Perdite su crediti: le ultime dalla Cassazione

una recente ed interessante sentenza della Cassazione spiega il corretto momento di rilevazione delle perdite su crediti, ai fini delle imposte dirette

Con sentenza n. 9218 del 21 aprile 2011 (ud. del 21 febbraio 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che le perdite su crediti devono essere integralmente dedotte nell’esercizio di competenza, intendendosi per tale quello in cui si manifestano per la prima volta gli “elementi certi e precisi” dell’irrecuperabilità del credito.

 

Il processo

La C.T.R di Torino ha rigettato l’appello proposto dall’agenzia delle entrate nei confronti della soc. S.A., confermando l’annullamento dall’avviso di accertamento per maggior reddito ai fini IRPEG e IRAP nell’anno 1998.

Ha motivato la decisione ritenendo che era legittima la perdita su credito registrata nell’esercizio 1998, e non in quello 1992, atteso il ragionevole convincimento di poter recuperare il credito medesimo nelle more.

Davanti la Corte di Cassazione l’amministrazione finanziaria denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 66 del D.P.R. 917 del 1986 sostiene che i giudici d’appello – nell’affermare che “è all’imprenditore che, sulla base di motivazioni obiettivamente valide a legittimare la componente negativa di reddito derivante dall’eliminazione di poste attive, spetta di decidere quando sussistano i presupposti per la deducibilità della perdita stessa” — enuncia un principio di diritto non corretto, dovendo la deduzione essere operata con riferimento all’anno di competenza coincidente con l’esercizio in cui si siano concretizzati certi e precisi elementi circa la irrecuperabilità del credito. Aggiunge che – essendosi irrevocabilmente accertato in sede penale nel 1992 che nulla doveva il debitore apparente, raggirato da ignoto al pari della società contribuente — in quell’esercizio andava dedotta la perdita, e non nel 1998 allorquando la società creditrice aveva abbandonato ogni ricerca.

 

Il quesito di diritto posto

Il quesito di diritto posto è il seguente: “Vero che – D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. cit. – la perdita su crediti va portata in detrazione nell’esercizio in cui si verificano elementi certi e precisi che palesano l’irrecuperabilità del credito, a nulla rilevando in contrario l’intenzione dell’imprenditore di procedere ad ulteriori iniziative pel recupero del credito, ed il fatto che le assuma e non ritenga di desistere dal recupero del credito stesso ? “.

 

La sentenza

Il principio affermato dalla Suprema Corte nella sentenza in esame è del seguente tenore : “In tema di imposte sui redditi d’impresa, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. cit, comma 3, che prevede la deduzione delle perdite su crediti, quali componenti negative del reddito d’impresa, se risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, va interpretato nel senso che l’anno di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perchè in quel momento si materializzano gli elementi ‘certi e precisi’ della sua irrecuperabilità. Diversamente opinando si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che rappresenta invece criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d’impresa. La prova della sussistenza degli elementi suddetti non impone nè la dimostrazione che il creditore si sia attivato per esigere il suo credito, nè che sia intervenuta sentenza di fallimento del debitore” (Sez. 5, Sentenze cass. nn. 22135/2010, 16330/2005).

Nel caso di specie è pacifico, per averlo ammesso la stessa controricorrente, che il Pretore di Roma nel 1992 aveva irrevocabilmente accertato in sede penale che la ditta T.V.F. era del tutto estranea alla fornitura di caldaie fatturata dalla società contribuente per oltre 400 milioni di vecchie lire e che, raggirate sia la ditta debitrice apparente sia la società creditrice, il responsabile della frode era rimasto ignoto. La medesima contribuente adduce di non essersi rassegnata e di aver intrapreso ricerche varie, documentate dal carteggio epistolare con l’agente di zona e con i propri legali (1992, 1994, 1995).

Orbene, indiscusso in giurisprudenza il criterio dell’imputazione delle perdite su crediti secondo competenza, è smentito l’assunto dei giudici d’appello secondo cui “è all’imprenditore che … spetta di decidere quando sussistano i presupposti per la deducibilità della perdita stessa“.

Quindi, va accertato quando si verificano le condizioni di certezza dell’esistenza e determinabilità obiettiva dell’ammontare delle perdite su crediti.

