Indagini finanziarie: il Fisco può accedere ai dati dell’anagrafe bancaria

L’anagrafe dei rapporti bancari è un mezzo istruttorio, strumentale alle indagini finanziarie e creditizie. I funzionari dell’agenzia delle Entrate e i militari della Guardia di finanza, debitamente autorizzati, possono accedere alla nota banca dati. A cura di Emanuela Joan.

anagrafe tributaria e indagini finanziarieFino ad oggi, infatti, la richiesta di informazioni bancarie veniva inviata dagli operatori a tutti gli intermediari finanziari; adesso l’accesso diretto all’anagrafe consentirà agli stessi verificatori autorizzati al controllo di individuare quali rapporti intrattiene (e con chi) il contribuente e richiedere quindi le informazioni relative al rapporto esclusivamente agli intermediari interessati. Il tutto con grande sollievo degli istituti di credito, bancari e non, che hanno dovuto esitare in questi mesi centinaia di migliaia di richieste, per lo più con esito negativo.

Può essere utile, in questo contesto, ripercorrere qui di seguito le tappe di avvicinamento e le principali novità in materia.

La Legge Finanziaria 2005 ha implementato i poteri degli uffici, modificando gli articoli 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973, e per l’Iva, l’art. 51 del D.P.R. n. 633/1972. Con tale novella legislativa, si è attribuita all’Amministrazione Finanziaria una possibilità di controllo estremamente incisiva con l’introduzione di ulteriori presunzioni in favore della stessa che operano iuris tantum .

Con la Circolare n. 32/E del 19.10.2006 l’Agenzia delle Entrate è intervenuta sull’applicazione degli articoli 32 del DPR 600/73 e 51 del DPR 633/72, definendo “indagini finanziarie”  il complesso di poteri esercitabili nell’ambito dei controlli fiscali.

Le modifiche introdotte dall’art. 1, commi 402 e 403, rispettivamente all’ art. 32 del D.P.R. 600/73 e all’art. 51 del D.P.R. 633/72 consentono di richiedere agli intermediari notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, e le garanzie prestate da terzi.

La nuova formulazione normativa amplia sia i soggetti destinatari delle richieste che le informazioni che possono essere richieste: non più solo copia dei conti intrattenuti con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi ma anche le singole operazioni poste in essere dai soggetti sottoposti a verifica.

In generale, le modifiche introdotte consentono ai verificatori – civili e militari – di acquisire tutte le notizie relative al contribuente, in quanto la norma si estende a tutti  “i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni“, ed ai “dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi “, consentendo così  di ottenere tutte le informazioni e/o operazioni fuori conto, in ordine ad esempio: acquisto e vendita di valuta estera; acquisti di certificati di deposito; richiesta di bonifico senza addebito in conto; cessioni di titoli ed effetti al dopo incasso; negoziazione allo sportello di assegni; movimentazioni alla cassa di denaro; richiesta di assegni circolari con controvalore in numerario; cassette di sicurezza.

L’Agenzia delle Entrate, nel sottolineare la valenza della novella legislativa sui poteri di indagine finanziaria ai fini dei controlli fiscali, ha evidenziato l’intento del legislatore di invertire l’onere della prova, atteso che la Consulta (sentenza n. 225 del 8 giugno 2005) ha statuito che la ricostruzione della capacità contributiva attraverso lo strumento presuntivo non viola l’art. 53 della Costituzione. In tale contesto la legge ha anche eliminato la distinzione fra imprenditori e lavoratori autonomi, stabilendo che ai fini della valenza presuntiva i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito dei rapporti od operazioni, intrattenuti o effettuate con gli enti creditizi e intermediari finanziari, in assenza dell’indicazione del beneficiario, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti – ricorrendone i presupposti – sia come ricavi che come compensi.

La base informativa delle indagini finanziarie si è arricchita con  l’implementazione  del  sistema  dell’Anagrafe tributaria, concernente  gli adempimenti degli intermediari  finanziari.  Infatti, l’art. 37, co. 4, del D.L. 4.7.2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4.8.2006, n. 248, ha previsto l’istituzione della “anagrafe dei rapporti” tra intermediari finanziari e contribuenti.

Con il provvedimento direttoriale  del  22.12.2005 sono state individuate le categorie di intermediari destinatari delle richieste. Tra questi, viene precisato che oltre a banche ed istituti di credito, sono destinatari delle nuove disposizioni anche le Poste Italiane.

