Fatture false, per operazioni inesistenti: la prova spetta al contribuente

Con sentenza n. 15395 del 13 marzo 2008 (dep. l’11 giugno 2008), la Corte di Cassazione, sulla scia di una serie di precedenti, ha ancora una volta confermato il proprio indirizzo giurisprudenziale: in tema di operazioni inesistenti la prova dell’effettività delle operazioni spetta al contribuente.

         

         La sentenza ripropone all’attenzione  della Corte  la delicata questione dell’incidenza dell’onere della prova (1),  e  dei  mezzi  di prova cui può farsi ricorso, ove l’Amministrazione contesti  l’esistenza  di  talune  operazioni  economiche debitamente documentate da fatture.

 

La sentenza n. 15395/2008

emissione di fatture falseAl di là dei diversi motivi addotti, la Corte affronta per primo il  riproposto problema sulla ripartizione dell’onere della prova,  quando  si  controverta della  inesistenza  (anche  solo  parziale   ovvero   riferita   alla   loro imputazione) delle operazioni riportate nelle fatture – dovendosi  avvertire che non è  configurabile  alcuna  violazione  del  divieto  di  ius  novorum,  quando  si  tratti  di stabilire il rispetto di una regola di giudizio da  parte  del  giudice  del gravame.

Per la Cassazione, su un piano ben diverso si  pone  l’affermazione  di  sufficienza  della “contestazione” dell’operazione, ad opera della stessa  amministrazione, 

“la quale certamente comporta l’onere,  per  il  contribuente,  di  provare,  in concreto, la detraibilità (in tale prospettiva si pone, fra le altre,  Cass. 6341/2002, richiamata dal controricorrente)”.

Da ciò ne consegue, che una   volta   assurti  una serie di elementi, “viene  per  ciò  stesso  a ricadere sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza  delle operazioni (Cass. 19109/2005, 4046/2007; nei sensi indicati, cfr. lo  sforzo di ricomposizione in Cass. 21953/2007)”.

 

 

L’onere della prova in caso di contestazione di fatture false 

         Se la motivazione serve a spiegare il fondamento della pretesa tributaria in modo da consentire al contribuente di decidere se ricorrere o meno davanti al giudice tributario, non essendo necessario dare la prova dell’esistenza di quanto affermato, la prova serve a convincere il giudice nel processo.

         Occorre operare, quindi, una netta distinzione tra motivazione e prova, perchè  potrebbero esserci avvisi di accertamento ben motivati,  ma basati su fatti non provati. Vi possono essere, pertanto, accertamenti basati su affermazioni non vere, ma motivati adeguatamente, e privi comunque di fondamento probatorio.

         Spesso, la motivazione non richiede nemmeno una ulteriore attività probatoria da parte dell’Ufficio, perchè si basa su elementi che il contribuente non contesta.

         Possiamo, quindi, dire che la prova descrive la motivazione, o addirittura, viceversa, la motivazione è essa stessa la prova, specialmente in considerazione del fatto che la prova certa, nel campo tributario, è rara e che anche un qualsiasi documento (fattura, ricevuta fiscale, contratto) che attesti una determinata situazione di fatto, deve essere comunque interpretato e supportato da un ragionamento, semplicissimo o complesso, ma indispensabile per far assurgere detto elemento al rango di prova.

         Occorre, quindi, dopo, “provare” la pretesa tributaria attraverso un ragionamento logico giuridico sulla base delle risultanze istruttorie (documenti, pvc) che sono le cosiddette prove in senso stretto. La prova, quindi, ci dà la conoscenza di un fatto, ricostruendolo storicamente.

         L’orientamento giurisprudenziale che assegnava all’ufficio l’onere della prova è ormai superato, ad opera della stessa Cassazione che, già nel 2005, con la sentenza n. 28695 dell’11 ottobre 2005, depositata il successivo 23 dicembre (2), ha affermato che  qualora l’Amministrazione contesti al contribuente che alcune fatture  sono  state  emesse  per  operazioni  inesistenti,   incombe   sul contribuente stesso dimostrare l’effettiva esistenza  delle  operazioni. 

A tal fine non è sufficiente  la  mera  esibizione  dei  mezzi  di  pagamento (assegni) che, normalmente, vengono utilizzati fittiziamente (nel  caso  di specie, essi erano ritornati, dopo varie girate, nella disponibilità  della contribuente).

         La sentenza fissa un importante principio, che ribalta un indirizzo precedente: in caso di contestazioni relative a fatture per operazioni inesistenti, spetta al contribuente l’onere di dimostrare la legittimità  e correttezza delle operazioni mediante  esibizione  dei  relativi  documenti contabili e degli elementi necessari a suffragare l’operazione.

 

         Ed ancora, la Cassazione:

·        sentenza corte di cassazionecon sentenza n. 7144 del 20 dicembre 2006 (dep. il 23 marzo 2007), ha riaffermato il principio: in tema di Iva, ove l’Amministrazione finanziaria contesti  al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative a  prestazioni inesistenti, spetta al contribuente l’onere di provare la legittimità  e  la correttezza dell’operazione mediante  l’esibizione  dei  relativi  documenti contabili.

