I versamenti dei soci: effetti reddituali

Esaminiamo gli effetti dei versamenti dei soci alla luce del Testo Unico e dei principi contabili: aspetti generali, la presunzione legale, finanziamenti e versamenti in conto capitale, l’interpretazione dell’ADC, il mutuo, iscrizioni in bilancio, tipologie di soggetti, la ritenuta alla fonte, oneri finanziari e interessi passivi, la situazione in capo alla società-socia: versamenti a fondo perduto o in conto capitale.

I versamenti possono assumere la natura di dotazioni patrimoniali, ovvero di capitale di credito

Aspetti generali

I versamenti compiuti dai soci nei confronti delle società cui partecipano possono assumere la natura di dotazioni patrimoniali (conferimenti), ovvero di capitale di credito, determinando differenti effetti per quanto attiene alle imposte sui redditi. Il presente contributo si propone di esaminare tali effetti alla luce del Testo Unico e dei principi contabili.

Secondo il primo comma del vigente art. 46 del TUIR, le somme versate alle società commerciali e agli enti commerciali residenti [art. 73, primo comma, lettere a) e b), TUIR], dai loro soci o partecipanti, si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo.

Rispetto al testo dell’art. 43 anteriore alla riforma fiscale del 2003/2004, si evidenzia che non sono più citate le sole S.n.c. e S.a.s. – con applicazione per rinvio alle società di capitali -, e che (dato che l’obbligo di allegazione del bilancio alla dichiarazione dei redditi è stato soppresso da tempo) il legislatore ha opportunamente rimosso il riferimento a tale adempimento.

 

La presunzione legale

L’articolo introduce una presunzione legale relativa, in forza della quale il socio o il partecipante, nel momento in cui eroga delle somme al soggetto collettivo (società od ente), non può farlo «senza causa», ma «deve» farlo a titolo di finanziamento, e in particolare di mutuo.

Coordinando tale disposizione con l’art. 45, secondo comma, del TUIR, se ne ricava che le somme in questione, salva la possibilità di fornire prova contraria, producono interessi nella misura e alle scadenze pattuite per iscritto; in mancanza di espresse pattuizioni, vale invece il riferimento al periodo d’imposta e al saggio legale. In definitiva, nel caso dei versamenti dei soci, si applica una doppia presunzione legale relativa, poiché:

  • se il socio o il partecipante erogano delle somme alla società o all’ente:
  • se non è fornita prova contraria, le somme si presumono concesse a titolo di mutuo;
  • se è fornita prova contraria, la presunzione è disapplicata (può trattarsi, ad esempio, della rifusione di un prestito originariamente concesso al partecipante dalla società o dall’ente);
  • nel caso sub a), gli interessi:
  • se non è fornita prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto;
  • se è fornita prova contraria, vale – evidentemente – il riferimento ai diversi riscontri (documentali) forniti;
  • in mancanza di accordi scritti, gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta, e la loro misura è considerata pari al saggio legale.

 

Il vecchio art. 43, secondo comma, del TUIR, escludeva la presunzione di fruttuosità se le somme erano concesse alla società «in conto capitale», cioè a titolo di finanziamento, senza peraltro esigere l’ulteriore requisito della destinazione dei versamenti ad aumento del capitale, nel qual caso i versamenti avrebbero cessato di essere finanziamenti per assumere la natura di veri e propri conferimenti (Cass., Sez. I Civ., 22.9.1988, n. 5195).

Dato che, nella realtà economica, il versamento dei soci può essere motivato da esigenze quali il ripianamento delle perdite, o da altre necessità, spesso transitorie, il legislatore ha quindi previsto, quale «esimente», la semplice prova che l’erogazione è stata effettuata a titolo diverso dal mutuo.

 

 

Finanziamenti e versamenti in conto capitale

Il rapporto «creditorio» tra socio e società può sdoppiarsi nelle seguenti due tipologie:

  • finanziamento (con obbligo di restituzione);
  • versamento in conto capitale (senza obbligo di restituzione).

Nel primo caso, si tratta di rapporti riconducibili alla categoria giuridica del contratto di mutuo, caratterizzato dall’erogazione di una somma di denaro da parte di singoli soci, e produttivo o meno di una remunerazione sotto forma di interessi.

