nell’immobile ove l’Amministrazione finanziaria intende eseguire accessi, ispezioni o verifiche sia occupato dal consulente del contribuente quale abitazione ed abbia ivi la residenza anagrafica comporta la necessità dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica a mente dell’art. 52, D.P.R. n. 633/1972 (Cass. civ. Sez. V, 25-03-2011, n. 6908).

 

Inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita

Il principio di inutilizzabilità della prova illegittimamente acquisita si applica anche in materia tributaria, in considerazione della garanzia difensiva accordata, in generale, dall’art. 24 Cost. (v. Cass. nn. 8181/2007, 19689/2004). In tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, la illegittimità del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi degli artt. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 importa la “inutilizzabilità”, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che:

a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola;

b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione;

c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile.

Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 del vigente c.p.p., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 della Costituzione (Cass. civ. Sez. V, 01-10-2004, n. 19689).

Qualora intervengano accessi, ispezioni e verifiche a mente dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il giudice di merito è tenuto a verificare, in base alle risultanze degli atti processuali, la preventiva concessione delle autorizzazioni contemplate dalla disciplina dell’accertamento (Cass. civ. Sez. V, 02-04-2007, n. 8181).

Il giudice tributano, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su documentazione acquisita in sede di accesso domiciliare, ha il potere -dovere di verificare la sussistenza e la legittimità dei provvedimenti di autorizzazione all’accesso e non deve tener conto delle prove illegittimamente acquisite(Cass. civ. Sez. V, 01-10-2004, n. 19689). In tema di accertamento tributario, il consenso del contribuente – che comunque non può essere ravvisato nella mera mancata opposizione – non vale a rendere legittimo un accesso operato fuori delle previsioni legislative (Cass. civ. Sez. V, 01-10-2004, n. 19689 ).

 

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NOTE

1) Non è valido l’accertamento eseguito presso l’ufficio-abitazione del Commercialista del contribuente senza il permesso della Procura della Repubblica. Non rileva neppure la circostanza che ai verificatori del fisco, al momento dell’accesso, non siano state elevate obiezioni in tal senso (Corte di Cassazione sentenza n. 6908 del 25.03.2011).

2) Con ordinanza n. 24178 del 29 novembre 2010 la Corte di Cassazione ha affermato che per l’accesso nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, ed anche ad abitazione del contribuente, è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Per la Corte Suprema l’uso promiscuo sussiste non solo quando gli ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma anche quando vi è la possibilità di comunicazione interna la quale consente il trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi.

“Deve ritenersi l’uso promiscuo non solo nella ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta la agevole possibilità di comunicazione interna consente il trasferimento dei documenti propri della attività commerciale nei locali abitativi (v. tra le altre Cass. n. 10664/1998)”.

3) L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente – tutelata dall’art. 14 Cost. – può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica (Corte di Cassazione sentenza n. 7368 del 27 luglio 1998;cassazione sentenza n. 9568 del 23 aprile 2007) e in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’articolo 52 del D.P.R. n. 633/1972.

3 ottobre 2011

Antonio Terlizzi