Pertanto, quando costui non è in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione, questa deve ritenersi indebita, sicché legittimamente l’ufficio provvede a recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta.

Detta prova non  può,  peraltro,  essere  costituita dalla sola esibizione  dei  mezzi  di  pagamento,  che  normalmente  vengono utilizzati fittiziamente e che, pertanto,  rappresentano  un  mero  elemento indiziario, la cui presenza o assenza deve essere valutata nel  contesto  di tutte le altre risultanze processuali;

·        con sentenza n. 10345 del 19 marzo 2007 (dep. il 7 maggio 2007), ha affermato che in sede di accertamenti in rettifica ai fini Irpef, gli uffici competenti sono autorizzati, ai sensi degli artt. 37 e seguenti  del  D.P.R. 600/1973, ad avvalersi della “prova per presunzione”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente  onere della  prova contraria a carico del contribuente, il quale, ove intenda contestare l’efficacia presuntiva dei  fatti  addotti  dall’ufficio  a  sostegno  della propria pretesa, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative  o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi  sui  quali le sue eccezioni si fondano (nel caso di specie la Corte ha ritenuto che legittimamente l’ufficio avesse considerato reddito gli assegni  corrisposti da un’azienda ad un notaio, ancorché non avesse rogato  atti  per  l’azienda stessa, e che incombesse sul  notaio  la  prova  della  diversa  natura  dei versamenti stessi);

·        con sentenza n. 11576 del 28 febbraio 2007, dep. il 18 maggio 2007, ha imposto l’onere della prova relativo alla sussistenza delle condizioni legittimanti l’accesso di una cooperativa agricola alle agevolazioni previste dalla legge al contribuente che deve dimostrare, anno per anno, che la propria attività rientra nei parametri previsti;

·        con sentenza n. 16896 del 28 marzo 2007, dep. il 31 luglio 2007, ha ritenuto che “nel caso in cui l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni Iva deve essere fornita dal contribuente con la esibizione dei documenti contabili legittimanti”;

·        con sentenza n. 21953 del 21 settembre 2007 (dep. il 19 ottobre 2007) ha  affermato che il presunto contrasto interno – alcuni    pronunciamenti   che porrebbero il    relativo   onere a carico dell’Amministrazione, altre a carico del contribuente –

“appare  molto  meno  radicale:  le  sentenze  che  vengono abitualmente citate a sostegno della teoria secondo cui l’onere della  prova graverebbe sull’Amministrazione, in realtà non contengono affatto simile asserzione.

Ed invero poiché le operazioni passive denunciate dal contribuente sono fonte di credito a suo vantaggio (nell’ambito dell’Iva) di detrazione dall’imponibile (nell’ambito delle imposte sui  redditi),  appare logico concludere che spetta al contribuente fornire la prova dell’esistenza di fatti da cui scaturisce un suo diritto”.

Concludono i giudici di Cassazione:

“la giurisprudenza di questa Corte è unanime nell’affermazione secondo cui la correttezza formale della contabilità non può diventare un alibi per commettere ogni  possibile  violazione  delle  leggi  fiscali. 

E dunque qualora l’Amministrazione  fornisca  validi elementi  di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni (sentenze n. 19109 del 29 settembre 2005 (3); n. 4046 del 21 febbraio 2007 in quest’ultima sono state ritenute adeguate  a  suffragio  delle  tesi erariali le circostanze secondo cui non risultava la prova del pagamento della somma indicata in fattura; non risultava stipulato  un contratto  di appalto scritto, nonostante il valore ingente delle opere pari a circa 13 miliardi di lire; non era stata fornita la prova  dell’esecuzione  di  alcun lavoro)”;

 

         Se la fattura costituisce il dato di partenza non vi è dubbio che la convinzione della bontà della fattura viene meno tutte le volte in cui i verificatori – sulla base di tutta una serie di elementi a supporto – constatino la falsità: il pagamento per cassa, il fatto che il soggetto emittente non aveva personale per poter effettuare la prestazione, il fatto che l’emittente non ha presentato la propria dichiarazione o che l’abbia presentato con l’indicazione di un volume d’affari nettamente inferiore alla fattura emessa, la dimostrazione del ritorno del pagamento attraverso le indagini finanziarie, costituiscono tutti elementi atti a supportare la pretesa.

Riteniamo che sia difficile trovare oggi verbali che dicano “la fattura è falsa”. Punto.

Proprio la sentenza di Cassazione n. 21953/2007, qui richiamata dai Giudici, – in maniera chiara e netta – afferma che il contrasto giurisprudenziale di cui tutti discutiamo, è più teorico che pratico.

In pratica, la presunta in astratto legittimità della fattura si supera  ogni  qual   volta l’Amministrazione offra elementi anche indiziari – come quelli sopra indicati – che pongano in dubbio la documentazione  prodotta dal  contribuente.