 

I versamenti in conto capitale sono caratterizzati invece dall’esigenza dei soci di provvedere al fabbisogno di capitale di rischio manifestato dalla società, anche senza procedere a un formale aumento di capitale. Tali versamenti si qualificano come riserve di capitale iscrivibili al punto VII del patrimonio netto («altre riserve» – «versamenti in conto capitale», o «versamenti a copertura perdite»).

L’applicazione della presunzione è comunque esclusa in ogni caso in cui si tratti di finanziamenti a fondo perduto concessi:

  • in conto aumento del capitale sociale;
  • per copertura di perdite;
  • per versamenti a fondo perduto.

 

Secondo il PCDC (ora documento OIC) n. 28:

  • i versamenti a titolo di finanziamento sono quelli per i quali la società ha obbligo di restituzione, per i quali non è rilevante la natura fruttifera o meno di tali debiti, né l’eventualità che i versamenti siano effettuati da tutti i soci in misura proporzionale alle quote di partecipazione: l’elemento discriminante va individuato esclusivamente nel diritto dei soci alla restituzione delle somme versate. Il passaggio a capitale di tali finanziamenti necessita della preventiva rinuncia dei soci al diritto alla restituzione, trasformando così il finanziamento in apporto;
  • i versamenti a fondo perduto si hanno quando i soci, pur non volendo procedere ad un formale aumento di capitale, decidono di sopperire al fabbisogno di capitale di rischio con nuovi conferimenti; manca in tali ipotesi una specifica ed esplicita pattuizione da cui scaturisca un obbligo di restituzione ai soci dei versamenti effettuati;
  • i versamenti in conto futuro aumento di capitale sono effettuati in via anticipata in previsione di un futuro aumento di capitale, a fronte di riserve di capitale aventi uno specifico vincolo di destinazione;
  • i versamenti in conto aumento di capitale si hanno in presenza di un aumento a pagamento del capitale sociale già deliberato, nelle more dell’iscrizione nel Registro delle imprese dell’attestazione degli amministratori dell’avvenuto aumento del capitale sociale (art. 2444, c.c.).

 

L’interpretazione dell’ADC

L’Associazione Dottori Commercialisti di Milano (ADC) è intervenuta in materia con la Norma di comportamento n. 107 del 1990, nella quale è stato affermato che la presunzione di fruttuosità opera solamente nei seguenti due casi:

  • se il contratto di mutuo non è stato redatto per iscritto;
  • se la misura dell’interesse non risulta dal contratto.

 

Analogamente, la presunzione relativa riguardante la percezione degli interessi opera:

  • se il contratto non è stato redatto per iscritto;
  • se dal contratto non risultano le scadenze alle quali l’interesse è dovuto.

 

È altresì affermato nella Nota che, ai fini della prova richiesta, il contratto di mutuo, a titolo esemplificativo, potrà risultare da una scrittura privata o da uno scambio di corrispondenza, ovvero da una delibera che determini le condizioni di finanziamento, e dall’adesione scritta dei soci finanziatori.

 

Il mutuo

Ai sensi dell’art. 1813, c.c., «il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità».

Le cose date a mutuo, secondo il successivo art. 1814, passano in proprietà del mutuatario.

Quanto agli interessi, l’art. 1815 prevede che – salva la diversa volontà delle parti – il mutuatario debba corrispondere al mutuante gli interessi, determinati (a norma dell’art. 1284, c.c.):

  • in misura pari al saggio legale;
  • se superiori, con espressa pattuizione scritta tra le parti.

 

Iscrizioni in bilancio

Ai fini dell’operatività della presunzione relativa, occorre rammentare la «significatività» dell’iscrizione dei finanziamenti nel passivo di bilancio, alla voce «debiti verso soci per finanziamenti». Tale evidenza supera gli eventuali riscontri «contrari” che il contribuente intendesse fornire.

La presunzione può invece essere bloccata attraverso l’iscrizione in bilancio a titolo di «versamenti in c/futuro aumento di capitale», oppure «versamenti in c/capitale».

