Frodi carosello: il contribuente deve provare la veridicità dell'operazione

Oramai la giurisprudenza è conforme: in caso di contestazione di fatture inesistenti è il contribuente a dover provare che le fatture contestate derivano da operazioni realmente effettuate.

 

Qualora l’Amministrazione finanziaria abbia fornito validi elementi per dimostrare l’inesistenza di alcune operazioni commerciali documentate dalle fatture che il contribuente ha esposto in detrazione IVA, spetta a quest’ultimo di dimostrarne la veridicità.

E’ questa la massima che si trae dalla lettura della sent. n. 9870 del 5 maggio 2011 (ud. del 17 febbraio 2011) della Corte di Cassazione.

 

La frode carosello: il fatto

L’Ufficio Iva di Firenze, all’esito di una complessa indagine di polizia giudiziaria, le cui risultanze erano state acquisite su autorizzazione della Procura della Repubblica, rettificò la dichiarazione presentata per l’anno 1994 dalla L.G.P. s.r.l., escludendo la detraibilità dell’imposta che risultava assolta per L. 6.954.816.000 a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti.

Il ricorso della contribuente fu accolto in primo ed in secondo grado.

L’Agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza della C.T.R. della Toscana.

 

La sentenza

cassazione reato indebita compensazioneGli estensori della sentenza rilevano, innanzitutto, che senza dar conto dei motivi di impugnazione, la C.T.R. si è limitata ad osservare che “le conclusioni a cui sono arrivati i primi giudici sono condivisibili da questa Commissione in special modo sul punto della mancanza della prova nell’avviso di accertamento dell’Amministrazione finanziaria allorquando non vengono esibiti e messi a disposizione della controparte e del giudice gli atti richiamati nel detto avviso. Inoltre nel processo verbale di constatazione sono riportate segnalazioni, impressioni, assunti basati su dati presuntivi che non possono assurgere a prova senza l’attivazione da parte dell’Ufficio di verifiche approfondite per acquisire elementi certi di prova”.

Decidendo (con sentenza Cass. n. 4306/2010) in analoga vertenza fra le stesse parti, scaturita dai medesimi accertamenti di polizia giudiziaria per gli anni di imposta 1995/1998, la Corte di Cassazione ha riaffermato che,

“in tema di violazioni IVA oggetto di accertamento nell’ambito dell’attività di polizia tributaria, le dichiarazioni rilasciate da terzi, le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società, gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione dei verbali redatti a seguito d’intercettazioni telefoniche disposte in sede penale, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza”.

Per la Corte, l’avviso di rettifica della dichiarazione IVA, per avere il contribuente esposto detrazioni d’imposta indebite, cioè giustificate formalmente dalla documentazione contabile e finanziaria,

“ma corrispondenti ad acquisti effettuati partecipando direttamente ad un’organizzazione d’imprese creata allo scopo di evadere il tributo col sistema comunemente noto della ‘frode carosello’ o, quanto meno, avvantaggiandosi consapevolmente dei risultati di tale organizzazione fraudolenta, è sufficientemente motivato mediante il richiamo dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio direttamente o per mezzo della polizia tributaria, spettando al giudice tributario di merito la valutazione della sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, sia singolarmente che nel loro complesso.

Quando egli ritenga, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa – con riguardo, nel caso delle ‘frodi carosello’, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario -, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata e si sposta sul contribuente l’onere di provare documentalmente, nei modi indicati dalla legge, la spettanza della detrazione”.

È invero erronea l’affermazione che i “dati presuntivi” esposti nel processo verbale

“non possono assurgere a prova senza l’attivazione da parte dell’Ufficio di verifiche approfondite per acquisire elementi di prova certi”; e che “bisogna disattendere la parte dei verbali in cui si cerca di dimostrare un disegno criminoso al fine di omettere il pagamento dell’Iva a favore di alcuni soggetti italiani o stranieri, senza dimostrare il coinvolgimento diretto o indiretto della società L.”.

È invero pacifico nella giurisprudenza di questa corte che,

“qualora l’Ufficio abbia fornito validi elementi per dubitare della realtà delle operazioni commerciali documentate dalle fatture che il contribuente abbia esposto in detrazione Iva, spetta a quest’ultimo di dimostrane la veridicità (Cass. n. 15395/08).

Nella specie, non avendo escluso l’esistenza dell’organizzazione posta in essere allo scopo di lucrare indebite detrazioni Iva attraverso il sistema delle cc. dd. frodi carosello, quale risultava dal processo verbale di constatazione, la CTR non poteva far carico all’Ufficio di fornire ‘elementi certi di prova’ della partecipazione o della consapevolezza della frode da parte della ditta resistente, per gli acquisti che questa figurava aver compiuto quale controparte di una impresa risultata priva di ogni consistenza commerciale; ma spettava alla contribuente di dimostrare la realtà delle operazioni fatturate, ovvero la propria buona fede esente da ogni profilo di colpa”.

 

4 giugno 2011

Roberta De Marchi