L'uso promiscuo dei locali limita i poteri di accesso dell'Agenzia

per l’accesso nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, ed anche ad abitazione del contribuente, è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica

Con ordinanza n. 24178 del 29 novembre 2010 (ud. del 23 settembre 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che per l’accesso nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, ed anche ad abitazione del contribuente, è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

Per la Corte Suprema l’uso promiscuo sussiste non solo quando gli ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma anche quando vi è la possibilità di comunicazione interna la quale consente il trasferimento dei documenti propri della attività commerciale nei locali abitativi.

 

La sentenza

Il fatto

La questione investe la violazione e falsa applicazione dell’art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Nel caso di specie, il locale bar dove era stata effettuata la verifica era “tutt’uno” con locale adibito ad abitazione (cucina), e l’accesso era stato effettuato senza l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica.

 

Il diritto

La Corte prende atto che “i giudici d’appello hanno confermato l’accertamento in fatto dei giudici di primo grado, secondo i quali l’accesso dei verificatori era avvenuto nei locali in cui si svolgeva l’attività della contribuente, locali che comprendevano un vano della sovrastante abitazione della contribuente adibito a cucina, e che pertanto l’accesso era avvenuto anche in un locale adibito ad uso abitativo, essendo irrilevante, ai fini della norma in esame, che si trattasse solo della cucina, mentre il resto dell’abitazione era posta al piano superiore”.

La Corte, sul punto, fa sua la precedente giurisprudenza di legittimità, la quale, partendo dal dettato normativo di riferimento – art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972 -, secondo cui per l’accesso nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, ed anche ad abitazione del contribuente, è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, “ha avuto modo di precisare che deve ritenersi l’uso promiscuo non solo nella ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta la agevole possibilità di comunicazione interna consente il trasferimento dei documenti propri della attività commerciale nei locali abitativi (v. tra le altre Cass. n. 10664/1998)”.

 

Riflessioni

Come è noto, l’accesso può avere luogo nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali e agricole. Si tratta dei luoghi dichiarati ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. n. 633/1972 o comunque nei quali si svolge di fatto l’attività e cioè negozi, stabilimenti, filiali, succursali, sedi secondarie, depositi, magazzini e simili.

L’accesso presso l’abitazione privata del contribuente(1) – tutelata dall’art. 14 della Costituzione – può essere effettuato solo previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica (come ribadito dalla Corte di Cassazione, fra le altre, con sentenza n. 7368 dell’1 aprile 1998, depositata il 27 luglio 1998, e da ultimo con sentenza n. 9568 del 5 marzo 2007, dep. il 23 aprile 2007) ed in caso di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, conformemente a quanto disciplinato dal comma 2, dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 (cfr. fra le altre C.T. di II grado di Padova, sez.IV, dec. n. 2868 del 24 aprile 1985, la cui massima così recita: “l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, rilasciata ex art. 52 del D.P.R. n .633/72, esplica effetti nei limiti oggettivi e soggettivi in essa contenuti talchè l’accesso effettuato in abitazione diversa da quella ivi specificata e appartenente ad altro soggetto da quello indicato sempre in essa autorizzazione, è da ritenersi attività espletata in assoluta carenza di potere“. Sul punto, cfr. anche il pensiero della Corte Suprema, Sez. I, Civ., Sent. dell’1 aprile 1998, dep. il 27 luglio 1998, secondo cui “nel caso di un accesso domiciliare effettuato … in mancanza della prescritta autorizzazione del Procuratore della Repubblica, non sussiste il consenso del contribuente all’accesso, dato che dal verbale redatto … risultava che l’invito a procedere all’accesso rivolto ai militari operanti era stato formulato dal contribuente a seguito di ripetuti richiami alle conseguenze sfavorevoli che sarebbero derivate da un suo rifiuto di esibire i libri e i registri contabili custoditi nell’abitazione. Le attività tributarie di indagine compiute in dispregio del fondamentale diritto alla inviolabilità del domicilio non possono essere assunte di per sé a giustificazione ed a fondamento di avvisi di accertamento o di irrogazioni di sanzioni a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito, dato che in mancanza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica viene meno la prevalenza dell’interesse fiscale, anche costituzionalmente garantito dall’art.53 della Costituzione, sul diritto del contribuente alla inviolabilità del domicilio“).

La stessa Corte di Cassazione, con sentenza n. 9611 del 21 marzo 2008 (dep. l’11 aprile 2008), ha invece affermato che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso ai locali, necessaria per entrare in quelli destinati promiscuamente ad abitazione ed all’esercizio di attività commerciali, non richiede la enunciazione di “gravi indizi” di violazione delle norme in materia di IVA. La sentenza impugnata aveva ritenuto che il provvedimento del Procuratore della Repubblica, che autorizzava l’accesso presso altro locale locato a società in liquidazione adibito anche ad abitazione del ricorrente, ai sensi dell’art. 52, del D.P.R. n. 633 del 1972, fosse illegittimo in mancanza nella motivazione dell’atto della indicazione del requisito dei gravi indizi e di conseguenza ha ritenuto che ne derivasse la nullità dell’avviso di rettifica IVA fondato su documentazione acquisita in detto accesso. Con il primo motivo di ricorso “l’Agenzia assume che il requisito dei gravi indizi è richiesto solo dall’art. 52, comma 2, per locali diversi da quelli adibiti all’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali di cui al comma 1, per i quali è richiesta l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica quando siano adibiti anche ad abitazione, ma senza che sia richiesto il requisito dei gravi indizi quando siano adibiti anche ad abitazione”. Per i giudici di Cassazione “il motivo è manifestamente fondato come si evince dalla lettura comparata dei due commi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, che recitano: gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto possono disporre l’accesso di impiegati dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali per procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre violazioni. Gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono. Tuttavia per accedere in locali che siano adibiti anche ad abitazione, è necessaria anche l’autorizzazione del procuratore della Repubblica. In ogni caso, l’accesso nei locali destinati all’esercizio di arti o professioni dovrà essere eseguito in presenza del titolare dello studio o di un suo delegato. L’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma può essere eseguito, previa autorizzazione del procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del presente decreto, allo scopo di reperire libri, registri, documenti, scritture ed altre prove delle violazioni. Manca, infatti, nel comma 1, la previsione del requisito dei gravi indizi e la ragione è evidente in quanto basterebbe adibire ad abitazione parte dell’ufficio per rendere più difficile l’accesso a questo”.