Vi sono poi gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco generale di cui all’art. 106 e 107, 113, 155 del D.Lgs. 1.9.1993, n. 385. (c.d. “Testo unico bancario – Tub”). Si tratta di soggetti che esercitano l’attività di concessione finanziamenti, locazione finanziaria, assunzione di partecipazioni, servizi  di  pagamento (tra cui emissione e gestione di  carte  di  credito,  trasferimento fondi sotto qualsiasi forma), intermediazione in cambi; delle holding di partecipazione; dei consorzi e le cooperative di garanzia collettiva fidi, dei cambiavalute; dei soggetti che svolgono attività di varia natura come, ad esempio, custodia,  trasporto  valori,  commercio in oro, gestione case da gioco, oltre ad attività come quella immobiliare, dell’esercizio di case d’asta, del recupero crediti, eccetera; degli operatori professionali in oro; degli Istituti di moneta elettronica (IMEL), che esercitano in via esclusiva l’attività di emissione  della moneta  elettronica.

Sono altresì destinatarie delle nuove disposizioni normative le imprese di investimento  mobiliare  (Sim), diverse dalle banche, tuttavia autorizzate,  insieme  a  queste  ultime,  a svolgere  servizi  di  investimento  nei  confronti  del  pubblico; delle società di gestione del risparmio (SGR) e le società fiduciarie.

Avendo la legge superato la nozione di “conti  intrattenuti”  per approdare alla più ampia area di indagine relativa a “qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati” con la clientela, il legislatore ha sostanzialmente individuato, quali intercettabili ai fini dell’esercizio del potere istruttorio, tutte le operazioni relative all’attività degli intermediari.

Tra le operazioni poste più frequentemente in essere dagli intermediari con i loro clienti, rientrano:

operazioni di natura finanziaria, ovvero tutte  le  transazioni caratterizzate, in via generale, da movimentazioni di titoli  e  denaro.

operazioni relative, in particolare, a mezzi di pagamento, ovvero operazioni mirate, rintracciabili anch’esse all’interno di un rapporto o anche come isolate, che  riguardano  gli incassi, i pagamenti, i trasferimenti in denaro contante, gli assegni (in tutte le loro accezioni),i vaglia postali, i bonifici e  l’emissione  e  la  gestione  di  carte  di credito.

operazioni relative a servizi accessori, in quanto connessi a un rapporto e  quindi  da  considerarsi operazioni aggiuntive del rapporto principale, per quanto non possa escludersi  la  loro  effettuazione  anche come operazioni isolate o rapporti a sé stanti. Esse riguardano la custodia e l’amministrazione di strumenti finanziari, la locazione di cassette  di sicurezza, consulenza alla clientela in materia, tra l’altro, di  strategia d’impresa e  di  emissione  e  di  collocamento  di  strumenti  finanziari, domiciliazione di bollette, utenze, intermediazione in  cambi,  concessione di finanziamenti agli investitori per consentire  loro  di  effettuare  una operazione relativa a strumenti finanziari.

Particolare attenzione viene altresì dedicata alle operazioni fuori conto, che costituiscono ormai materia oggetto di segnalazione da parte degli intermediari finanziari. Si fa riferimento a tutte quelle operazioni che avvenivano, e tutt’ora avvengono, comunemente “allo sportello”, prevalentemente bancario e postale, ma anche di altri intermediari finanziari, contro  presentazione di contante o assegni, senza transito nello speciale rapporto di conto. In  tal  senso,  costituiscono  tipiche  operazioni  di  sportello la richiesta di assegni circolari, il bonifico per cassa, il  cambio  assegni, l’acquisto di valuta estera, la sottoscrizione e la negoziazione di  titoli e certificati di deposito.

Alcune operazioni, rilevate  dagli  operatori  finanziari,  sono  state escluse dalla comunicazione mediante la procedura telematica sulla base  di due principi: il primo è rappresentato  dall’esigenza  di evitare che le informazioni, già in possesso dell’Amministrazione finanziaria,  perché comunicate con altre modalità, siano oggetto di richiesta (pagamenti di pensioni, utenze, imposte, tasse e canoni televisivi, contributi assicurativi e previdenziali); il secondo è costituito dalla non significatività, ai fini dei controlli fiscali, di alcune informazioni relative alle  operazioni (pagamento di ticket sanitari, titoli di trasporto pubblico e privati, acquisti e/o prenotazione di biglietti relativi  a  manifestazioni sportive, fieristiche, artistiche e spettacoli di vario genere, pagamenti o incassi  effettuati  nell’ambito  del  servizio  di tesoreria svolto per conto dello Stato o di enti pubblici non economici). Tali pagamenti, anche se effettuati tramite  RID,  MAV,  RAV,  sono  da escludere.

