Giudizio di ottemperanza: formalità da eseguire per proporlo correttamente – con Sent Cass. Sez. trib. n. 20202 del 5/07/2010

Procedura esecutiva e giudizio di ottemperanza: la procedura per adire a questo ultimo non è coincidente con quella esecutiva…

Il giudizio di ottemperanza

Intervento del giudice di legittimità

giudizio di ottemperanza e commissario ad actaIl giudizio di ottemperanza, in quanto rivolto a rendere effettivo, mediante idonei provvedimenti, l’ordine di esecuzione contenuto nella sentenza passata in giudicato, di cui costituisce un’integrazione ed un compimento deve ritenersi complementare ad eventuale procedimento esecutivo, senza che possa ipotizzarsi una autenticità pregiudiziale dell’esecuzione forzata rispetto al giudizio di ottemperanza.

Conseguentemente devono considerarsi distinti anche se concorrenti la procedura esecutiva ed il giudizio di ottemperanza, per cui la procedura per adire a questo ultimo non è coincidente con quella esecutiva e non essendo previsto alcun termine per l’Amministrazione finanziaria o per gli enti locali per adempiere al giudicato, unica condizione per la proponibilità del giudizio de quo è il decorso del termine di trenta giorni decorrenti dalla messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario.

Di conseguenza nel giudizio di ottemperanza non occorre osservare, a pena di inammissibilità, il termine perentorio di centoventi giorni dalla notifica della sentenza in forma esecutiva di cui all’art. 14 del D.L. n. 669/1996, convertito in L. n. 30/1997.

Tale importante assunto è stato precisato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 20202 del 24 settembre 2010 disattendendo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il preventivo decorso del termine di 120 giorni dalla notifica della sentenza definitiva, previsto dall’articolo 14 del D.L. n. 669/96, costituisce condizione di proponibilità del ricorso per ottemperanza, in coerenza con la natura dell’istituto alla base del quale c’è l’inadempimento dell’Amministrazione;questa, prima della scadenza del termine in questione, non può dirsi inadempiente rispetto alla sentenza che la condanna al pagamento di somme di denaro e, quindi, non può essere ritualmente evocabile in giudizio (CTR del Friuli – Venezia – Giulia Sentenza n. 13/11/06 del 18 gennaio 2006).

L’iter logico giuridico adottato dalla citata pronuncia del giudice di legittimità si è così sviluppato:

