per l’edificabilità del suolo basta la semplice vocazione. Eventuali limitazioni di natura amministrativa possono comprimere il valore dell’area, ma non mutarne la tipologia…
Per l’edificabilità del suolo basta la semplice vocazione. Eventuali limitazioni di natura amministrativa possono comprimere il valore dell’area, ma non mutarne la tipologia. Lo ha statuito
L’ iter logico – giuridico adottato da tale pronuncia si è così sviluppato:
Ø A seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, (conv., con modif., nella L. n. 248 del 2005), e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, (conv., con modif., nella L. n. 248 del 2006), che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi.
Ø L’adozione dello strumento urbanistico, con inserimento di un terreno con destinazione edificatoria, imprime infatti al bene una qualità che è recepita dalla generalità dei consociati come qualcosa di già esistente e di difficile reversibilità, essendo pertanto sufficiente a far venir meno, ai fini anzidetti, la presunzione del rapporto proporzionale tra reddito dominicale risultante in catasto e valore del terreno medesimo, posto a fondamento della valutazione automatica (v. Cass. n. 17513/2002; Cass. n 4381/2002; Cass. n. 4120/2202; Cass. n. 17762/2002; Cass. n 13817/2003).
Ø In altri termini, dinanzi ad una vocazione edificatoria di un suolo, formalizzata in un atto della procedura prevista dalla legislazione urbanistica, il fisco ritiene che, a prescindere dallo status giuridico formale dello stesso, non sia più possibile apprezzarne il valore sulla base di un parametro di riferimento, come il reddito dominicale, che resta superato da più concreti criteri di valutazione economica. Non interessa, dunque, ai fini fiscali, che il suolo sia immediatamente ed incondizionatamente edificabile, perché possa farsi ricorso legittimamente al criterio di valutazione del valore venale in comune commercio.
Ø L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo ius aedificandi o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione, senza che ciò comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. f).
Ø L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio (v. Cass. Sez. Un., 30/11/2006, n. 25506).
RIFLESSIONI
E’ ius recptum (sentenza n. 25506 del
Pertanto, con riferimento ad una siffatta area, l’I.C.I. deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo peraltro conto anche di quanto sia effettiva e prossima l’utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione. Tale interpretazione – che risolve un contrasto insorto nella giurisprudenza della Sezione Tributaria della Cassazione tra l’indirizzo “sostanzialistico”, accolto dalle Sezioni unite, e quello “formale-legalistico” secondo il quale la qualifica di area edificabile presupporrebbe, anche ai fini fiscali, che le procedure per l’approvazione degli strumenti urbanistici siano perfezionate – trova conferma nel del d.l.
Il citato decreto legge n. 233/2006 ritenendo implicitamente corretta, sotto il profilo ermeneutico, la soluzione (pro fisco), ha precisato che i terreni sono da considerarsi fabbricabili se utilizzabili a scopo edificatorio in base al Prg, e ciò a prescindere dall’esistenza di un piano attuativo o equipollente, cioè, di uno strumento che rende di fatto possibile la costruzione di fabbricati. L’articolo 36 comma 2, D.l. 223/2006, ha assunto la valenza giuridica di ius superveniens avente carattere interpretativo rispetto alla norma precedenti (es. contenute nell’articolo 2, comma 1, lettera b), del D.lgs. n. 504/1992), con efficacia, perciò, retroattiva sui rapporti d’imposta non ancora definiti.
Ai fini dell’ICI, un’area è da ritenersi edificabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, a prescindere dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo. In siffatta ipotesi l’ICI deve essere determinata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo conto anche di quanto sia effettiva e prossima l’utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione. Giova ricordare che secondo l’orientamento formale-legalistico lo strumento urbanistico, per essere rilevante anche ai fini dell’ici deve essere perfetto ovvero non solo adottato dal Comune ma anche approvato in Regione.
La ragione di tale interpretazione risiede: A) nella natura dell’atto di approvazione regionale che, lungi dal configurare un mero controllo, seppure esteso al merito, sull’attività del Comune, rappresenta un’autonoma e conforme manifestazione di volontà che dà vita a un vero e proprio atto complesso; B) nel fatto che la qualità edificatoria di un terreno all’esaurimento di un determinato procedimento amministrativo, conferisce certezza all’individuazione del regime applicabile, conferentemente alla ratio del procedimento di valutazione che mira a evitare il sorgere di controversie sulla valutazione dell’immobile. Di segno diametralmente opposto l’interpretazione fornita dall’indirizzo sostanzialista”, che evidenzia le seguenti circostanze: A) sussiste la mutata percezione da parte dei consociati, sotto il profilo funzionale ed economico, di un terreno che, prima non edificabile, è stato ricompreso in un programma di espansione edilizia ancora non in vigore, ma legittimamente adottato; B) tale diverso apprezzamento funzionale fa sì che l’eventuale acquirente del terreno intervenuto nelle more della definitiva approvazione del piano regolatore è mosso dall’interesse derivante dalla prospettiva di un’edificabilità in concreto del terreno più che dalle qualità intrinseche precedenti all’adozione dello strumento da parte del Comune; C) la mera adozione di un piano regolatore da parte del consiglio comunale è in grado di modificare anche sensibilmente il valore commerciale di un terreno, e pertanto essa è aderente al principio di capacità contributiva di cui all’articolo 53 della Costituzione
Angelo Buscema
15 Aprile 2009
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ALLEGATO
Sent. n. 6521 del 18 marzo 2009 (ud. dell’11 dicembre 2008) della Corte Cass., Sez. tributaria –
Svolgimento del processo – Con sentenza del 5/2/2004
Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello la società C. s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 7 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Comune di Abbiategrasso.
