Indagini finanziarie: utilizzo dell’indagine creditizia da parte del Fisco

L’indagine creditizia e finanziaria costituisce un’autonoma attività istruttoria che può essere esercitata anche indipendentemente da precedenti attività di controllo, quali verifiche o ispezioni documentali.

indagini finanziarie del Fisco sul contribuenteL’indagine  creditizia  e finanziaria costituisce un’autonoma attività  istruttoria  che  può  essere esercitata anche indipendentemente da  precedenti  attività  di  controllo, quali verifiche o ispezioni documentali, sia pure nell’osservanza  delle regole fissate dai novellati numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, a differenza di quanto previsto dai numeri 6-bis), pur essi novellati, che invece necessitano sempre dell’attivazione di una preventiva procedura di accertamento,  ispezione  o verifica.

 

Lo scopo dell’indagine consiste, in pratica, nell’acquisizione della copia dei “conti” relativi ai singoli rapporti od operazioni di natura finanziaria, intrattenuti dal contribuente con “banche, società Poste italiane S.p.a.,  intermediari finanziari, imprese di investimento, organismi di investimento  collettivo del risparmio e società fiduciarie”, per ricostruire l’effettiva disponibilità reddituale ovvero il volume  delle  operazioni  imponibili  e degli acquisti effettuati dal contribuente stesso al fine di rettificarne le relative dichiarazioni.

 

La documentazione così ottenuta sarà analizzata a cura dell’organo  procedente  al fine di riscontrare direttamente se le movimentazioni – attive (accreditamenti) e passive  (prelevamenti) – ivi evidenziate siano o meno coerenti con la  contabilità  del   soggetto sottoposto a controllo, ovvero non siano imponibili o non rilevino  per  la determinazione del reddito e/o della base imponibile Iva, come  anche,  con riguardo alle persone  fisiche,  non  risultino  compatibili  con  la  loro complessiva capacità contributiva.

 

Qualora, invece, alle predette movimentazioni non sia possibile dare immediata rilevanza e concludenza ai fini dell’accertamento, l’ufficio procedente, pur nell’ambito delle sue autonome valutazioni discrezionali, può avviare il contraddittorio con il contribuente.

In linea di  principio assumono “valida valenza giustificativa – soprattutto in caso di discordanza tra i dati bancari e finanziari e le rilevazioni contabili – gli atti  e  i documenti che provengono dalla Pubblica Amministrazione, da soggetti aventi pubblica fede (notai, pubblici ufficiali, eccetera), da soggetti  terzi  in qualità di parte di rapporti contrattuali di diversa  natura,  così  come nel caso di rimborsi, risarcimenti, mutui, prestiti,  eccetera”.

 

Inoltre, dal momento che le presunzioni  legali, possono venire contraddette   anche da giustificazioni di carattere tecnico, legate  al  particolare  operare  del tributo, il contraddittorio deve essere condotto tenendo conto della “specificità della singola imposta, in quanto – in linea di massima – la giustificazione ai fini Iva di un movimento bancario può non essere automaticamente valida o significativa anche ai fini reddituali”.

In particolare, ai fini reddituali, il numero 2) del comma 1 dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che i dati e gli elementi risultanti dai rapporti e dalle operazioni intercettati ai sensi del  successivo  numero  7) o  rilevati  secondo  la  particolare procedura di cui all’art. 33, secondo e terzo comma,  sono  posti  a  base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e  41 se  il  contribuente  non  dimostra  che  ne  ha  tenuto   conto   per   la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che  non  hanno  rilevanza allo stesso fine.

 

In proposito, sottolineano i redattori del documento di prassi n. 32/2006, il dato letterale  della disposizione in commento, al pari dell’omologa  previsione  in  materia  di Iva, fa  riferimento all’endiadi  “dati  ed  elementi”,  mentre  il  testo anteriore alla novella utilizzava l’espressione “i  singoli  dati   ed elementi”. La mancata conferma dell’aggettivo “singoli” non  consente  di  ritenere  che   la contestazione dei singoli addebiti possa avvenire per “masse” o addirittura sulla base di un mero  “saldo  contabile”, atteso che,  anche  dopo  tale soppressione, l’analisi deve riguardare ogni singolo elemento della movimentazione, quand’anche ricompresa in un’operazione unica e, a  maggior ragione, quando si tratti  di  operazioni  autonome.

Valga,  a  titolo  di esempio, il caso in cui il contribuente versi con un’unica distinta più assegni  bancari, assegni circolari, assegni postali,  vaglia  ed eventualmente contanti, eccetera, annotati sul conto corrente bancario  con un’unica e complessiva rappresentazione numeraria.

 

Conseguentemente, nella esemplificata fattispecie – eventualmente comprensiva anche di operazioni di segno negativo – occorrerà che  l’organo procedente distingua per i singoli prelevamenti e  versamenti,  nonché  per qualsiasi   altra   operazione   finanziaria, i rispettivi  elementi identificativi, senza escludere in via di principio la possibilità di una compensazione di operazioni di segno contrario, sempreché il contribuente specifichi il   beneficiario della  operazione passiva contestata, qualificando così anche l’inerenza dell’operazione.

 

Sotto altro  profilo, stante  l’espresso richiamo della norma alle ordinarie tipologie di accertamento  induce l’Amministrazione finanziaria a ritenere che  l’operatività delle presunzioni in esame si estenda, almeno dal lato dei  versamenti, alla generalità dei soggetti passivi e delle diverse categorie reddituali.

Analogamente, il medesimo numero 2) prevede  che, alle “stesse condizioni” (mancata considerazione in dichiarazione e rilevanza  fiscale), i prelevamenti o gli importi  riscossi  nell’ambito  di  tali  rapporti  od operazioni e non risultanti dalle scritture contabili, nel caso in  cui  il soggetto  controllato  non  ne  indichi  l’effettivo   beneficiario,   sono considerati ricavi o compensi e accertati in capo allo stesso soggetto.