  • Nella specie, il contribuente non ha notificato alcun atto di precetto per cui avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 14 citato attendere centoventi giorni per procedere all’esecuzione forzata(1), ma ha adito la Commissione tributaria provinciale con ricorso di ottemperanza della sentenza, avente un dispositivo di condanna solo in riferimento alle spese legali ed ha rispettato il termine di trenta giorni dalla notifica della messa in mora;
  • è evidente che il contribuente non ha instaurato una procedura esecutiva per la quale a norma dell’invocato art. 14, è necessario attendere 120 giorni;
  • è principio costante della giurisprudenza di Cassazione che il ricorso per ottemperanza è ammissibile ogni qualvolta debba farsi valere l’inerzia della Pubblica Amministrazione rispetto al giudicato, ovvero la difformità specifica dell’atto posto in essere dall’Amministrazione rispetto all’obbligo processuale di attenersi all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire (Cons. Stato n. 992/1998), e ciò indipendentemente dall’attivazione di altra eventuale procedura esecutiva; intatti il giudizio di ottemperanza, in quanto rivolto a rendere effettivo, mediante idonei provvedimenti, l’ordine di esecuzione contenuto nella sentenza passata in giudicato, di cui costituisce un’integrazione ed un compimento (circolare n. 98/E del 23 aprile 1996) deve ritenersi complementare (Cass., SS.UU., sent. n. 1593/1994) ad eventuale procedimento esecutivo, senza che possa ipotizzarsi un’autenticità pregiudiziale dell’esecuzione forzata rispetto al giudizio di ottemperanza, il quale mira a garantire un’azione amministrativa conforme ad una decisione vincolante soprattutto allorché questa non contenga un precetto dotato dei caratteri di puntualità e precisione propri del titolo esecutivo (Cons. Stato nn. 535/1990; 650/1991; 711/1991), come accade nel caso di sentenze aventi ad oggetto un facere, ovvero di disposizioni relative ad adempimenti prodromici ad un pagamento.
    È infatti proprio il comportamento della Pubblica Amministrazione inerte, elusivo o, peggio, contrario al giudicato a costituire condizione dell’azione di ottemperanza al giudicato (Cons. Stato nn. 652/1984; 779/1995; 328/1996);
  • In tal senso il giudizio di ottemperanza ulteriormente si differenzia rispetto al concorrente giudizio esecutivo civile, in quanto il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato (art. 70, c. 1, del D.Lgs. n. 546/1992: “Salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l’esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse può chiedere l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza …”), ma piuttosto quello di rendere effettivo quel comando, anche e specialmente se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo.
    Ed è proprio la natura sui generis di tale giudizio, caratterizzato da un misto di poteri coglitori ed esecutivi, nel quale il giudice dell’ottemperanza deve prioritariamente verificare il dispositivo della sentenza rimasta inapplicata per individuare gli obblighi ivi prescritti, valutare quindi la portata di tale dispositivo in una con la motivazione, per poi svolgere la tipica attività di merito dell’ottemperanza, che è quella dell’adozione di provvedimenti in luogo dell’amministrazione inadempiente, che richiede una particolare attività del giudice, rivolta ad individuare il complessivo oggetto dell’ottemperanza per il ripristino dell’integrità della posizione del ricorrente, per poter realizzare non un’espropriazione di beni propria dell’esecuzione ordinaria, ma la sostituzione coattiva dell’attività amministrativa che l’ufficio avrebbe dovuto svolgere e non ha svolto, o ha svolto in maniera difforme dal giudicato;
  • da tali considerazioni discende che quindi devono considerarsi distinti anche se concorrenti la procedura esecutiva ed il giudizio di ottemperanza, per cui la procedura per adire a quest’ultimo non è coincidente con quella esecutiva e non essendo previsto alcun termine per l’Amministrazione finanziaria o per gli enti locali per adempiere al giudicato, unica condizione per la proponibilità del giudizio de quo è il decorso del termine di trenta giorni decorrenti dalla messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario, adempimento compiuto dal contribuente.

Distinzione tra processo di cognizione e processo d’esecuzione

Occorre distinguere, anche nell’ambito tributario, tra processo di cognizione e processo d’esecuzione.

assoluzione nel processo tributarioIl primo è finalizzato a verificare il fondamento nel merito della domanda; il secondo(2) a realizzare coattivamente, contro la volontà della controparte, la pretesa accertata dal primo.

L’esecuzione forzata nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria può avvenire sulla base titolo esecutivo, costituito dalla sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro emessa dal giudice tributario.

Nel processo tributario la sentenza di condanna dell’ufficio tributario alla restituzione di somme illegittimamente riscosse può essere eseguita, in via coattiva, solo con il passaggio in giudicato, quando si esauriscono tutti i gradi del giudizio o quando, per scadenza dei termini, non è più impugnabile (art. 69 del D.lgs. n. 546 del 1992).

In tal caso, la segreteria della Commissione tributaria, che ha emesso la sentenza, rilascia copia della stessa spedita in forma esecutiva, ai sensi dell’art. 475 del c.p.c. apponendo su di essa la formula di rito ivi prevista.

Tale sentenza acquista, quindi, la qualità di titolo esecutivo ai sensi del citato c.p.c. al fine di consentire l’inizio della procedura d’espropriazione forzata. Per adire il giudice civile dell’esecuzione è necessario un titolo esecutivo consistente in una copia della sentenza della CT passata in giudicato, spedita in forma esecutiva ai sensi dell’articolo 69 del D.lgs. 546/92.Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, la parte interessata ha il diritto di chiedere alla segreteria che l’ha emessa il rilascio di una copia in forma esecutiva.

La segreteria è tenuta a spedirla a norma dell’articolo 475 del c.p.c..

Tale sentenza di condanna, spedita in forma esecutiva, assurge a titolo per azioni esecutive previste dal c.p.c..

La sentenza spedita in formula esecutiva costituisce titolo idoneo per l’instaurazione di un’azione esecutiva solo se sussiste la condanna al pagamento di un credito certo, liquido ed esigibile. ai sensi dell’articolo 474 del c.p.c.. Ai fini del giudizio d’ottemperanza è richiesta la formazione del giudicato ma non il titolo esecutivo.