Analogamente  sono  da  escludere  le  operazioni  dei  coadiutori   di giustizia, come, ad esempio, il curatore fallimentare, che nell’esercizio delle sue mansioni procede a incassare somme dovute alla massa fallimentare, nonché a eseguire i pagamenti dovuti e quelle dei pubblici ufficiali incaricati di riversare le somme incassate a titolo di penalità (multe, ammende, eccetera), che procedono a versare il relativo ammontare in unica soluzione sui conti dell’Amministrazione di appartenenza.

Fra le operazioni  escluse  dalla  rilevazione, l’Agenzia delle Entrate ricomprende quelle relative al leasing operativo, il  quale non comporta la realizzazione di  un’operazione  di  finanziamento,  così confermando la risoluzione n. 175/E del 12.8.2003. Il rapporto giuridico che si attua tra il produttore del  bene che lo concede in locazione e il locatore che utilizza il bene nella propria attività di impresa o professionale, non è ritenuto un rapporto di finanziamento e come tale è da escludere  dall’ambito  di  applicazione della normativa sulle indagini finanziarie.

Sono esclusi dalle indagini finanziarie, e gli intermediari risultano pertanto esonerati dall’obbligo di fornire le informazioni richieste, i soggetti che hanno usufruito della norma sul rimpatrio dei capitali (c.d. scudo fiscale) in regime di riservatezza: essi potranno infatti opporre la segretezza derivante dalla L. 23.11.2001 n. 409, di conversione, con modificazioni, del D.L. 25.9.2001 n. 350 e successive integrazioni e modifiche.

La legge, ai fini della tutela del contribuente, ha previsto l’obbligo per l’ufficio procedente di richiedere una preventiva autorizzazione all’organo sovraordinato. Non risulta invece necessaria una seconda autorizzazione per tutti i conti  per i quali il contribuente abbia la disponibilità, ovvero la possibilità di disporre in virtù di mandato da parte dell’intestatario del conto  (ad es. delega di firma ovvero conti intestati a società sui quali gli amministratori abbiano poteri dispositivi).

L’Amministrazione Finanziaria evidenzia sul punto che l’autorizzazione, quale atto preparatorio allo svolgimento della fase endoprocedimentale dell’istruttoria, non assume rilevanza esterna, autonoma ai fini della sua eventuale impugnazione, in quanto non immediatamente lesiva sotto il profilo tributario della posizione del contribuente interessato che non ha ancora subito – e potrebbe non subire – alcun atto di accertamento. Si tratta, dunque, di atto non soggetto a sindacato di legittimità giurisdizionale, potendo lo stesso essere contestato nella successiva fase contenziosa innanzi alla Commissione Tributaria competente.

L’intermediario pur non conoscendo le ragioni delle indagini finanziarie, ha l’obbligo di darne notizia immediata al soggetto interessato (cliente-contribuente).

Al predetto dovere di informativa, sia pure dalla natura incerta, non corrisponde in maniera speculare – come sarebbe lecito attendersi – un vero e proprio diritto all’informazione da parte del cliente, in special modo nei confronti dell’organo procedente la cui legittimazione circa la procedura istruttoria, anche in caso di totale inadempimento dello stesso intermediario, non risulta minimamente incisa.

L’art. 32, comma 1, n. 2 del DPR 600/73 ed il 51 del DPR 633/72 disciplinano il potere dell’ufficio di invitare i contribuenti, indicandone il motivo, per fornire dati, notizie e chiarimenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti relativamente ai rapporti e alle operazioni i cui dati, notizie e documenti siano stati acquisiti ovvero rilevati direttamente dalla Guardia di finanza dei poteri di polizia giudiziaria e da essa trasmessi all’ufficio stesso.

Il preventivo contraddittorio si configura come un passaggio opportuno per provocare la partecipazione del contribuente, finalizzata a  consentire  un esercizio anticipato del suo diritto di difesa, potendo lo  stesso  fornire già in sede precontenziosa la prova contraria, e rispondente a esigenze  di economia  processuale,  al  fine  di  evitare  l’emissione  di  avvisi   di accertamento che potrebbero risultare immediatamente  infondati  alla  luce delle prove di cui il contribuente potesse disporre.

Il valore  probatorio  degli  elementi  raccolti,  anche  in  esito  al contraddittorio esperito configurando  una  presunzione  di  natura  juris tantum, esonera  l’ufficio  dal  dimostrare, relativamente  agli  elementi medesimi, la sussistenza dei  requisiti, ex art. 2729 c.c.,  delle presunzioni richieste come “gravi, precise e concordanti.