 

         Non si può non rilevare, oltretutto, che successivamente al pronunciamento n. 21953/2007 – e oggi ribadito nella sentenza in esame – la Cassazione ha affermato che

“se l’Amministrazione finanziaria contesti al   contribuente l’indebita detrazione di fatture,  in quanto  relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente mediante l’esibizione dei documenti contabili legittimanti,  i  quali  non  possono  provenire  da  un  soggetto inesistente (Case. n. 1727/2007, n.1950/2007, n. 1569/2007,  n.6341/2002, n.13605/2003); in mancanza di, tale prova legittimamente l’ufficio  procede a recuperare l’imposta detratta (Cass. n.13662/2001)”.

 

         Ed ancora con sentenza n. 8247 del 31 gennaio 2008 (dep. il 31 marzo 2008) la Corte di Cassazione, ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale: in tema di operazioni inesistenti la prova dell’effettività delle operazioni spetta al contribuente. La Corte osserva, innanzitutto, che “le operazioni passive, come  gli acquisti di merce, costituendo fonti di credito IVA a vantaggio del contribuente, comportano l’onere, a suo  carico, di  fornire  la  prova  di esatta  corrispondenza  fra la spesa effettivamente sostenuta e la corrispondente detrazione d’imposta (in generale, quanto all’onere gravante sul contribuente di provare la sussistenza  del diritto a deduzioni e detrazioni d’imposta, cfr. Cass. nn. 2300/2005,  5599/2003, 16198/2001, 13478/2001, 12330/2001)”.

 

         La Corte prosegue il ragionamento facendo proprie una serie di sentenze, e in particolare, a nostro avviso, la pronuncia n. 21953/2007:

“in tema di IVA, è stato correttamente osservato che la fattura è documento idoneo a provare un costo dell’impresa; cosicché, nell’ipotesi di fatture che l’amministrazione ritenga relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, non spetta al contribuente provarne  l’effettività, ma all’amministrazione stessa dedurre argomenti idonei a palesare l’inesistenza o la diversa e minore entità dell’operazione oggetto della fattura  (Cass. nn. 27341/2005, 18710/ 2005).

 

         E tuttavia, qualora l’amministrazione fornisca sufficienti elementi – acquisiti attraverso  gli  accertamenti  ed i controlli  a sua disposizione, ai sensi del D.P.R. n.  633  del  1972,  art. 51  e  ss. – per sostenere l’affermazione che alcune fatture riflettono operazioni in tutto o in parte fittizie, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza e consistenza di tali operazioni  si  sposta sul  contribuente,  in  virtù delle regole generali vigenti in materia (Cass. nn. 1727/ 2007, 15228/2001).

In tal caso, il giudice di merito deve prendere in considerazione, innanzitutto, gli elementi addotti dall’ufficio, al fine  di verificare se sono idonei astrattamente ad inficiare la credibilità delle fatture e degli altri documenti contabili; in secondo luogo, deve esaminare, al fine di decidere la controversia,  le  prove  eventualmente  addotte  dal contribuente  per  contrastare  la  pretesa  del  fisco e giustificare la detrazione d’imposta operata”.

Sulla base di tali considerazioni,

“la sentenza  impugnata risulta errata, quando disattende la pretesa erariale perché non fondata  su elementi certi e  concreti  o  su  prove  e  fatti  concreti;  dovendosi ritenere  sufficiente  a  spostare  l’onere  della  prova  l’allegazione di semplici elementi indiziari,  ricavabili anche da controlli  indiretti”.

 

         Inoltre, la sentenza di secondo grado risulta

“insufficientemente  motivata,allorché espone che la contribuente avrebbe confutato la pretesa fiscale con ampia  ed articolata documentazione, senza  specificare il tipo di prove documentali che consentirebbero di superare le  rilevate  differenze  (di  cui  la  sentenza accenna in parte narrativa) fra  merce  asseritamente  acquistata  presso  i grossisti e merce da questi ultimi venduta”.

         E quindi, non possiamo che concludere questo intervento rilevando come il vento sia cambiato e di questo i contribuenti ne devono tener conto prima di instaurare il contenzioso.

 

Gianfranco Antico                          

10 Luglio 2008

 

NOTE
 

(1) Cfr. ANTICO, Gravità, precisione e concordanza: si sposta sul contribuente l’onere della prova, in www.il commercialistatelematico.it, 2007; ANTICO, Operazioni inesistenti: la prova dell’esistenza spetta al contribuente, in www.ilcommercialistatelematico.it, 2006.

(2) Per un approfondimento della sentenza si rinvia ad ANTICO, Operazioni inesistenti: la prova dell’esistenza spetta al contribuente, in “ www.ilcommercialistatelematico.it”.

 

(3)  Per la Corte, acquisito  in  maniera  incontrovertibile  il “fatto storico” dell’emissione delle fatture per operazioni inesistenti (in senso assoluto, perché i relativi trasporti non erano stati mai effettuati) era, quanto meno, contraddittorio esimere la parte  dal  fornire  la  prova circa l’effettiva esistenza delle operazioni. “ In caso di contestazioni relative a fatture per operazioni inesistenti, spetta, in effetti, al contribuente l’onere di dimostrare la legittimità  e correttezza delle operazioni mediante  esibizione  dei  relativi  documenti contabili”.