 

Tipologie di soggetti

Per quanto previsto dal primo comma dell’art. 46, la presunzione relativa si applica alle società commerciali e agli enti commerciali residenti; sono quindi esclusi le società e gli enti non residenti.

Il secondo comma dell’articolo estende i requisiti soggettivi in presenza dei quali è applicabile la presunzione, prevedendo l’inclusione nella disciplina in esame anche delle somme versate alle associazioni e ai consorzi dai loro associati o partecipanti.

Si tratta di due tipologie di enti tra loro disomogenee, le prime suddivisibili in associazioni riconosciute e non riconosciute e «genericamente» inquadrabili, dal punto di vista fiscale, tra gli enti non commerciali (in particolare, nella «sub-categoria» degli enti associativi), e i secondi dotati di una soggettività giuridico–tributaria labile, data la loro natura di entità temporanee, finalizzate al vantaggio economico di più imprese.

In estrema sintesi, la disciplina in esame si applica quindi ai seguenti soggetti:

  • società di persone commerciali (S.n.c., S.a.s. e società ad esse assimilate, ex art. 5, TUIR). Per tali soggetti, caratterizzati dalla «trasparenza fiscale» naturale (oltre che per le società fiscalmente trasparenti per opzione, ex artt. 115 e 116), i redditi imputati al socio potrebbero essere incrementati in misura corrispondente agli interessi eventualmente contestati, come «remunerazione» del mutuo, in sede di accertamento;
  • società di capitali residenti (S.p.a., S.a.p.a., S.r.l.). Per tali soggetti – salva l’ipotesi delle società fiscalmente trasparenti -, gli interessi contestati al socio erogante possono eventualmente aggiungersi ai dividendi provenienti dalla società, tassabili, per le persone fisiche, limitatamente al 40% dell’ammontare;
  • enti commerciali residenti: la tassazione di tali soggetti è analoga a quella delle società di capitali (cfr. art. 81, TUIR);
  • associazioni: per gli enti di tipo associativo, vige un ampio regime di «non commercialità», che esclude l’imposizione, in senso lato, sulle attività istituzionali, e consente l’accesso a un particolare regime forfettario riservato alle attività commerciali «secondarie». Evidentemente, è nell’ambito di queste ultime che la presunzione in oggetto può avere «diritto di cittadinanza», consentendo il concorso al reddito complessivo degli interessi imputati all’associato – finanziatore;
  • consorzi: con il contratto di consorzio, più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese; tale contratto è regolato dalle norme degli artt. 2603 e ss., fatte salve le diverse disposizioni delle leggi speciali (art. 2602, commi primo e secondo, c.c.). Dal punto di vista del trattamento tributario delle attività svolte dai consorzi, ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA, assumono rilevanza non tanto i profili soggettivi, quanto piuttosto quelli oggettivi dell’attività concretamente svolta (cessione di beni/prestazione di servizi). In presenza di un’attività commerciale, è quindi in linea generale sicura la soggezione a IVA delle operazioni effettuate e alle imposte personali e IRAP del consorzio (cfr. risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate 23.9.2002, n. 307/E, e 12.8.2002, n. 278/E). In ogni caso, gli interessi attraverso i quali il finanziamento concesso dal soggetto partecipante si considera «remunerato», concorrono al reddito imponibile dello stesso (come reddito di capitale per le persone fisiche, e come reddito d’impresa se si tratta di «mutui» concessi da società commerciali).

 

La ritenuta alla fonte

Se il finanziamento è fruttifero, la società o l’ente finanziati dovrebbero effettuare la ritenuta alla fonte a titolo d’acconto (del 12,50%, con obbligo di rivalsa) prevista dall’art. 26, quinto comma, del D.P.R. n. 600/1973.

Tale ritenuta è però concretamente applicabile solamente in presenza di interessi effettivamente corrisposti, e non (a rigore) di una semplice presunzione relativa.

È d’altronde evidente che, in presenza di un’attività di accertamento dalla quale risulti – in difetto di prova contraria – la sussistenza di un rapporto di mutuo produttivo di interessi, ex artt. 46, primo comma, e 45, secondo comma, del TUIR, il Fisco riterrà tali interessi «corrisposti» a tutti gli effetti, e (conseguentemente) avrà titolo per contestare alla società o all’ente la mancata effettuazione della ritenuta.