Il riferimento – osserva la Corte – “non può che essere alla regola valida per il bilancio civilistico, per il quale i crediti devono essere iscritti secondo il valore di presumibile realizzazione, a mente dell’art. 2425, n. 6 (ora art. 2426 c.c., n. 8). Si è chiarito, nella giurisprudenza della Corte, che l’art. 2425 c.c., n. 6, (nella vecchia formulazione), disponendo che, ai fini dell’iscrizione nell’attivo del bilancio di società per azioni, i crediti ‘devono essere valutati secondo il presumibile valore di realizzazione’, non attribuisce agli amministratori una discrezionalità assoluta, ma implica una valutazione fondata sulla situazione concreta, secondo principi di razionalità (Sez. 1, cass. n. 17033/2008). Il che, in altri termini, implica che in bilancio non possano essere iscritti i crediti semplicemente sperati; al contrario persino i crediti pur certi, liquidi ed esigibili, qualora siano di dubbia o difficile esazione, non devono essere iscritti nel loro intero ammontare, bensì nella minore misura che – secondo un prudente apprezzamento – si presuma di poter realizzare (Sez. 1, Sentenza cass. n. 6431/1982)”.

Orbene, se ciò vale in via generale, “altrettanto vale nel peculiare caso in esame nel quale, assodata giudizialmente la completa estraneità del debitore apparente, il credito si è trasformato in una posta puramente figurativa non essendovi un debitore nè identificato, nè identificabile. Ne deriva che si trattava di un credito puramente sperato, il cui il presumibile valore di realizzazione era nullo in assenza di un debitore noto”.

Dunque, sul piano civilistico, osservano i giudici, già nel 1992 l’appostamento del recupero di tale credito non era fondato su alcun serio riscontro circa l’effettiva esperibilità di un’azione legale verso chicchessia. “Ne deriva il riflesso fiscale secondo cui l’anno di competenza per operare la deduzione non può che coincidere con quello – il 1992 – in cui il presumibile valore di realizzazione si è azzerato essendo emersi elementi ‘certi e precisi’ della sua irrecuperabilità, per essere addirittura ignota la parte debitrice”.

Né rilevano, secondo la Suprema Corte, “le infruttuose ricerche attivate dalla società creditrice e di cui vi è traccia nel carteggio del periodo 1994/5 con il proprio agente e il nuovo legale; e meno ancora rileva la lettera postuma (2001) con cui lo stesso legale attesta d’aver consigliato nel 1998 di passare la pratica a perdita, visto il fallimento di ogni indagine. Invero, come risulta dallo stesso controricorso e dalla sentenza di prime cure, sin dal 2 novembre 1992, il primo difensore della società, nel richiedere il saldo della sua parcella, aveva comunicato di ritenere sostanzialmente accantonata la pratica di recupero del consistente credito sulla base della situazione esistente a quella data, giudicata al momento pregiudicata e (‘per ora’) non modificabile”.

Afferma, ancora, la Corte, che i criteri civilistici e fiscali non consentono appostamenti di crediti puramente sperati in attesa di identificarne il soggetto debitore e dunque la convergente portata l’art. 2425 c.c., n. 6, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. cit., (entrambi nelle vecchie formulazioni), in relazione all’esercizio di competenza, fanno escludere che la perdita su credito verificatasi nel 1992 potesse essere riposizionata nell’esercizio 1998, ad arbitrio della società contribuente.

 

Brevi note

A mente dell’art. 101, c. 5, del T.U. n. 917/86 “… le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Ai fini del presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o dal provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi”.

Dalla lettura della norma emerge che le perdite su crediti sono deducibili:

  • se risultano da elementi certi e precisi, cioè “da elementi idonei a rendere la perdita ragionevolmente attendibile “(1);

  • in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali.

 

La perdita, per essere dedotta occorre che abbia “il requisito della certezza, quanto alla sua esistenza, e quello della oggettiva determinabilità, quanto al suo ammontare, in conformità al principio della competenza economica di cui all’art.75“(2).

Certezza e precisione sono elementi atti a comprovare la sussistenza della perdita e la stessa è fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa relativo all’esercizio in cui i suindicati requisiti si sono verificati.

 

Note

1) P. Ceppellini – R. Lugano, in “Testo Unico delle imposte sui redditi “, pag.484, Sesta edizione – Il Sole 24 ore.

2) M. Leo – F. Monacchi – M. Schiavo, in “Le imposte sui redditi nel testo unico“, pag. 981.

3) Cfr. Risoluzione della Direzione generale delle Imposte Dirette n.9/634 del 13 maggio 1982.

 

4 maggio 2011

Francesco Buetto