Per l’accesso in locali destinati anche ad abitazione non è necessario nessun altro presupposto legittimante, essendo in re ipsa l’accesso preordinato ad una ordinaria attività di ispezione fiscale.

In merito, la Corte di Cassazione – sentenza n. 19689 dell’1.10.2004 – ha avuto modo di fissare, ancora una volta, dei paletti precisi, operando una precisa interpretazione comparativa fra i commi 1 e 2 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/72: mentre per l’accesso nei locali adibiti anche ad abitazione, è sufficiente la sola autorizzazione del Procuratore della Repubblica, per l’accesso nei locali esclusivamente adibiti ad abitazione, l’autorizzazione del magistrato deve essere concessa solo in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali. Per quanto riguarda i locali adibiti promiscuamente ad abitazione e ad attività commerciali od agricole deve trattarsi di un effettivo uso promiscuo, che si ha quando, negli stessi locali, vi è abitazione e attività d’impresa. In questi casi, si può ritenere, pertanto, che l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica sia un atto dovuto, in quanto se pur rilasciata dopo un attento esame della richiesta, non necessita della presenza di gravi indizi di evasione fiscale.

Sul punto si segnala e si rinvia per ulteriori approfondimenti sulla materia al pregevole studio operato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 18337 del 30 maggio 2007, dep. il 31 agosto 2007, secondo cui ai fini degli accessi, ispezioni e verifiche da parte dell’Amministrazione finanziaria, non è richiesto il rilascio dell’autorizzazione da parte della Procura della Repubblica ai fini di accedere ad un locale adibito unicamente all’esercizio dell’attività di un soggetto passivo Iva, che sia nella sua piena ed esclusiva disponibilità ed al quale si accede soltanto attraverso altro locale adibito ad abitazione di un terzo il quale abbia prestato il consenso (in pratica, la società utilizzava come uffici due distinti appartamenti posti nello stesso pianerottolo, di cui uno veniva utilizzato esclusivamente dalla società mentre l’altro era adibito anche ad abitazione del custode, detenendone la società solo una stanza. I verificatori, quindi, per poter accedere a tale ultima stanza, sono entrati nell’appartamento nella disponibilità del custode, avendo ricevuto il consenso della moglie).

Non si ravvisa promiscuità dei locali quando l’abitazione, pur trovandosi nello stesso edificio, sia distinta dal luogo di lavoro; e ancora, non si ravvisa promiscuità nei casi in cui l’abitazione pur se comunicante con il luogo di esercizio del lavoro, sia divisa da una porta chiusa e sia provvista di due separati ingressi (è il caso tipico dei professionisti che hanno abitazione e studio nello stesso appartamento). Inoltre, se i locali adibiti a laboratorio costituiscono pertinenza dell’abitazione è necessaria l’autorizzazione del magistrato (cfr. Cass. n. 26454 del 23 settembre 2008, dep. il 4 novembre 2008)

La distinzione tra locali di diversa natura è configurabile solo se i rispettivi ambiti spaziali siano connotati da una obiettiva indipendenza e incomunicabilità (integrata, magari, ma non necessariamente, dalla circostanza che l’abitazione pur trovandosi nel medesimo complesso immobiliare, costituisce una unità edilizia autonoma e separata rispetto ai locali adibiti all’esercizio dell’impresa).

Per eseguire l’accesso nei confronti di associazioni, circoli sportivi, comitati e Onlus è necessaria l’autorizzazione dell’A.G.. Tuttavia, pur se cautelativamente è opportuno munirsi di autorizzazione, a nostro avviso, nei casi in cui l’ente svolga – legittimamente o meno – anche attività commerciale, non è normativamente necessaria la predetta autorizzazione(2); infatti, nella prima ipotesi – attività commerciale svolta legittimamente – l’autorizzazione non è necessaria per effetto dell’equiparazione ad una normale attività e nella seconda ipotesi – attività commerciale svolta in assenza di licenze – l’eventuale illegittimità dell’accesso è sanata dal fatto che l’ente svolge attività commerciale, e quindi, non necessita l’autorizzazione dell’A.G. .

 

Note

1) Cfr. ANTICO, L’accesso domiciliare necessita dell’autorizzazione del magistrato, in “ Azienda&Fisco”, n. 15-16/2008, pag. 56.

2) Sul punto cfr. PALUMBO, Accesso presso Enc. Quando il funzionario si ferma sull’uscio, in “Fiscooggi”, edizione del 31 agosto 2007.

 

16 dicembre 2010

Gianfranco Antico