Sicurezza sul lavoro e agevolazioni fiscali

Se l’azienda non ha rispettato le regole sulla sicurezza sul lavoro, rischia di vedersi revocato il bonus fiscale in sede di accertamento.

Con sentenza n. 21698 del 22 ottobre 2010 (ud. del 22 giugno 2010) la Corte di Cassazione ha affermato che per fruire dell’agevolazione tributaria in tema di incremento dell’occupazione, ex Legge n. 388/2000, il contribuente deve osservare le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dal D.Lgs. n. 626/1994.

 

 

La sentenza

La sentenza prende le mosse dal dettato normativo di riferimento – art. 7, c. 5, della L. 23 dicembre 2000, n. 388 -, secondo cui

“il credito d’imposta di cui al comma 1 spetta a condizione che … d) siano rispettate le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dai D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, e loro successive modificazioni, nonchè dai successivi decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie in materia di sicurezza ed igiene del lavoro”.

 

Il D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, c. 11, a sua volta, impone (“è tenuto comunque”; “deve essere inviata”) al “datore di lavoro” (sia “delle aziende familiari” che “delle aziende che occupano fino a dieci addetti”), di “autocertificare per iscritto l’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l’adempimento degli obblighi ad essa collegati” e di inviare tale “autocertificazione … al rappresentante per la sicurezza”.

Dal congiunto esame delle riprodotte disposizioni si ricava che l’”autocertificazione” (sempre che sia stata anche inviata al rappresentante per la sicurezza) costituisce “condizione” normativa per poter fruire (con il concorso delle altre “condizioni” indicate nella stessa norma) del “credito d’imposta”, quindi un elemento indefettibile dell’astratta fattispecie regolatrice del beneficio fiscale avente ad oggetto detto “credito”.

In carenza di qualsivoglia contrario segno normativo deve, di poi, ritenersi che la spettanza di tale beneficio discenda ex lege, ovverosia unicamente dal positivo concorso di tutte le “condizioni” volute dal legislatore e sia, quindi, del tutto avulsa da qualsivoglia attività discrezionale (quand’anche da esercitare in base a canoni prefissati), per così dire concessoria, dell’amministrazione finanziaria: il credito in questione, pertanto, costituisce un vero e proprio diritto soggettivo perfetto del contribuente che si trovi nelle “condizioni” previste dal legislatore.

A fronte di tanto, per la medesima carenza, l’amministrazione può esercitare il generale potere proprio di controllare la dichiarazione dei redditi del contribuente e di conseguenza, verificare se sussistano effettivamente le condizioni (soggettive ed oggettive) necessarie per fruire del credito d’imposta dallo stesso esposto in dichiarazione (od in questa presupposto), ovverosia, come correttamente espresso dal giudice di appello, il potere di verificare l’esistenza di tutti i presupposti fattuali richiesti dalle norme, in particolare (nel caso) di quelli previsti dalla L. n. 388 del 2000.

Da questa esatta affermazione della Commissione Tributaria Regionale – peraltro non confutata dal ricorrente – ne discende per la Corte di Cassazione l’univoca, logica risposta negativa a tutti i quesiti di diritto posti dal ricorrente medesimo perchè nessuna sua osservazione, anche giuridica, inficia (nè è, comunque, idonea a contrastare) il semplice rilievo del giudice di appello secondo cui l’Ufficio ha, nel caso, esercitato (come suo obbligo, peraltro) unicamente il potere di verificare l’esistenza di tutti i presupposti fattuali previsti dalla L. n. 388 del 2000, art. 7, c. 5, per il credito d’imposta, cioè il potere di controllare la dichiarazione fiscale dell’associazione.

Vanamente, di conseguenza, questa invoca il disposto della L. n. 388 del 2000, medesimo art. 7 c. 7, citato innanzi – laddove impone (e, quindi, consente) la revoca delle agevolazioni (“le agevolazioni sono revocate”), tra le altre, (solo) in ipotesi di definitivo accertamento di “violazioni … alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori” – per protestare la mancanza, di un accertamento definitivo in ordine ad una violazione siffatta, atteso che la revoca delle agevolazioni disposta dal comma 7, costituisce una fattispecie oggettivamente del tutto diversa da quella concernente l’esercizio del potere – dovere dell’Ufficio di controllare la esistenza dei presupposti costitutivi del credito fiscale vantato dal contribuente nella propria dichiarazione, alla quale, pertanto, non è assolutamente riconducibile l’esercizio del detto potere di revoca.

Per il medesimo art. 5, c. 5, invero, il credito d’imposta, naturalmente, spetta unicamente quando ricorrano effettivamente tutte le condizioni previste dalla norma.

 

Le condizioni previste dalle lettere c) e d):

  • “siano osservati i contratti collettivi nazionali anche con riferimento ai soggetti che non hanno dato diritto al credito d’imposta”;

  • “siano rispettate le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori”.

 

Dette condizioni hanno

 

“una dinamicità propria perché mutabili nel corso del rapporto di lavoro per cui è agevolmente ipotizzabile l’eventualità dell’inosservanza delle stesse e, con ciò, il concreto mancato raggiungimento delle finalità (incremento occupazionale giovanile protetto ed emersione, a fini contributivi e fiscali, del c.d. lavoro in nero) perseguite dalla norma: donde la sanzione della revoca delle agevolazioni comminata dal legislatore per l’ipotesi in cui vengano definitivamente accertate violazioni alla normativa, sia essa fiscale e/o contributiva in materia di lavoro dipendente e/o sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori”.

 

Per la Corte, il definitivo accertamento di violazioni alla normativa detta, intuitivamente, integra fattispecie del tutto diversa dalla sussistenza delle condizioni per il sorgere del diritto al credito d’imposta, per cui è agevole identificare, in base all’oggetto del controllo, il campo di azione (quindi la competenza) degli organi di vigilanza pubblica nel senso che l’amministrazione fiscale ha sia il generale potere (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e ss.) di verificare la dichiarazione del contribuente, quindi di accertare la realtà delle condizioni costitutive del credito esposte in e/o supposte dalla dichiarazione stessa, sia quello particolare di revoca, questa soltanto esercitabile unicamente in presenza di definitivo accertamento di una delle violazioni predette.

Di conseguenza, per la Corte, si rivelano inconferenti le contestazioni della ricorrente circa il “carattere formale e non sostanziale della violazione contestata” ovvero sull’inesistenza del “potere dei dipendenti dell’Agenzia … di effettuare l’accertamento delle violazioni afferenti le prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori” od al “carattere definitivo dell’accertamento effettuato”, non avendo la stessa contestato (come accertato dal giudice del merito) la materiale inesistenza della condizione – data dalla formazione dell’autocertificazione ovverosia dell’attestazione scritta del datore di lavoro avente un contenuto niente affatto formale perchè con la stessa quel datore deve dichiarare, assumendosene la responsabilità:

  1. di avere effettuato la valutazione dei rischi e, soprattutto;

  2. di avere adempiuto agli obblighi ad essa collegati (ovverosia agli obblighi collegati alla operata valutazione dei rischi) e dall’invio della stessa al rappresentante della sicurezza – indispensabile, giusta il combinato disposto della L. n. 388 del 2000, art. 7, c. 5, e del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, c. 11, per fruire del credito di imposta vantato nella dichiarazione dei redditi.

 

17 novembre 2010

Francesco Buetto