Le presunzioni legali contro i professionisti

Analizziamo le presunzioni fiscali che possono valere in caso di accertamento su dati bancari dei professionisti: in particolare, il problema dei prelievi…

Sentenza n. 802 del 14 gennaio 2011: la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull’applicabilità ai professionisti della presunzione legale di cui all’art.32, c. 1 nr. 2 del d.p.r. n.600/1973 nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dalla legge nr.311/2004.

sentenza corte di cassazioneLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 802 del 14 gennaio 2011, ponendosi sulla medesima linea interpretativa già espressa nell’ambito delle sentenze nn. 4601/02, 430/08 e 11750/08, è tornata a pronunciarsi in merito all’ambito soggettivo di applicazione della presunzione di ricavi iuris tantum connessa ai prelevamenti sui conti correnti bancari di cui all’art.32, comma 1 nr.2 del D.P.R. nr.600/1973, nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dall’art.1, commi da 402 a 404 della Legge Finanziaria 2005 (Legge nr.311 del 30 dicembre 2004).

Infatti, la Suprema Corte, con specifico riferimento all’applicabilità delle dianzi richiamate disposizioni normative anche ai professionisti, ha ribadito che

“è del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la norma in questione, e la presunzione in essa contenuta, seppure letteralmente riferibile ai soli ricavi, sia da intendersi applicabile anche al reddito da lavoro autonomo, e non solo al reddito di impresa”.

 

La quaestio iuris analizzata dall’organo giurisdizionale de quo discende è strettamente connessa al dato letterale dell’ art.32, comma 1 nr.2 del D.P.R. nr.600/1973 che, nella previgente formulazione, disponeva testualmente:

“I dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti annotati negli stessi conti e non risultanti dalle scritture contabili”.1

 

Tale presunzione legale2 relativa, pertanto, è finalizzata al recupero a tassazione di un maggior reddito che si ritiene conseguito in virtù del fatto che a prelevamenti bancari non giustificati possono ragionevolemente corrispondere acquisti non contabilizzati di beni o servizi utilizzati per la successiva cessione di beni o prestazione di servizi i cui ricavi non sono transitati in contabilità.

In altre parole, agli ammontari prelevati potrebbero corrispondere spese non dichiarate cui possono fare seguito ricavi occultati all’Amministrazione Finanziaria e percepiti nell’ambito dell’attività esercitata.3

La Corte di Cassazione, con sentenza nr. 18016 del 9 ottobre 2005, ha chiarito che tutti i movimenti risultanti dai conti, sia le operazioni di prelievo che di versamento, devono essere imputati a ricavo, salva la prova contraria fornita dal contribuente che è tenuto a provare, altresì, la sussistenza di costi non contabilizzati riconducibili alle operazioni di prelievo, in quanto non è lecito presumere che se un soggetto ha occultato componenti positivi di reddito debba avere anche dichiarato parzialmente i costi sostenuti nell’esercizio dell’attività visto che, al contrario,

“la norma muove dal presupposto che il contribuente tenda ad occultare i ricavi, ma non i costi”.

La formulazione della norma disciplinante la presunzione legale di cui trattasi precedente alle modifiche apportate dalla Legge Finanziaria 2005 ha suscitato dubbi interpretativi in merito alla legittimità della ricomprensione nel suo ambito soggettivo di applicazione dei percettori di redditi derivanti dall’esercizio di lavoro autonomo. Pertanto, sussisteva una incertezza inerente la possibilità di utilizzare una presunzione di tal guisa a danno del contribuente titolare di un’attività di natura professionale sulla base dei prelievi bancari non giustificati e non risultanti dalle scritture contabili.

Quanto sopra, in ragione del fatto che l’espressione “ricavi” utilizzata dal legislatore inerisce ai soggetti titolari di reddito d’impresa, diversamente dai lavoratori autonomi che, dall’esercizio di arti o professioni, conseguono “compensi”.

Sul punto sembra utile richiamare quanto affermato dalla Commissione Tributaria Provinciale – distr.le Forlì, Sezione II, che con sentenza del 1 marzo 1996 nr.96, ha sottolineato che

“L’art. 32 comma 1 n. 2, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, dispone che se il contribuente sottoposto a verifica non indica il soggetto beneficiario dei prelevamenti annotati nei conti correnti bancari e non risultanti dalle scritture contabili, questi si considerano “ricavi”, e tale disposizione non è applicabile nei confronti degli esercenti arti e professioni, i quali – quantunque obbligati alla tenuta di scritture contabili – non producono “ricavi” (riferibili ai redditi d’impresa), bensì “compensi” (riferibili ai redditi di lavoro autonomo), cosicché l’interpretazione letterale nonché sistematica della locuzione “ricavi” porta ad escludere l’estensibilità della norma in questione (avente carattere eccezionale) ai professionisti.”

La Corte di Cassazione, al contario, con la sentenza in analisi, richiamando, tra le altre la sentenza nr.11750 del 18 febbraio 2008, depositata il 12 maggio 2008, ribadisce il principio dell’utilizzabilità delle rilevazioni bancarie anche nei confronti dei professionisti, ponendosi sulla medesima linea interpretativa già espressa dallo stesso organo in diverse occasione, come, ad esempio, con le sentenza nr.2438 del 5 febbario 20074, nr.19330 dell’8 settembre 2006 e nr.11094 del 6 ottobre 1999.

