La Commissione Tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie, quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce. A cura di Carmela Lucariello.
Sanzioni tributarie – CASISTICA
L’art. 8 del D.lg. n. 546/1992 dispone che: la Commissione Tributaria dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie, quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce.
Tale esimente ha un’applicazione generalizzata a tutti i tributi di competenza delle commissioni tributarie.
I “sintomi” dell’incertezza normativa oggettiva, sono, secondo gli interventi del giudice di legittimità:
1) La difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge (Corte dì cassazione 8 marzo 2000, n. 2604);
2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica (Corte di cassazione: 2 aprile 2007, n. 8187; 3 ottobre 2006, n. 21328);
3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata (Corte di cassazione 25 ottobre 2006, n. 22890);
4) la mancanza di precedenti giurisprudenziali (Corte di cassazione 5 settembre 2006, n. 19115; 23 agosto 2001, n. 11233);
5) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti (Corte di cassazione: 24 agosto 2007, n. 18039; 14 maggio 2007, nn. 11051 e 11052; 21 febbraio 2007, n. 4044; 22 dicembre 2006, n. 27473; 20 dicembre 2006, nn. 27257 e 27258; 1° dicembre 2006, n. 25618; 7 luglio 2006, n. 155551 e 15552; 23 giugno 2006, n. 14670; 1° giugno 2006, n. 13079; 6 febbraio 2006, n. 2478), magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale (Corte di cassazione: 12 gennaio 2007, n. 533; 20 dicembre 2006, n. 27216; 17 febbraio 2006, n. 3510);
6) la formazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale (Corte di cassazione 27 ottobre 2006, nn. 23228 e 23229);
7) l’adozione di norme d’interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente (Corte dì cassazione: 3 agosto 2007, n. 17105; 10 novembre 2006, n. 24064).
8) la sussistenza di una disciplina normativa articolata in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente (sentenza n. 14476 del 29 settembre 2003 della Corte di Cassazione; Cass. 11233/2001, 5415/2002, 6251/20).
Regime processuale
La sentenza n. 7765 del 21 marzo 2008 della Corte Cass., Sez. tributaria ha statuito i seguenti interessanti principi:
Vige in materia tributaria il principio giuridico di diritto mite, desunto per induzione da una serie di disposizioni generali di natura sostanziale e processuale, secondo cui «le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da incertezza normativa oggettiva tributaria, cioè dal risultato equivoco dell’interpretazione delle norme tributarie accertato dai giudice, anche di legittimità».
L’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto, come emerge dall’art. 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti), perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dall’Amministrazione.
L’incertezza normativa oggettiva tributaria è la situazione giuridica che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto (tra cui, in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa) ed è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, anche di legittimità, di individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo pur metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie (ancorché il giudice sia tenuto, in forza del divieto del non liquet, a pervenire comunque ad un risultato interpretativo).
L’incertezza normativa oggettiva tributaria può essere dedotta in cassazione solo se sia stata dedotta avanti al giudice di merito ed il ricorso deve rispondere al requisito dell’autosufficienza, indicando le norme regolative di rapporti giuridici tributari sulle quali si sia formata l’incertezza oggettiva, e riprodurre testualmente quelle parti degli atti processuali nei quali il contribuente, introducendo la questione in sede di merito, abbia eventualmente specificato se e quali norme fossero oggettivamente immerse nelle nebbie dell’incertezza.
Il giudice di legittimità è fra i soggetti legittimati a prender atto della ”incertezza” in questione solo se sia stata dedotta avanti al giudice di merito.
Le violazioni di norme tributarie, commesse in dipendenza di una situazione di obiettiva incertezza normativa tributaria, non danno luogo all’irrogazione di sanzioni laddove il giudice – anche in sede di legittimità – abbia verificato la condizione di equivoca interpretazione della disciplina fiscale (Sent. n. 24670 del 25 settembre 2007 dep. il 28 novembre 2007 della Corte Cass., Sez. tributaria).
Invero, non basta certo agire in giudizio per ritenere che la questione proposta sia oggetto di un’incertezza normativa oggettiva, come sta a dimostrate sia il potere del giudice di dichiarare una pretesa manifestamente infondata sia l’espressa previsione legislativa che “in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria” (art. 10.3.1, ultimo periodo, L. 27 luglio 2000, n. 212).
Quando il giudice si trovi in una situazione giuridica oggettiva di incertezza normativa tributaria è circostanza che spetta allo stesso giudice di valutare, perché tale attività rientra nello svolgimento del suo fondamentale compito di creare certezza.
L’incertezza normativa è rilevante giuridicamente in quanto sia riferita soggettivamente ai soli giudici. Infatti, l’efficacia di esenzione dalla responsabilità amministrativa tributaria, che il legislatore attribuisce all’incertezza normativa oggettiva, comporta che essa debba essere intesa in maniera molto restrittiva, dovendosi escludere anzitutto che l’ambiente fattuale di incertezza creato dai fatti produttivi delle norme sia da rapportare, non di fatto, ma giuridicamente, non solo al generico contribuente, ma anche a quei contribuenti che pure, per la loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale) (Corte di cassazione 28 maggio 2007, n. 12442).
Inoltre, è da escludere che l’incertezza oggettiva sia da rapportare all’ufficio tributario, perché il titolare del potere d’imposizione tributaria deve svolgere continuamente un’attività d’interpretazione normativa, del cui risultato sì deve dichiarare certo a prescindere dalle difficoltà incontrate, con la conseguenza che l’ufficio tributario non disapplicherà mai, di sua iniziativa, le sanzioni amministrative tributarie; esso, infatti, al pari del giudice, ma in ragione di un dovere diverso – il dovere d’ufficio amministrativo – non può avere incertezze, perché è tenuto a dare attuazione alla norma giuridica tributaria, dopo averla previamente individuata (Corte di Cassazione sentenza del 18 aprile 2003, n. 6251).
L’applicazione dell’art. 8 del dlgs n. 546/92 è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice, motivo per cui, in assenza di una esplicita richiesta da parte del contribuente, la mancata concessione del beneficio non può costituire motivo di doglianza in sede di gravame.
Diversamente nell’ipotesi in cui il contribuente abbia espressamente richiesto il beneficio; in tal caso, l’eventuale diniego deve essere esaurientemente motivato, potendo, in difetto, essere sollevata censura per vizio di omessa pronuncia.
E’ noto che, sotto il profilo di teoria generale, il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’articolo 112 cpc è una manifestazione del principio del contraddittorio e della difesa della controparte; tale principio prescrive al giudice di pronunciarsi su ciò che è postulato con l’esercizio dell’azione e non oltre, fermo restando che il ricorrente ha l’aspirazione a una pronuncia di merito e non a una pronuncia meramente processuale.
Si ha omessa pronuncia quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili ovvero su un punto decisivo della controversia.
La pronuncia viziata da omessa pronuncia è nulla. Tale vizio si converte in motivo d’impugnazione sanabile con il passaggio in giudicato della sentenza; esso è denunciabile solo con gli ordinari mezzi d’impugnazione e non è rilevabile d’ufficio dal giudice del gravame (Cassazione, sentenza n. 14083 del 27/07/2004).
Carmela Lucariello
5 APRILE 2008
IL PRESENTE INTERVENTO E’ ESPRESSIONE DI OPINIONI PERSONALI DELL’AUTORE