Il contribuente sottoposto a controllo potrà, in sede precontenziosa o meno, fornire, a seconda dei diversi ambiti impositivi: la dimostrazione  circa  l’irrilevanza  ai  fini  impositivi   dei movimenti finanziari acquisiti o rilevati; l’indicazione dei soggetti  effettivamente beneficiari dei prelevamenti; l’annotazione dei  predetti  movimenti  nelle scritture contabili o in dichiarazione, ai fini  della  determinazione  del reddito; in definitiva, l’indicazione di qualsivoglia ulteriore chiarimento ritenuto necessario dall’ufficio procedente per la valorizzazione dei  dati e delle informazioni ai fini della loro presuntiva utilizzazione in sede di accertamento.

sentenza corte di cassazioneLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19330 del 7.6.2006, depositata l’8.9.2006 – sulla scia di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato – ha stabilito che l’Amministrazione può utilizzare i dati derivanti dai movimenti di conto corrente bancario del contribuente (lavoratore autonomo) senza obbligo di contestazione preventiva dei  dati  acquisiti, non essendo ciò previsto da alcuna norma impositiva e potendo poi il contribuente far valere le proprie ragioni in sede contenziosa.

I Giudici della Suprema Corte hanno rilevato che, in tema di accertamento delle  imposte  sui redditi ai sensi degli artt. 32 e 39 del D.P.R. n. 600/1973, i dati desunti dall’ufficio dal conto corrente bancario del contribuente consentono, in virtù della presunzione prevista dalla norma, di imputare gli elementi da essi risultanti direttamente a ricavi della  relativa  attività di lavoro autonomo, salva la possibilità, per il contribuente, di provare che determinati accrediti non costituiscono proventi di detta  attività.

La documentazione acquisita sarà analizzata a cura dell’organo procedente al fine di verificare se le movimentazioni finanziarie – attive o passive – siano coerenti o trovino riscontro nella contabilità del contribuente, ovvero non siano imponibili o non rilevino per la determinazione del reddito o della base imponibile Iva, come anche, con riguardo alla persone fisiche, non siano compatibili con la complessiva capacità contributiva.

La novella legislativa prevede che i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito di tali rapporti od operazioni e non risultanti dalle scritture contabili, nel caso in cui il soggetto  controllato  non  ne  indichi l’effettivo beneficiario, sono considerati ricavi o compensi e accertati in capo allo stesso soggetto.

Tale disposizione intende procedimentalizzare l’analisi, da parte dell’ufficio finanziario, della maggior capacità di spesa  non giustificata dal contribuente, e correlare tale maggior capacità  di  spesa con le ulteriori operazioni attive effettuate presuntivamente “in nero”.

Tuttavia, stante il riferimento normativo alle scritture contabili, tale ultima disposizione trova applicazione solo nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle stesse scritture, e quindi  solo nel caso in cui sia configurabile un’attività economica, anche di natura professionale. Si  sottrae  alla  regola dell’inversione dell’onere della prova l’ipotesi in cui il contribuente  indica  il  beneficiario del prelevamento utilizzato per l’acquisto di un bene o servizio non fatto transitare in contabilità;  in  tale ipotesi non scatta il meccanismo presuntivo ma l’operazione deve essere valorizzata alla stregua degli ordinari criteri dell’accertamento, i quali  presiedono  al  riconoscimento del costo in funzione della ricostruzione del relativo ricavo.

Sul punto, è da segnalare la recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bologna n. 158, sezione n. 12, del 4 giugno 2007, secondo la quale la prova contrararia per vincere la presunzione prelievi = compensi è rappresentata dalla mera indicazione del nominativo dell’accipiens.

“La norma è inequivocabile – si legge nella sentenza –  basta l’indicazione dei beneficiari e null’altro. Se il contribuente indica tra i percettori di reddito un familiare, un parente, un amico (o un’amica), ha adempiuto, e con successo, all’onere probatorio che su di lui gravava; la norma infatti è chiara: per superare la presunzione nel caso di mancata indicazione delle scritture contabili, è sufficiente la mera indicazione del percettore delle somme.

A questo punto l’onere probatorio si sposta sull’ufficio. Se l’ufficio ritiene che la circostanza non sia vera, potrà invitare il percettore a chiedergli conto delle ragioni o del titolo dell’erogazione da parte del contribuente; potrà chiedergli, anche, di fornire la documentazione della dazione del denaro, le modalità esecutive della stessa, eccetera.”

Emanuela Joan
5 Novembre 2007

 


NOTE

 

(1) Cfr. S. Valente, L’anagrafe dei conti correnti diventa realtà, in Fiscooggi del 30.10.2007.