Orbene, con la sentenza n. 358 del 14/01/2004 il giudice di legittimità ha statuito che il ricorso per l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle CT non è limitata alla sola ipotesi di pronuncia definitiva esaustiva dell’intera controversia(cd. giudicato formale ex articolo 324 del c.p.c.) ossia il contribuente può richiedere al giudice l’attuazione coattiva anche di singole parti o capi della sentenza, rispetto alle quali si è formato il cd. giudicato interno (si pensi alle ipotesi in cui l’ufficio soccombente su più questioni propone specifica impugnazione della sentenza solo su alcune di esse e quindi non impugna il capo concernente la spettanza del rimborso).

Il passaggio in giudicato costituisce presupposto processuale e non condizione dell’actio judicati talché deve necessariamente sussistere al momento della proposizione della domanda e non al momento della decisione finale.

In definitiva, non è sufficiente che la sentenza sia esecutiva ma occorre il giudicato formale oppure il giudicato interno in quanto l’esperibilità dell’actio judicati innanzi al giudice dell’ottemperanza presuppone il massimo grado di certezza.

La coercibilità reale della statuizione di condanna al rimborso e’ subordinata al giudicato formale o interno non essendo sufficiente che la sentenza di cognizione produca effetti imperativi o esecutivi nello spazio temporale intercorrente fino alla pronuncia d’appello o di cassazione.

Anche nel nuovo processo tributario si deve tener presente la cosa giudicata formale (articolo 324 c.p.c.), la cosa giudicata sostanziale e il giudicato interno. L’opinione prevalente, riguardo alle due forme di giudicato (esterno e sostanziale), è che non si tratti di fenomeni diversi ma di due aspetti dello stesso fenomeno costituito dall’inconvertibilità delle sentenza e dell’immutabilità dei suoi effetti.

L’articolo 2909 del c.c. è inteso a definire il contenuto oggettivo e i limiti degli effetti della sentenza mente l’articolo 324 del c.p.c. si limita a definire il momento in cui essi divengono immutabili.

La cosa giudicata formale riguarda la non impugnabilità della sentenza dal momento in cui non sono più esperibili i mezzi ordinari d’impugnazione (immutabilità della sentenza come atto).

Il giudicato sostanziale individua in maniera indiscutibile ed unica l’obbligazione da tenere nei confronti della controparte con l’ordine di eseguire la prestazione dovuta.

Nel caso di sentenza di condanna al rimborso l’esecuzione forzata civile e il giudizio d’ottemperanza assurgono a mezzi di tutela concorrenti e cumulabili che possono essere esperiti anche contestualmente essendo non necessario che vi sia stato un esito infruttuoso dell’azione esecutiva civilistica.

Il giudizio d’ottemperanza e la procedura esecutiva ordinaria differiscono fra loro per presupposti, struttura e finalità e, pertanto, la soluzione e’ quella della concorrenzialità e cumulabilità: il giudice civile dell’esecuzione forzata sottomette i beni del fisco all’esecuzione coattiva mentre il giudice dell’ottemperanza si sostituisce al fisco inerte o inadempiente trovando il denaro tramite un’attività provvedimentale.

Si è ritenuto che il processo di esecuzione sia esperibile nel caso in cui la condanna riguardi il pagamento di una somma di denaro ed il giudizio di ottemperanza sia esperibile solo se la condanna riguardi l’obbligo di fare(es. cancellazione di una ipoteca).

Un preciso orientamento propende per l’esperibilità del giudizio di ottemperanza indipendentemente dall’obbligo stabilito dalla sentenza, ritenendo, peraltro, ammissibile la alternatività e/o cumulabilità dei due istituti soprattutto nel caso in cui la condanna riguardi il pagamento di somme di denaro.

Altro orientamento ritiene che nel caso in cui la condanna riguardi il pagamento di una somma di denaro si deve prima esperire il processo di esecuzione e successivamente il giudizio di ottemperanza.

Ulteriore orientamento ritiene esperibile il giudizio di ottemperanza solo nel caso di condanna all’obbligo di fare ed il giudizio di esecuzione esclusivamente nell’ipotesi di condanna al pagamento di una somma di denaro

Il ricorso all’esecuzione forzata di diritto comune, eventualmente rimasta senza esito, nell’ipotesi di condanna al rimborso non costituisca condizione per adire il giudice dell’ottemperanza.