 

La disposizione intende procedimentalizzare l’analisi, da parte dell’ufficio finanziario, della maggior capacità  di  spesa  non giustificata dal contribuente, e correlare tale maggior capacità di spesa con le ulteriori operazioni attive effettuate presuntivamente “in nero”.

Oltre a ciò, appare opportuno evidenziare che,  stante  il  riferimento normativo  alle  scritture  contabili,  tale  ultima   disposizione   trova applicazione solo nei confronti dei soggetti obbligati  alla  tenuta  delle stesse  scritture,  e  quindi  solo  nel  caso  in  cui  sia  configurabile un’attività economica, anche di natura professionale.

 

Si sottrae  alla  regola  dell’inversione  dell’onere della prova l’ipotesi in cui il contribuente  indica  il  beneficiario  del prelevamento utilizzato per l’acquisto di un  bene o servizio  non  fatto transitare in  contabilità;  in  tale  ipotesi  non scatta il meccanismo presuntivo ma l’operazione  deve  essere  valorizzata  alla  stregua degli ordinari criteri dell’accertamento, i quali presiedono al  riconoscimento del costo in funzione della ricostruzione del relativo ricavo.

 

Con specifico riguardo all’imposta sul valore aggiunto,  la  disciplina contenuta nell’art. 51, comma 2, numero 2), del  D.P.R.  n.  633  del  1972 prevede che i dati in argomento, acquisiti sia secondo la procedura di  cui al successivo numero 7), sia attraverso i poteri e le  facoltà di cui  ai successivi artt. 52, ultimo comma, e 63, comma 1, siano posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti agli artt. 54 e 55 del medesimo decreto, se il  contribuente non dimostra che ne  ha  tenuto  conto  in dichiarazione o che gli stessi non si riferiscono a operazioni  imponibili.

 

I versamenti non giustificati potranno essere contestati come operazioni imponibili, cessioni o prestazioni non contabilizzate, mentre i prelevamenti potranno essere valorizzati come acquisti in nero.

L’aliquota Iva con cui valorizzare tali importi è, nel caso in cui  non sia determinabile quella propria della singola  operazione,  l’aliquota  in prevalenza applicata. In tal caso, naturalmente, si deve operare in maniera distinta per i prelevamenti e i versamenti.

 

 

 

Valenza probatoria dei prelevamenti nei confronti dei professionisti

Il comma 402, lettera a), numero 1.1,  dell’art.  1  della  legge,  con riferimento all’art. 32, comma 1, n. 2), del D.P.R. n.  600  del  1973,  ha esteso ai lavoratori autonomi la presunzione di “compensi” ai  prelevamenti e agli importi riscossi per i quali non siano stati indicati i beneficiari, sempre secondo il citato principio dell’inerenza.

In sostanza, tale norma ha esteso, ai fini delle imposte  sui  redditi, ai lavoratori autonomi il regime presuntivo di imponibilità oltre che  alle operazioni di accredito/versamenti anche a quelle di  addebito/prelevamenti o somme riscosse.

 

L’anzidetta disposizione intende valorizzare l’analisi, da parte dell’ufficio procedente, della maggior capacità di spesa, comunque manifestata e non giustificata dal lavoratore autonomo,  e  correlare  tale maggiore capacità con le ulteriori operazioni attive  anch’esse effettuate presuntivamente “in nero”, nell’ambito della specifica attività esercitata; e ciò, secondo una ragionevole regola di comune esperienza  che  lo  stesso legislatore ha tenuto presente e  sulla  quale  ha  fondato  il  meccanismo presuntivo che consente, a  certe  condizioni,  addirittura  di  riprendere totalmente a tassazione i prelevamenti non giustificati.

 

Anche con riguardo ai prelevamenti dei professionisti valgono pertanto gli  stessi  argomenti  comunemente  addotti  in  relazione all’efficacia probatoria  dei versamenti e dei  prelevamenti  già consentita dalla disciplina previgente per le  imprese. 

Il  fondamento  economico sotteso al descritto meccanismo presuntivo, che  si  basa per le imprese prevalentemente sull’acquisto e vendita di beni, è configurabile anche per i lavoratori autonomi, sebbene non vendano beni bensì prestino servizi. È di agevole constatazione, invero, che per esercitare non  poche  attività professionali è proprio necessario l’acquisto di beni (ad esempio, acquisto di protesi o di anestetici da parte dell’odontoiatra) o comunque di servizi (ad esempio, pareri tecnici, consulenze  specialistiche,  richiesti  da  un legale) per rendere prestazioni, anche di natura complessa.

 

Del resto, la soggezione anche  dei  lavoratori  autonomi  alla  regola presuntiva  intende attestare nella  sua essenza, semplicemente e comprensibilmente, che i prelevamenti per i quali non si può (illegalmente, come, ad esempio, per l’eventuale pagamento di tangenti) o non  si  vuole (per mero spirito evasivo, come per il pagamento di  retribuzioni “fuori busta” o di acquisti in nero) fornire detta indicazione sono da considerare costi in nero che hanno   ragionevolmente   generato   compensi   non contabilizzati.

 

La circolare n. 32/2006 invita quindi gli uffici procedenti ad astenersi da  una valutazione degli elementi acquisiti – non solo dai conti  correnti  ma  da qualsiasi altro rapporto od operazione  oggi  suscettibili  di  indagine  – particolarmente  rigida  e  formale,  tale  da  trascurare   le   eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la  loro  occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore  di  vita  rapportabile  al volume di affari dichiarato.

 

Roberta De Marchi

21 Dicembre 2009