Utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti: la deducibilità dei costi derivanti dal reato di utilizzo di tali fatture

Reato di utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti: la deducibilità dei costi derivanti dal reato di utilizzo di tali fatture: le implicazioni che discendono dalla rilevanza riconosciuta ai costi riconducibili a fatti costituenti reato, con particolare riferimento alla disciplina dell’ipotesi delittuosa di annotazione di fatture/costi per operazioni inesistenti.

 operazioni inesistenti e costi del reato        In questo articolo si vuole fornire l’occasione di analizzare ancora una volta le implicazioni che discendono dalla rilevanza riconosciuta ai costi  e alle spese riconducibili a fatti costituenti reato, con particolare riferimento alla disciplina  dell’ipotesi delittuosa di annotazione di fatture per operazioni inesistenti.

         Dal punto di vista penal-tributario, il legislatore nel D.Lgs. n. 74/2000, ha distinto due fattispecie penalmente rilevanti ovvero l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, previsto e punito dall’art. 2 e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, previsto e punito dall’art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000.

 

         Per quanto riguarda:

 

Ø      il reato di utilizzo di f.o.i., il momento consumativo ha natura istantanea e coincide con la presentazione della dichiarazione annuale fraudolenta. In particolare, affinché il reato possa considerarsi consumato, non è sufficiente che le fatture afferenti operazioni inesistenti vengano registrate in contabilità, ma occorre che le stesse vengano trasfuse nella dichiarazione annuale. Infatti a norma dell’art. 6 del D.Lgs. n. 74/2000, il tentativo non è ammesso, talchè la mera utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, non seguita dalla presentazione della dichiarazione dei redditi non  veritiera, non è punibile.

 

 In particolare non sono punibili – sebbene rientranti tra quegli atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, che a norma dell’art. 56, comma 1 del cod. penale, integrano il delitto tentato – l’utilizzazione di fatture o documenti per operazioni inesistenti mediante inserimento in contabilità, se tale comportamento non è seguito dalla presentazione di una dichiarazione annuale fraudolenta o infedele. 

 

Ø      il reato di emissione  di f.o.i., il momento consumativo coincide con quello di emissione della fattura o altro documento falso e, nel caso di pluralità di fatture o di altri documenti emessi nel periodo d’imposta, con quello di emissione dell’ultimo di essi.

 

Quindi l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è un reato a consumazione istantanea in quanto la condotta incriminata consiste per sua stessa natura, in un fatto unisussistente e non in altro che, necessariamente o anche solo eventualmente, si debba riprodurre senza soluzione di continuità per un più o meno lungo arco di tempo (Cass. Sez. III, 18 gennaio 1994). In particolare l’emissione di f.o.i. è un reato di condotta e si perfeziona con nel momento in cui vengono emesse le fatture e, che queste vengono consegnate all’utilizzatore ovvero escano dalla sfera di controllo dell’emittente.

 

         Occorre poi distinguere il criterio fondamentale per valutare quando un documento si riferisce ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti.

 

         Il criterio fondamentale per verificare se una fattura è soggettivamente inesistente è  quello da parte di chi la emette di consentire a terzi l’evasione dell’i.v.a. o dell’imponibile. Infatti in materia di imposta sul valore aggiunto la fatturazione effettuata in favore di un soggetto diverso da quello effettivo non è riconducibile ad una ipotesi di fatturazione con dati inesatti ma viene considerata una fatturazione per operazioni “soggettivamente”  inesistenti, a fronte della quale L’I.v.a. si intende comunque dovuta ai sensi del comma 7 – art. 21 del D.P.R. N. 633/72.

 

         Un esempio quotidiano di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti lo troviamo nell’ormai consolidato sistema del “carosel fraud” ovvero in quel sistema di vendite a catena attraverso il quale viene ad interporsi, tra due o più operatori commerciali, il “missing traider”, ovvero quel soggetto economico inoperativo che ha solo lo scopo di consentire a terzi l’evasione dell’i.v.a e poi sparire senza versarla.

 

         Nell’ambito dell’attività di verifica, quando i funzionari delle Entrate o militari della guardia di finanza, si trovano a contestare, a seguito di pregressa attività penal-tributaria,  fatture afferenti operazioni inesistenti, dovranno ben individuare se le stesse si riferiscono ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti.

 

         Infatti se l’operazione è oggettivamente inesistente, l’utilizzatore della stessa oltre a vedersi recuperata l’Iva in quanto ritenuta dovuta ai sensi del comma 7 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/72, sarà oggetto anche di recupero dell’imponibile in quanto afferente un costo fittizio ovvero mai sostenuto in quanto appunto inesistente.

 

         Se invece l’operazione è da intendersi soggettivamente inesistente, i funzionari dell’Agenzia e i militari della guardia di finanza, si limiteranno al solo recupero dell’Iva in quanto ritenuta dovuta ai sensi del comma 7 dell’art. 21 del D.P.R. n. 633/72, mentre il costo verrà comunque riconosciuto perché afferente un’operazione realmente effettuata anche se  tra soggetti diversi.

 

         Per quanto riguarda l’emittente di fatture di operazioni inesistenti, la giurisprudenza di legittimità, di recente, con sentenza n. 22680/2008 ha di fatto legittimato l’Amministrazione finanziaria ad accertare  il maggior reddito in capo all’emittente di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.

 

         In sintesi questo è quanto sembra desumersi dalla lettura della sent. n. 22680  del 9 settembre 2008 della Corte di Cassazione. Infatti fino ad oggi l’Amministrazione finanziaria non aveva mai contestato in capo all’emittente un maggior reddito, a fronte di emissione di una fattura oggettivamente inesistente, a maggior ragione quando la fittizietà dell’operazione era comprovata dall’assenza del pagamento.

 

         Ora la Cassazione introduce un nuovo principio con il quale si evidenzia che con l’emissione di una fattura per operazioni inesistenti si ingenera per l’emittente un una presunzione di corrispondente vantaggio economico che è onere del contribuente superare.

 

         Considerazioni di ben altro tenore, invece, si rendono necessarie allorché la fattura sia afferente operazioni soggettivamente inesistenti. In questo caso infatti, la fattura pur se emessa con lo scopo di permettere a terzi l’evasione di imposta sul valore aggiunto, nella sostanza costituisce una operazione effettivamente avvenuta ma non direttamente tra le parti contraenti, ma bensì attraverso l’interposizione di un operatore fittizio (missing trader) che viene ad interporsi tra gli effettivi operatori economici con lo scopo di consentire all’ultimo di evadere l’Iva nell’operazione di compravendita. In questo caso si procederà solo al recupero dell’Iva e non anche del costo in quanto effettivamente sostenuto.

 

Paolo Giovannetti

5 novembre 2008