Con requisitoria scritta il P.G. ha chiesto emettersi pronunzia ex art. 375 c.p.c., di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.
Motivi della decisione – Con il 1° motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 7 e 32, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nullità del procedimento per violazione del diritto al contraddittorio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Lamenta che il giudice dell’appello abbia acquisito la “Relazione della consulenza tecnica depositata presso
Con il 2° motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 1, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si duole che il giudice dell’appello abbia omesso di pronunziarsi sull’eccezione di “nullità dell’accertamento per errore materiale nella determinazione dell’imposta relativamente al 1993 calcolata come dovuta dal primo gennaio 1993 benchè in realtà la quasi totalità del terreno oggetto dell’accertamento sia stata acquistata dalla C. s.r.l. soltanto il 27 maggio 1993, come documentato dal frontespizio dell’atto di compravendita allegato alla memoria depositata in data 7/2/02, nonchè dalla dichiarazione ICI prodotta in allegato al ricorso di primo grado che in questa sede si producono nuovamente per comodità di consultazione (docc. 2 e 3). Nell’atto di appello la ricorrente ha espressamente lamentato la circostanza che nella sentenza (di primo grado) non è stato tenuto conto del contenuto della detta dichiarazione, confermando l’accertamento in toto e quindi anche nella debenza di imposta, per l’anno 1993, per dodici mesi (atto d’appello, pag. 8)”.
Con il 3° motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 1150 del 1942, artt. 7, 17, 28 e 31, – come successivamente novellati, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Lamenta che per gli anni d’imposta in questione il termine per la rettifica del valore dichiarato è scaduto, essendo pertanto il Comune decaduto dal potere impositivo.
Nè la suddetta decadenza può considerarsi sanata dalle disposizioni delle “leggi finanziarie 1999, 2000, 2001, le quali, pur avendo disposto una proroga dei termini sopra indicati fino al 31/12/01, sono entrate in vigore al primo gennaio dell’anno successivo a quello in cui erano scaduti i termini che si intendevano prorogare e, quindi, non hanno il potere di ripristinare una potestà impositiva già decaduta”.
Con il 4° motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 11, comma 2 bis, e art. 7, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonché omessa pronunzia ed insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5.
Si duole che il giudice dell’appello abbia omesso di pronunziarsi sulle proposte censure in ordine all’illegittimità dell’avviso impugnato per carenza di motivazione, “in quanto privo di ogni riferimento a valori determinati ed alle caratteristiche specifiche del terreno sottoposto ad accertamento”.
Nullità che non può ritenersi sanata “da quanto allegato e prodotto dall’Ufficio impostore in corso di causa”.
Con il 5° motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronunzia “in ordine alla domanda di annullamento degli avvisi di accertamento per errata qualificazione giuridica del terreno”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si duole non essersi nell’impugnata sentenza considerato che “le aree di proprietà” di cui trattasi non potevano essere utilizzate a fini edificatori, essendo “l’immobile in questione … ricompreso in un’area destinata a zona edificabile, secondo le previsioni del P.R.G., per la quale ad oggi non sono stati ancora approvati gli strumenti urbanistici d’attuazione, come comprovato dalla documentazione attestante la mancata approvazione del piano di lottizzazione allegata alla memoria del 7/2/02”.
Con il 6° motivo la ricorrente denunzia insufficiente motivazione “in ordine alla mancata indicazione degli elementi assunti a base della valutazione di congruità del valore accertato dall’Ufficio”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che il giudice dell’appello si sia limitato a “confermare pedissequamente ed acriticamente la sentenza di primo grado, senza dar conto di aver esaminato nessuna delle doglianze sollevate dalla contribuente nell’atto di appello”.
Con il 7° motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che nell’irrogare le sanzioni il giudice dell’appello non abbia fatto applicazione della disciplina in tema di concorso di violazioni e della continuazione.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.
Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sé stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonché delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass. 23/7/2004, n. 13830; Cass. 17/4/2000, n. 4937; Cass. 22/5/1999, n. 4998).
È cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v. Cass. 4/6/1999, n. 5492).
Allorquando con quest’ultimo viene come nella specie in particolare denunziato il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è infatti sufficiente una doglianza meramente apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, la stessa non consentendo alla Corte di legittimità di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali la pronunzia impugnata è fatta oggetto di censura (v. Cass. 18/4/2006, n. 8932; Cass. 15/2/2003, n. 2312; Cass. 21/8/1997, n. 7851).
Avuto riguardo al pure denunziato vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va per altro verso ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass. 25/2/2004, n. 3803).
Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass. 14/3/2006, n. 5443; Cass. 20/10/2005, n. 20322).
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass. 7/3/2006, n. 4842;. Cass. 27/4/2005, n. 8718).
Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierna ricorrente.
Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo che il medesimo fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare alla “Relazione della consulenza tecnica depositata presso
E, quanto al denunziato vizio ex art. 112 c.p.c., senza invero debitamente specificamente indicare anche l’atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (v. Cass. 31/1/2006, n. 2138; Cass. 27/1/2006, n. 1732; Cass. 4/4/2005, n. 6972; Cass. 23/1/2004, n. 1170; Cass. 16/4/2003, n. 6055).
È infatti al riguardo noto che pur divenendo nell’ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo
A tale stregua essa non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo (anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi), da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo
Quanto al pure denunziato vizio di motivazione laCopyright ©2025 - Riproduzione riservata Commercialista Telematico s.r.l