L’organo giudicante, pertanto, respinge l’interpretazione restrittiva della norma in esame, affermando che l’utilizzo dell’espressione “ricavi” non può ragionevolmente portare alla conclusione che la presunzione de qua, avente fonte legale nell’art.32, comma 1, nr.2 del D.P.R. nr.600/1973, possa essere riferita esclusivamente al reddito d’impresa e non a quello di lavoratore autonomo.

Di conseguenza, sia per l’attività di natura imprenditoriale, che per quella di natura professionale, i prelevamenti bancari non registrati nella contabilità ed in merito ai quali il contribuente non è in grado di indicare il beneficiario, sono idonei a rappresentare il probabile utilizzo per acquisti “in nero” ai quali collegare introiti occultati all’Amministrazione Finanziaria.

In ogni caso, a detta della Corte di Cassazione, per la risoluzione del thema decidendum prospettato nel caso concreto dal contribuente, è sufficiente fare riferimento semplicemente a quanto disposto dal primo periodo dell’art.32, comma 1 nr.2, in virtù del quale i dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.

Quanto sopra, in ragione del fatto che l’espressione “dati ed elementi risultanti dai conti”, avente portata generale ed applicabile ad ogni contribuente, è pacificamente riferibile anche ai professionisti e comprende, altresì, i prelevamenti.

La posizione espressa dalla Corte di Cassazione riprende quanto già sottolineato, altresì, nella sentenza nr.11094 del 6 ottobre 1999, nella quale, respingendo la tesi prospettata dal ricorrente tendente ad affermare che la presunzione relativa ai redditi d’impresa non sia applicabile ai quelli di lavoro autonomo, producendo l’attività professionale solo “compensi”, si legge che

“Deve comunque escludersi, che, nel caso, si debba tenere conto della parola “ricavi” usata al n. 2 dell’art. 32 del D.P.R. 600-73, per affermare che la norma disciplinerebbe solo i redditi d’impresa e non quelli di lavoro autonomo in sede di verifica dei conti correnti acquisiti ai sensi del n. 7 dello stesso art. 32.”

L’attuale formulazione dell’art.32, comma 1 nr.2 del D.P.R. nr.600/1973 è frutto delle innovazioni apportate dalla Legge n. 311 del 30 dicembre 2004, pubblicata nel supplemento ordinario n. 192 alla “Gazzetta Ufficiale” del 31 dicembre 2004, che, con i commi da 402 a 404 dell’art. 1, ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina fiscale delle indagini finanziarie, prevedendo l’estensione dei poteri di rilevamento anche alle c.d. operazioni fuori conto 5, l’allargamento dei soggetti ai quali l’Amministrazione Finanziaria può richiedere dati e notizie6, la definizione di nuove procedure e modalità di scambio delle informazioni tra gli Uffici e gli intermediari interpellati e una più chiara disciplina concernente l’utilizzabilità dei versamenti e prelevamenti bancari in sede di accertamento.

L’art.32, comma 1, nr.2, infatti, nella versione in vigore, dispone che

“I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma o acquisiti ai sensi dell’art.18, comma 3, lettera b) del decreto Legislativo 26 ottobre 1995, nr.504, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

In tal modo, pertanto, il legislatore, utilizzando l’espressione “compensi”, ha chiarito la possibilità di utilizzare legittimamente la presunzione iuris tantum di cui trattasi anche ai professionisti.

 

di Nicola Monfreda

 

NOTE

1 Si ritiene utile ricordare che le indagini finanziarie, prima dell’entrata in vigore dell’art.18 della Legge nr.413 del 30 dicembre 1991, erano legittimate al ricorrere di tassative ipotesi e nel rispetto di restrittivi iter procedurali, disciplinati nell’art.35 del D.P.R. nr.600/1973, ora abrogato.

La disposizione di cui sopra, infatti, prevedeva che: “Su conforme parere dell’ispettorato compartimentale delle imposte dirette, l’ufficio delle imposte, previa autorizzazione del presidente della commissione tributaria di primo grado territorialmente competente, può richiedere ad aziende ed istituti di credito e all’amministrazione postale di trasmettere, entro un termine non inferiore a sessanta giorni, la copia dei conti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti comprese le garanzie prestate da terzi, nelle seguenti ipotesi:

a ) quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione e l’ufficio è in possesso di elementi certi dai quali risulta che nel periodo d’imposta ha conseguito ricavi o altre entrate per ammontare superiore a cento milioni di lire ovvero, se persona fisica, ha acquistato beni di cui al secondo comma dell’art. 2 per ammontare superiore a venticinque milioni di lire;

b ) quando da elementi certi in possesso dell’ufficio risulta che il contribuente ha conseguito nel periodo d’imposta ricavi o altre entrate, rilevanti per la determinazione dell’imponibile, per ammontare superiore al quadruplo di quelli dichiarati, a meno che la differenza sia inferiore a cento milioni di lire;

c ) quando il contribuente non ha tenuto per tre periodi d’imposta consecutivi le scritture contabili prescritte dagli articoli 14, 18, 19 e 20. La richiesta può riguardare anche i conti successivi al periodo o ai periodi d’imposta cui si riferiscono i fatti indicati nel precedente comma e può essere estesa ai conti intestati al coniuge non legalmente ed effettivamente separato ed ai figli minori conviventi. Si applicano le disposizioni di cui al secondo comma dell’art. 34.”