Il rapporto tra esecuzione forzata e giudizio d’ottemperanza va analizzato in funzione integrativa e non in funzione sostitutiva, in quanto il giudizio d’ottemperanza può rimuovere atti amministrativi che impediscono l’esecuzione forzata civile.

Il ricorso al giudizio d’ottemperanza si configura come un sistema complementare di tutela che si aggiunge all’esperimento del procedimento esecutivo previsto dal codice di rito, istituzionalmente preordinato all’attuazione delle sentenze di condanna a pagare, con la conseguenza che spetta alla valutazione del creditore scegliere se percorrere la via dell’esecuzione e/o quella del giudizio d’ottemperanza. I due istituti si trovano in un rapporto di parallelismo ed autonomia avendo in comune lo scopo di soddisfare l’interesse del contribuente: la soddisfazione di tale interesse rappresenta il fattore di gran lunga prevalente, che fa apparire irrilevante il mezzo giuridico utilizzato.

Ciò premesso, è innegabile che il giudizio d’ottemperanza (art. 70 D.lgs. 31.12.1992, n. 546), presenti maggiori profili di speditezza, d’economicità e d’efficacia, rispetto all’esecuzione disciplinata dal c.p.c. pur richiamata dalla stessa normativa sul contenzioso tributario (art. 69 D.lgs. 546/1992).

Il giudizio d’ottemperanza è preferibile, sotto il profilo dell’efficacia, all’esecuzione forzata ordinaria i cui riconosciuti limiti sono la difficoltà di reperire beni del patrimonio disponibile e la frequenza delle opposizioni della P.A. spesso dettate dalla necessità di evitare duplicazione di pagamenti o dall’appurata impignorabilità del bene (si pensi a somme di competenza del personale dell’agenzia); è un dato incontrovertibile l’insufficienza dell’esecuzione forzata processuale civilistica ad assicurare la piena soddisfazione degli interessi del ricorrente vincitore nel giudizio, anche se il pignoramento investe oltre che le spese legali anche gli interessi maturandi fino all’assegnazione della somma a favore del creditore.

Inoltre, l’ottemperanza s’inserisce nello svolgimento funzionale dell’azione amministrativa: e’ ottemperanza l’attività diretta al reperimento dei fondi necessari per la corresponsione al contribuente della somma indebitamente riscossa dal fisco (si pensi all’ordine del giudice dell’ottemperanza al concessionario dei servizi di riscossione tributi di corrispondere al contribuente la somma stabilità nella sentenza passata in giudicato con prelievo dai fondi riscossi per conto dell’erario), lo storno di capitale già impegnato, il mutamento di destinazione dei beni.

Appare, dunque, evidente che, in presenza di sentenza esecutiva, ossia spedita in forma esecutiva ai sensi dell’art. 69 del D.Lgs. 546/92, o di sentenza di ottemperanza immediatamente esecutiva ex art. 70, c. 9, D.Lgs. 546/92, il rimborso deve essere comunque disposto “in conto sospeso” per evitare ulteriori aggravi di oneri.

L’art. 14, c. 1-bis, primo periodo del DL n. 669 del 1996, come modificato dall’art. 1 del DL n. 269 del 2003, testualmente recita:

“gli atti introduttivi del giudizio di cognizione, gli atti di precetto nonché gli atti di pignoramento e sequestro devono essere notificati a pena di nullità presso la struttura territoriale dell’Ente pubblico nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati e contenere i dati anagrafici dell’interessato, il codice fiscale ed il domicilio”.

Ne consegue che i predetti atti devono essere notificati presso l’Ufficio dell’Agenzia nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati.

Di contro, sono da considerarsi viziate da nullità le notificazioni degli atti di precetto e/o di pignoramento eseguite presso l’Avvocatura generale dello Stato, presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, presso la Direzione centrale o generale dell’Amministrazione oppure presso l’ufficio che è stato parte in causa se il creditore non risiede nell’ambito territoriale di competenza dell’ufficio stesso.

Il presupposto legale, per esperire la procedura de qua, è la notifica di un provvedimento esecutivo e la mancanza di fondi sul capitolo di pertinenza; peraltro, nel rispetto dell’ordine cronologico ed in assenza di impedimenti materiali (quali l’assenza di fondi) al provvedimento può e deve essere data esecuzione anche a prescindere dalla notifica in forma esecutiva.