 

Oneri finanziari e interessi passivi

Relativamente al trattamento degli interessi passivi nel sistema del reddito d’impresa, la riforma attuata con la Finanziaria 2008 (L. n. 244/2007) ha comportato il superamento del pro rata generale di indeducibilità, del pro rata patrimoniale, collegato al possesso di partecipazioni «pex», e della «thin cap».

Ciò ha significato una drastica mutazione del trattamento degli oneri finanziari in ambito IRES.

In particolare, l’intervento attuato dal legislatore – attraverso l’art. 1, comma 33, lettere da a) a l), L. n. 244/2007 – ha semplificato la disciplina applicabile dalle imprese, imponendo loro una semplice verifica della «congruità» del costo dell’indebitamento rispetto al risultato operativo lordo della gestione caratteristica (ROL).

Per effetto del nuovo «meccanismo», se gli interessi passivi – al netto degli interessi attivi – maturati nell’anno superano il 30% del risultato lordo del conto economico, gli interessi eccedenti sono rinviati ai periodi successivi. L’introduzione della regola del riporto in avanti ha reso opportuno prevedere una specifica norma antielusiva, finalizzata ad evitare che le operazioni straordinarie siano poste in essere al precipuo scopo di subentrare nel diritto alla deduzione a titolo di interessi portati a nuovo (la norma di riferimento nella Finanziaria 2008 è l’art. 1, co. 33, lett. aa), che integra l’art. 172, settimo comma, del D.P.R. 917/1986) (1).

Nell’ambito che qui interessa, ossia in materia di finanziamenti dei soci, occorre considerare che non operano più i vincoli della thin cap, che avrebbero escluso la deducibilità dei finanziamenti (erogati o anche solo garantiti dai soci qualificati e da loro «parti correlate») se eccedenti rispetto a una soglia fissata sulla base del patrimonio netto contabile di competenza dei soci medesimi.

La situazione in capo alla società-socia: versamenti a fondo perduto o in conto capitale

Se una società soggetta all’IRES partecipa al capitale di un’altra società, ed effettua a favore di questa dei versamenti, operano le previsioni del sesto comma dell’art. 94 del TUIR, in base alle quali l’ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società dai propri soci o della rinuncia ai crediti nei confronti della società dagli stessi soci, si aggiunge al costo dei titoli e delle quote di cui all’art. 85, primo comma, lett. c), TUIR (ricavi di natura finanziaria), in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria; la stessa disposizione opera per gli apporti effettuati dei detentori di strumenti finanziari assimilati alle azioni.

Nel caso in cui i versamenti siano effettuati a copertura delle perdite sofferte dalla società partecipata, gli stessi – costituendo poste di natura valutativa – risultano indeducibili dal reddito imponibile della società-socia, secondo quanto è stato osservato dall’Agenzia delle Entrate nella propria risoluzione n. 90/E dell’11.7.2005 (2).

 

Fabio Carrirolo

11 Marzo 2009

 

 


NOTE

(1) Proprio perché risultano applicabili i vincoli previsti in materia di riporto delle perdite nelle operazioni di fusione, pacificamente «disapplicabili» attraverso lo strumento dell’istanza al direttore regionale dell’Agenzia delle Entrate, ex art. 37-bis, co. 8, D.P.R. 600/1973, tale procedura risulta ora esperibile anche con riferimento agli interessi passivi eccedenti. Tale possibilità era oltretutto direttamente inserita nel testo del quarto comma dell’art. 96, D.P.R. 917/1986, secondo le intenzioni dapprima manifestate con il testo del d.d.l. Finanziaria approvato in prima lettura dal Senato (cfr. le schede di lettura predisposte dai Servizi Studi parlamentari, disponibili sul sito www.camera.it).

(2) Cfr. a tale riguardo G. Odetto, scheda Eutekne agg. 7/2005 scheda n. 615.02 – “L’indeducibilità dei versamenti sottozero”,
www.eutekne.it.