Con sentenza n. 9919 del 23 gennaio 2008 (dep. il 16 aprile 2008) la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il ricorso all’art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 600/1973, anche laddove le scritture contabili obbligatorie siano state oggetto di furto da parte di ignoti regolarmente denunciato dal contribuente. Tale evento, infatti, non lo esonera dall’onere probatorio in ordine agli elementi di fatto e di diritto a sostegno della deducibilità dei componenti negativi di reddito.
La sentenza
Il Collegio rileva innanzitutto che la Commissione Regionale, alla stregua degli atti e della documentazione esaminati, dopo avere affermato la legittimità degli avvisi di accertamento, avendo rilevato che gli stessi erano assistiti da congrua e idonea motivazione, ha respinto le doglianze dei contribuenti in merito al riconoscimento dei costi, nella considerazione che, in assenza delle prescritte scritture contabili – che i medesimi contribuenti evidenziavano di avere smarrito – ed in assenza di qualsiasi prova, correttamente l’Ufficio avesse fatto riferimento agli elementi desumibili dalle risultanze ispettive della Guardia di Finanza.
I Giudici di merito, in vero, con argomentazione, sotto il profilo logico-formale, corretta e quindi insindacabile in sede di legittimità,
“hanno ritenuto che la rilevanza impositiva delle operazioni accertate dall’Ufficio non era scalfita dalle giustificazioni prospettate dai contribuenti, dal momento che, per un verso, il dedotto smarrimento della documentazione, di per sé ed in assenza di elementi di riscontro, non poteva giustificare i costi e, considerato, sotto altro profilo, che gravava sui contribuenti, l’onere di provare i fatti che legittimavano il riconoscimento dei costi (Cass. n. 13605/2003, n. 6341/2002)”.
Infatti, osserva la Corte, costituiscono principi condivisi, sia quello secondo cui
“in temadiaccertamentodelleimpostesuiredditieconriguardoalla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova circal’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneriecostideducibili,ivicompresoil requisito dell’inerenza, incombe al contribuente che invoca la deducibilità” (Cass. n. 16198/2001, n. 11514/2001), sia quell’altro per il quale “spettando al contribuente l’onere di provare la legittimità e la correttezza delle detrazioni, mediante l’esibizione dei relativi documenti contabili, quando costui non è in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione per avere denunciato un furto della contabilità, non spetta all’amministrazione di operare un esame incrociato dei dati contabili ma al contribuente di attivarsi, attraverso la ricostruzione del contenuto delle fatture emesse, con l’acquisizione – presso i fornitori – della copia delle medesime; né una denuncia di furto è di per se stessa sufficiente a dare prova dei fatti controversi, se priva della precisa indicazione riguardante le singole fatture e il loro contenuto” (Cass. n. 13605/2003, n. 6341/2002).
L’adottata decisione – per la Corte Suprema – appare in linea con tali principi e le doglianze formulate, peraltro in modo non specifico, non ne incrinano la motivazione, tenuto conto che “il riconoscimento dei costi viene invocato, senza che degli stessi vengano indicati tipologia, importi e documenti rappresentativi e che, d’altronde, il negativo apprezzamento della contabilità, quale ricostruita e messa a disposizione dai contribuenti, rientra nel potere discrezionale, tipico del giudice di merito”.
In buona sostanza, le doglianze formulate con il ricorso, risolvendosi nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto esaminati e valutati dal giudice di merito, si pongono in contrasto con il condiviso e consolidato principio secondo cui
“in tema diaccertamentodei fatti storici allegati dalle parti a sostegno dellerispettivepretese,i vizi motivazionali deducibili con ilricorsopercassazionenonpossono consistere nella circostanza che la determinazione olavalutazionedelle prove siano state eseguite dal giudice in senso difforme daquellopreteso dalla parte,perchéanormadell’art.116c.p.c.rientranelpotere discrezionale – e come tale insindacabile – del giudice di merito apprezzare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, trale varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti con l’unico limitedisupportareconadeguataecongruamotivazionel’esitodel procedimento accertativoevalutativoseguito” (Cass. n. 11462/04; n. 2090/04).
Brevi riflessioni
La pronuncia che si annota va sul solco già tracciato da precedenti sentenze – cfr. fra le altre, Cass. n. 10238 del 18 ottobre 1997 -, che aveva affermato che la società, che a seguito di richiesta di esibizione dei libri e scritture contabili assuma di averli distrutti, e’ onerata della prova della loro distruzione.
Il furto, in pratica, non esonera il contribuente dall’onere probatorio.
Tuttavia si ritiene qui di ricordare una interessante sentenza della Cassazione – la n. 21233 del 18 maggio 2006 (dep. il 29 settembre 2006), la quale dopo aver rilevato che il contribuente impossibilitato – a seguito di un furto subito – ad esibire, in sede di verifica e di accertamento, i documenti contabili (registri e fatture) la cui tenuta è obbligatoria, non è ipso facto esonerato dall’onere della prova della sussistenza dei crediti esposti in dichiarazione annuale ai fini IVA, ritiene che il contribuente possa far valere la regola generale di cui all’art. 2724, n. 3), del c.c. secondo la quale la parte è autorizzata alla deduzione di prova testimoniale o per presunzioni.
Pertanto, per la Corte,
“ove il contribuente dimostri di essere nell’impossibilità di acquisire presso i fornitori dei beni o dei servizi copia delle fatture, si deve fare riferimento alla regola generale fissata dall’art. 2724, n.3), del codice civile. Secondo tale disposizione la perdita senza colpa del documento, che occorra alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole, non integra ragione di esenzione dall’onere della prova, né sposta il medesimo sulla controparte, ma rileva esclusivamente come situazione autorizzativa della prova per testimoni (o per presunzioni), in deroga ai limiti per essa previsti. In applicazione della suddetta norma, è da ritenersi che l’incolpevole perdita della contabilità, richiesta per la detrazione di Iva a credito, non introduce una presunzione di veridicità di quanto in proposito denunciato dal contribuente agli organi di polizia, sì che un’autodichiarazione del contribuente avente ad oggetto un elenco di dette fatture, ancorché dettagliato, è insufficiente al fine, dovendo tale indizio trovare conferma testimoniale o presuntiva, se non è possibile il riscontro con le fatture emesse tramite la tenuta della regolare contabilità del soggetto emittente delle stesse”.
Questa sentenza, come evidenziato da autorevole dottrina (1)
“va oltre, affermando – forse, per la prima volta, per una fattispecie del genere – che il contribuente, se impossibilitato al riscontro con i soggetti emittenti, può dimostrare le operazioni realizzate ed elencate, mediante conferma testimoniale o presuntiva (quindi, in primis, occorre effettuare il riscontro con l’emittente, e in subordine, nei casi di impossibilità, si possono trovare conferme all’elenco prodotto dal verificato).
E’ ovvio che per conferma testimoniale dobbiamo intendere la cd. testimonianza impropria, cioè la dichiarazione rilasciata da terzi, al di fuori del processo, che entra nel giudizio quale documento, per formare il convincimento del giudice. Proprio poiché tali atti fanno fede, fino a querela di falso, della solo autenticità della dichiarazione e dell’identificazione del soggetto dichiarante ma non anche della veridicità del contenuto, il giudice le richiede a conferma; il primo passo resta sempre quello della ricostruzione della contabilità attraverso i soggetti emittenti le fatture”.
Francesco Buetto
12 Maggio 2008
NOTE
(1) Cfr. ANTICO, Contabilità rubata? Il credito va comunque provato, in “ Fiscooggi”, edizione del 23 ottobre 2006