Lo spatio adimplendi di 120 giorni decorrenti dalla notificazione del titolo esecutivo, che e’ un presupposto di procedibilità rilevabile anche d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, non si pone in contrasto con il principio d’effettività’ della tutela giurisdizionale.

Prima di tale termine il creditore non ha diritto di procedere ad esecuzione forzata e non possono essere posti in essere atti esecutivi; entro tale termine è inibita ogni azione esecutiva del creditore.

Tuttavia, qualora il creditore notifichi l’atto di precetto prima del decorso del termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo l’ufficio può procedere ugualmente al pagamento in quanto trattasi comunque di un’obbligazione alla quale adempiere.

In questo caso però non sono dovute le spese di precetto e comunque quelle inerenti alle operazioni successive alla disamina del titolo esecutivo; sono invece dovute le voci riconducibili alla fase di cognizione quali: esame sentenza, registrazione sentenza, richiesta copie, notifica sentenza; esame notifica, ritiro fascicolo, consultazione e corrispondenza, diritti di vacazione, rimborso spese generali nella misura forfetaria del 10% (da calcolarsi solo sull’importo degli onorari e dei diritti).

Il precetto notificato prima del decorso del termine ha valore di mera sollecitazione nei confronti dell’Amministrazione a dare esecuzione al provvedimento giurisdizionale di condanna.

Il decreto esecutivo, da notificare direttamente all’Amministrazione e non all’Avvocatura dello Stato, ai fini del decorso del termine di 120 giorni, deve essere munito ai sensi dell’articolo 475 del c.p.c. della formula esecutiva; pertanto, ove il provvedimento esecutivo non sia notificato in forma esecutiva il termine di 120 giorni stabilito per il differimento dell’esecuzione non va considerato pendente. Il fisco può proporre opposizione al precetto contestando la regolarità formale dello stesso, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., qualora si ravvisino ragioni sostanziali per proporre opposizione, quali ad esempio quella di evitare il successivo atto di pignoramento con il relativo aggravio di spese.

Non è superfluo precisare che l’adozione del procedimento “in conto sospeso” costituisce un atto dovuto, qualora ne ricorrano i presupposti di legge, per superare la mancanza di fondi; l’inerzia può comportare per l’Amministrazione maggiori oneri patrimoniali e la conseguente responsabilità amministrativa e penale del funzionario preposto all’esecuzione concreta della sentenza di condanna al rimborso a favore del contribuente.

L’art. 14, c. 1, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669,convertito dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30, nel testo modificato dall’art. 44 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2 2003, n. 326, statuisce che

“le amministrazioni dello stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo del pagamento di somme di denaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo.

Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica dell’atto di precetto”.

I predetti 120 giorni dovrebbero consentire, nell’intenzione del legislatore, all’amministrazione di procedere al pagamento seguendo la procedura ordinaria, essendo lo speciale ordine di pagamento utilizzabile quale estrema ratio nella comprovata impossibilità di seguire la procedura ordinaria a causa di carenza di disponibilità finanziaria. Da siffatto postulato discende come corollario che:

  • Prima che sia decorso il termine di 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica dell’atto di precetto.
  • L’ufficio interessato deve attivarsi tempestivamente affinché il pagamento sia concretamente eseguito entro il suddetto termine, fermo restando che occorre aver presenti i tempi delle procedure prescritte per consentire l’effettiva percezione delle somme nel termine di legge(3).
  • Il provvedimento giurisdizionale (sentenza, decreto, lodo arbitrale, ecc.) deve essere notificato all’Amministrazione in forma esecutiva; in mancanza di tale formalità, il termine dilatorio in questione non inizia a decorrere.

Giova osservare che non sussiste la possibilità, in presenza di messa in mora dell’ufficio ed a seguito di decisioni delle commissioni tributarie passate in giudicato ma sprovviste di formula esecutiva, di disporre il pagamento avvalendosi della speciale procedura del conto sospeso. In altri termini, l’esistenza di una sentenza passata in giudicato e la notifica dell’avviso di mora, nella forma prevista dall’articolo 70 del D.Lgs. 546/92, non integrano la sussistenza di un provvedimento giurisdizionale avente efficacia esecutiva.