2 Ai sensi dell’art.2728 c.c. le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite.

3 Sulla legittimità delle disposizioni di cui all’art.32, comma 1 nr.2 del D.P.R. nr. 600/1973 si è pronunciata la Corte Costituzionale che, con sentenza dell’8 giugno 2005 nr.225, ha dichiarato “ non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.32, primo comma, numero 2), del D.P.R. 29 settembre 1973, n.600, sollevata in riferimento agli artt.3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione Tributaria Regionale di Torino”.

4 Nella sentenza nr. 2438/2007, la Corte di Cassazione afferma la legittimità del procedimento di imputazione a compensi derivanti dall’esercizio dell’attività di lavoro autonomo di tutti i versamenti comparenti sul conto corrente per i quali non risulta fornita prova di estraneità all’attività lavorativa.

5 La principale novità rinvenibile nella riformulazione del n. 7) dell’art.32 è relativa all’elemento oggettivo dell’indagine bancaria, ovvero il tipo di operazioni che possono essere intercettate in sede di controllo fiscale.

Il nuovo n. 7) stabilisce, infatti, che le richieste dell’Amministrazione Finanziaria possono avere ad oggetto dati e notizie riferibili, non solo a “rapporti di conto” intrattenuti dal contribuente controllato, ma a “qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi”.

La vigente normativa, così come riformulata, prevede, pertanto, la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di attivare la procedura per l’acquisizione dei dati relativi a tutti i rapporti intrattenuti e alle operazioni effettuate dal contribuente con operatori finanziari a seguito del rilascio, da parte di un organo interno alla stessa Amministrazione, di un’autorizzazione, configurabile, secondo la più accreditata dottrina, quale “provvedimento amministrativo di natura ampliativa”. Risultano, conseguentemente, conoscibili non soltanto tutti i servizi di investimento offerti dagli enti creditizi e finanziari (ad esempio, le gestioni patrimoniali), ma pure tutte quelle prestazioni rese alla clientela, di carattere accessorio, che possono assumere rilievo ai fini dell’individuazione delle disponibilità finanziarie dei contribuenti sottoposti a controllo.

A proposito dell’estensione dei poteri di indagine ai “servizi prestati” al cliente, appare utile riportare la definizione normativa di servizi accessori stabilita dal vigente testo unico delle disposizioni in materia finanziaria (articolo 1, comma 6 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58). Ai sensi di tale disposizione, infatti, per “servizi accessori” si intendono:
a) la custodia e amministrazione di strumenti finanziari e relativi servizi connessi; b) la locazione di cassette di sicurezza; c) la concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di effettuare un’operazione relativa a strumenti finanziari, nella quale interviene il soggetto che concede il finanziamento; d) la consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni connesse, nonché la consulenza e i servizi concernenti le concentrazioni e l’acquisto di imprese; e) i servizi connessi all’emissione o al collocamento di strumenti finanziari, ivi compresa l’organizzazione e la costituzione di consorzi di garanzia e collocamento; f) la consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari; g) l’intermediazione in scambi, quando collegata alla prestazione di servizi d’investimento; g-bis) le attività ed i servizi connessi alla prestazione di servizi di investimento o accessori aventi ad oggetto strumenti derivati.

6 La nuova disposizione prevede, infatti, che le richieste della Guardia di Finanza o degli uffici dell’Agenzia delle Entrate potranno essere rivolte non solo a banche e poste (limitatamente, per queste ultime, alle attività finanziarie e creditizie), ma anche a: intermediari finanziari, imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio, società di gestione del risparmio, società fiduciarie.
In altre parole il legislatore ha tenuto conto della molteplicità di strumenti o rapporti contrattuali che possono essere posti in essere con ulteriori operatori specializzati, mediante i quali possono essere convogliate e drenate ingenti liquidità. Assume, al riguardo, particolare rilevanza la possibilità di acquisire dati e notizie dalle società fiduciarie, sia di gestione che di amministrazione. In altre parole, la normativa, uniformandosi al parere del Consiglio di Stato del 1° luglio 2003, n. 2345, ha equiparato il «segreto bancario» a quello «fiduciario» ed inserito le società fiduciarie tra i soggetti destinatari dei precetti in analisi. Pertanto, è possibile l’acquisizione di dati e notizie presso tutti gli operatori che istituzionalmente pongono in essere operazioni di gestione, impiego e movimentazione delle disponibilità finanziarie della clientela, in base alla normativa vigente in tema di esercizio dell’attività bancaria e di intermediazione finanziaria di cui al D.Lgs.n.385/95 e successive modificazioni e al D.Lgs.n.58/98.

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