Nel caso di sentenze di condanna costituenti titolo esecutivo, si ritiene che l’esecuzione forzata ordinaria, secondo le norme del codice di procedura civile, e l’esecuzione in sede tributaria, mediante il giudizio di ottemperanza disciplinato dalla norma sopracitata, costituiscano mezzi di tutela concorrenti e cumulabili, esperibili, quindi, anche contestualmente, affinché la pretesa creditoria espressa nel giudicato sia puntualmente attuata in via coattiva (Cassazione, sez. V, sentenza n. 00358 del 14/01/2004).

Per la sentenza n. 4126 del 1/03/2004 della Corte di cassazione, il giudizio d’ottemperanza può essere, addirittura, proposto anche quando la sentenza definitiva non contiene un’esplicita condanna dell’amministrazione inadempiente.

 

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Il giudizio di ottemperanza per il recupero delle somme in caso di vittoria col Fisco

Il giudizio di ottemperanza nel processo tributario

 

23 ottobre 2010

Angelo Buscema

 

NOTE

1) Si rammenta che il contribuente deve prima procedere alla notifica del titolo esecutivo, attendere la scadenza del termine di 120 giorni e solo successivamente, in caso d’inadempienza, procedere alla notifica del precetto (i.e. è irrituale notificare il precetto unitamente al titolo esecutivo senza attendere la scadenza del predetto termine di 120 giorni, con la conseguenza che in tal caso lo stesso precetto è nullo e privo d’effetti); infatti,l’articolo 14 del D.L. 31/12/1996 n. 669, convertito in legge 28/02/1997 n. 30, modificato dall’articolo 147 della legge n. 388/2000, così recita “Le amministrazioni dello Stato e gli Enti Pubblici non economici completano le procedure, per l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l’obbligo di pagamento di somme di denaro, entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo”.

Il regime speciale, previsto dall’art. 14, D.L. n. 669/1996, circa il differimento degli ordinari termini per l’effettuazione dell’ingiunzione (precetto) del creditore – atto prodromico all’inizio dell’esecuzione forzata – nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni debitrici non è incompatibile con la disciplina prevista dalla Direttiva n. 2000/35/CE in materia di contrasto ai ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali. Depongono in favore di tale conclusione, da un lato, il criterio ispiratore dell’invocata normativa comunitaria giusta la quale si ha riguardo alla celerità nella formazione del titolo esecutivo e non già ai tempi per l’esecuzione forzata e, dall’altro, dall’insussistenza di una lesione effettiva alle ragioni del creditore che permangono tutelate in modo idoneo e conforme ai principi espressi dal diritto comunitario.( ent. dell’11 settembre 2008, causa C-265/07 della Corte di Giust. CE, Prima Sez.)

2) L’esecuzione forzata può iniziare solo in presenza di un titolo esecutivo valido ed efficace, e deve arrestarsi qualora sia accertato che il titolo inizialmente mancava, a nulla rilevando che il titolo sia venuto a esistenza successivamente; ne consegue che il giudice dell’esecuzione deve dichiarare l’improcedibilità del procedimento esecutivo, se a seguito d’opposizione del fisco sia accertato che il titolo non era esecutivo. Si configura l’opposizione all’esecuzione quando si contesta il diritto della parte istante a procedere all’esecuzione forzata (si pensi all’atto di precetto che deve essere notificato ex articolo 147 della legge n. 388/2000 a pena di nullità trascorsi 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo; si pensi al credito già soddisfatto; si pensi all’errata apposizione nel provvedimento della formula esecutiva con contestazione dell’esistenza giuridica del titolo stesso) e l’opposizione agli atti esecutivi quanto si contesta l’irregolarità formale del titolo esecutivo e del precetto (vd. Cassazione, sez. 3, sentenza n. 03400 del 8/03/2001 sulla differenza tra opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi).

3) Con la circolare 49/E del 1 ottobre 2010 l’Agenzia delle Entrate taglia i tempi per restituire gli importi ai contribuenti quando il giudice accoglie il loro ricorso, dettando le istruzioni per rimborsare rapidamente i cittadini nel momento in cui sa per certo, seppur informalmente, di aver perso in giudizio.  Per procedere ai rimborsi derivanti da pronunce giurisdizionali, non occorre attendere la notifica della sentenza favorevole al contribuente né alcuna specifica richiesta o sollecito; basta la comunicazione del dispositivo della sentenza da parte della Segreteria della Commissione tributaria, a condizione che lo stesso contenga tutti gli elementi necessari alla determinazione dell’importo da rimborsare. Occorre quindi che l’Agenzia si attivi prontamente per l’erogazione del rimborso in tutte le ipotesi in cui ne abbia riconosciuto la spettanza in corso di giudizio e, in particolare, in caso di acquiescenza a sentenza favorevole al contribuente, al fine sia di evitare giudizi di ottemperanza o procedure di esecuzione forzata della sentenza sia di ridurre gli oneri per interessi. Anche all’erogazione dei rimborsi riconosciuti con decisioni passate in giudicato, le competenti Direzioni devono procedere in via prioritaria e con ogni sollecitudine, senza attendere eventuali azioni del contribuente.

CASSAZIONE, Sez. trib., Sent. n. 20202 del 5 luglio 2010 (dep. il 24 settembre 2010)

sentenza corte di cassazioneFatto – A X, con sentenza n. 142/23/03, pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale di Bari, era stata riconosciuta la restituzione della somma di lire 2.144.000, quale rimborso Irpef, con gli interessi di legge e le spese processuali pari ad un importo di lire 1.000. A seguito del passaggio in giudicato di detta decisione, in data 21 giugno 2004, il contribuente notificava atto di costituzione in mora dell’ufficio e, successivamente, in data 28 luglio 2004, adiva la stessa Commissione tributaria provinciale con giudizio di ottemperanza, chiedendo che la Commissione provvedesse all’esecuzione della sentenza ordinando al Concessionario della riscossione il pagamento di quanto dovuto ed, in via subordinata, la nomina di un Commissario ad acta.

Si costituiva l’ufficio, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso proposto per mancata osservanza del termine di centoventi giorni dalla notifica della sentenza in forma esecutiva, come disposto dall’art. 14 del D.L. n. 669/1996, convertito in L. n. 30/1997, e facendo presente che l’ufficio aveva provveduto ad avviare la procedura per l’erogazione delle somme richieste.

All’udienza di discussione nessuno era presente per l’ufficio, mentre la difesa del contribuente dava atto che questi aveva ricevuto la quota capitale di quanto dovuto con gli interessi, ma che non erano state versate le spese di lite della fase di merito; chiedeva, pertanto il residuo credito e le spese della procedura di ottemperanza.

La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso per non avere il ricorrente rispettato il termine perentorio di centoventi giorni di cui all’art. 70, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, termine previsto per l’adempimento da parte dell’ufficio del Ministero delle finanze o dell’ente locale dell’obbligo posto a carico dalla sentenza. Affermava, inoltre, l’irrilevanza della messa in mora perché il comma 2, ultima parte dell’art. 70 citato si rende applicabile solo in mancanza del termine di cui alla prima parte dello stesso comma.

Avverso detta decisione X propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Non risulta costituita l’Agenzia delle Entrate.

Diritto – Con l’unica censura si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 70 del D.Lgs. n. 546/1992, e 14, comma 1, del D.L. n. 669/1996, convertito in L. n. 30/1997, come modificato dall’art. 147, comma 1, lettera a), della L. n. 388/2000, per non avere la Commissione tributaria provinciale considerato che, nella specie, il contribuente non aveva notificato alcun atto di precetto per cui avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 14 citato attendere centoventi giorni per procedere all’esecuzione forzata, ma aveva adito la Commissione tributaria provinciale con ricorso di ottemperanza della sentenza, avente un dispositivo di condanna solo in riferimento alle spese legali ed avendo rispettato il termine di trenta giorni dalla notifica della messa in mora.

Il ricorso è fondato.

Per procedere alla decisione del ricorso occorre necessariamente e preliminarmente che la Commissione tributaria adita svolga il controllo della sussistenza delle condizioni dell’azione e dei presupposti della stessa.

È evidente che il contribuente non aveva instaurato una procedura esecutiva per la quale a norma dell’invocato art. 14, era necessario attendere 120 giorni dopo la notifica del precetto, tuttavia, poiché ai sensi dell’art. 70, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, è previsto per la proponibilità del giudizio de quo che sia scaduto il termine “entro il quale è prescritto dalla legge l’adempimento dall’ufficio del Ministero delle finanze o dall’ente locale dell’obbligo posto a carico della sentenza o, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni dalla loro messa in mora …”, occorre verificare se nella specie la normativa preveda un termine dopo la scadenza del quale sia proponibile il giudizio di ottemperanza, non potendo estendersi il disposto dell’art. 14 relativo solo alle procedure esecutive, come e dato evincere non solo dal testo di tale norma che fa espresso riferimento ad un titolo esecutivo ma anche dal titolo dell’articolo che recita: “Esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni”.

È principio costante della giurisprudenza di questa Corte che il ricorso per ottemperanza è ammissibile ogni qualvolta debba farsi valere l’inerzia della Pubblica Amministrazione rispetto al giudicato, ovvero la difformità specifica dell’atto posto in essere dall’Amministrazione rispetto all’obbligo processuale di attenersi all’accertamento contenuto nella sentenza da eseguire (Cons. Stato n. 992/1998), e ciò indipendentemente dall’attivazione di altra eventuale procedura esecutiva; intatti il giudizio di ottemperanza, in quanto rivolto a rendere effettivo, mediante idonei provvedimenti, l’ordine di esecuzione contenuto nella sentenza passata in giudicato, di cui costituisce un’integrazione ed un compimento (circolare n. 98/E del 23 aprile 1996) deve ritenersi complementare (Cass., SS.UU., sent. n. 1593/1994) ad eventuale procedimento esecutivo, senza che possa ipotizzarsi un’autenticità pregiudiziale dell’esecuzione forzata rispetto al giudizio di ottemperanza, il quale mira a garantire un’azione amministrativa conforme ad una decisione vincolante soprattutto allorché questa non contenga un precetto dotato dei caratteri di puntualità e precisione propri del titolo esecutivo (Cons. Stato nn. 535/1990; 650/1991; 711/1991), come accade nel caso di sentenze aventi ad oggetto un facere, ovvero di disposizioni relative ad adempimenti prodromici ad un pagamento.

È infatti proprio il comportamento della Pubblica Amministrazione inerte, elusivo o, peggio, contrario al giudicato a costituire condizione dell’azione di ottemperanza al giudicato (Cons. Stato nn. 652/1984; 779/1995; 328/1996).

In tal senso il giudizio di ottemperanza ulteriormente si differenzia rispetto al concorrente giudizio esecutivo civile, in quanto il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato (art. 70, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992: “Salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l’esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse può chiedere l’ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza …”), ma piuttosto quello di rendere effettivo quel comando, anche e specialmente se privo dei caratteri di puntualità e precisione tipici del titolo esecutivo.

Ed è proprio la natura sui generis di tale giudizio, caratterizzato da un misto di poteri coglitori ed esecutivi, nel quale il giudice dell’ottemperanza deve prioritariamente verificare il dispositivo della sentenza rimasta inapplicata per individuare gli obblighi ivi prescritti, valutare quindi la portata di tale dispositivo in una con la motivazione, per poi svolgere la tipica attività di merito dell’ottemperanza, che è quella dell’adozione di provvedimenti in luogo dell’amministrazione inadempiente, che richiede una particolare attività del giudice, rivolta ad individuare il complessivo oggetto dell’ottemperanza per il ripristino dell’integrità della posizione del ricorrente, per poter realizzare non un’espropriazione di beni propria dell’esecuzione ordinaria, ma la sostituzione coattiva dell’attività amministrativa che l’ufficio avrebbe dovuto svolgere e non ha svolto, o ha svolto in maniera difforme dal giudicato.

Da tali considerazioni discende che quindi devono considerarsi distinti anche se concorrenti la procedura esecutiva ed il giudizio di ottemperanza, per cui la procedura per adire a quest’ultimo non è coincidente con quella esecutiva e non essendo previsto alcun termine per l’Amministrazione finanziaria o per gli enti locali per adempiere al giudicato, unica condizione per la proponibilità del giudizio de quo è il decorso del termine di trenta giorni decorrenti dalla messa in mora a mezzo di ufficiale giudiziario, adempimento compiuto dal contribuente.

Tutto ciò premesso e dichiarata assorbita ogni altra censura, il ricorso deve essere accolto e cassata la sentenza impugnata che ha fatto riferimento ad una regula iuris errata, la causa va rinviata per un nuovo esame ad altra Sezione della Commissione tributaria provinciale di Bari che provvederà anche alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M. – la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria provinciale di Bari.