La diffusione della risoluzione n. 174/E del 20 luglio 2007, in materia di assegnazione di azioni ai dipendenti, ci consente di delineare il complesso quadro normativo delle cd. stock option,
Cosa sono le stock option
Le stock option sono uno strumento articolato su uno schema contrattuale che prevede, da una parte, l’attribuzione da parte della società al dipendente di diritti di opzione, non cedibili a terzi, per l’acquisto di azioni della società stessa (o della sua controllante) ad un prezzo generalmente non inferiore a quello di mercato, e dall’altra parte si prevede che l’opzione stessa possa essere esercitata non prima di un termine iniziale e non dopo un termine finale dalla data dell’offerta.
Il piano di stock option permette, quindi al dipendente, di acquistare titoli della società a condizioni di favore rispetto a quelle di mercato, con la possibilità di guadagnare sull’aumento di valore dei titoli della società (1).
Il pregresso dettato normativo
L’art. 51, comma 2, lett. g-bis) del T.U. n.917/86 prevedeva un particolare meccanismo di favore che consentiva di escludere, dal reddito di lavoro dipendente, l’aumento di valore delle azioni avvenuto nel periodo intercorrente fra l’offerta delle opzioni e l’esercizio delle stesse (2), sottoponendolo e subordinandolo a due condizioni:
- il prezzo di acquisto corrisposto dal dipendente doveva essere “almeno pari al valore delle azioni stesse alla data dell’offerta”;
- le partecipazioni, i diritti e i titoli posseduti dal dipendente non dovevano rappresentare “una percentuale dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 10 per cento” .
Il mantenimento del possesso delle partecipazioni, anche dopo l’esercizio del diritto di opzione, non aveva alcuna rilevanza, in quanto la fidelizzazione del dipendente si attuava durante il periodo precedente all’esercizio dell’opzione.
Questo era, in buona sostanza, il differenziale rispetto all’assegnazione di azioni alla generalità dei dipendenti disciplinata dalla precedente lett. g) dello stesso comma 2, dell’art. 51 del T.U.n.917/86 e per la quale l’irrilevanza reddituale del valore delle azioni assegnate al lavoratore era – ed è – subordinata alla condizione che il dipendente non le ceda prima di un triennio dalla loro assegnazione.
In pratica, sulla base della vecchia formulazione, la differenza tra il valore di mercato delle azioni al momento dell’assegnazione e il prezzo di esercizio dell’opzione era sottratto ad imposizione progressiva e assoggettato al più favorevole regime impositivo dei proventi finanziari.
Il nuovo dettato normativo sulle stock option
Le diverse manovre economiche introdotte nel corso dell’anno 2006 hanno apportato sensibili modifiche all’impianto normativo sopra descritto, abrogando inizialmente la norma sopra descritta (D.L. n. 223 del 2006), successivamente, ripristinandola a nuove condizioni (legge n. 248 del 2006, di conversione del decreto n. 223/06), e infine, modificando nuovamente le condizioni appena introdotte (D.L. n. 262 del 2006).
Al termine di questo complesso e articolato iter normativo, la disciplina fiscale delle stock option rimane subordinata al rispetto di tre condizioni ulteriori rispetto a quelle originariamente previste nella lett. g-bis) del comma 2 dell’art. 51 Tuir, così sintetizzabili:
- l’opzione deve essere “esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione”;
- al momento in cui l’opzione è esercitabile, la società deve risultare “quotata in mercati regolamentati”;
- il beneficiario deve mantenere “per almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente. Qualora detti titoli oggetto di investimento siano ceduti o dati in garanzia prima che siano trascorsi cinque anni dalla loro assegnazione, l’importo che non ha concorso a formare il reddito di lavoro dipendente al momento dell’assegnazione è assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui avviene la cessione ovvero la sostituzione in garanzia.”
Gli interventi di prassi: circolari nn. 1/2007, 11/2007, 33/2007 e R.M. n.174/2007
Con diversi interventi di prassi – circolari nn. 1/2007, 11/2007 e 33/2007 e R.M. n.174/2007– l’Agenzia delle Entrate ha fornito una serie di indicazioni per l’interpretazione del dettato normativo, che vanno attentamente analizzate.
La circolare AdE n.1/2007
La circolare n. 1/2007, dopo aver ricapitolato il nuovo dettato normativo, precisa che la nuova norma ha eliminato dalle condizioni per fruire del regime in esame il parametro retributivo ed ha modificato gli ulteriori requisiti richiesti per l’applicazione dell’agevolazione fiscale. In particolare, la norma prevede che la disposizione di cui all’art. 51, comma 2, lettera g-bis), sia applicabile esclusivamente a condizione che:
- l’opzione sia esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione;
- al momento in cui l’opzione è esercitabile, la società risulti quotata in mercati regolamentati;
- il beneficiario mantenga per almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente.
In ordine la prima condizione, per le Entrate,
“ la norma intende incentivare il processo di fidelizzazione dei destinatari dei piani di stock option, in genere legati al periodo di crescita di valore dei titoli ai quali si riferisce il diritto di opzione (cosiddetto vesting period) il quale, pertanto, non può essere inferiore a tre anni.
Tale condizione va verificata in concreto secondo le specifiche previsioni contenute nei piani deliberati dalle società.
A tal fine, si ritiene che i piani in corso, già deliberati prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, ove non prevedano un termine per l’esercizio dell’opzione oppure ove prevedano un termine inferiore ai tre anni, possono essere adeguati per poter usufruire dell’agevolazione, senza che tali modifiche costituiscano fattispecie novative”.
In ordine alla seconda condizione – quotazione in un mercato regolamentato, italiano o estero – le Entrate osservano
“come non sia sufficiente il fatto che la quotazione delle azioni sia stata semplicemente disposta, essendo necessario che le azioni risultino effettivamente negoziate nei mercati regolamentati al momento in cui l’opzione è esercitabile (cfr. circolare n. 306/E del 23 dicembre 1996).
Come si evince dalla Relazione governativa al decreto, quindi, la condizione della quotazione deve essere verificata in capo alla società emittente le azioni assegnate e, quindi, rientrano nella disciplina di favore – sempreché siano rispettate le altre condizioni – anche i piani di stock option deliberati da società non quotate qualora le azioni da essa assegnate siano emesse da una società del gruppo quotata”.
In ordine alla terza condizione, le Entrate evidenziano che a differenza della norma previgente che imponeva un vincolo di indisponibilità delle azioni assegnate per un periodo quinquennale, la nuova norma prevede che il beneficiario debba mantenere per almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione non tutte le azioni ricevute, bensì un
“investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente“.
In pratica,
“l’oggetto del vincolo è costituito dalla differenza tra il valore normale dei titoli assegnati e l’ammontare pagato dall’assegnatario in modo tale da consentire lo smobilizzo o la costituzione in garanzia di un numero di azioni corrispondente all’esborso effettuato dal dipendente”.
Ai fini dell’individuazione del momento impositivo della predetta differenza in qualità di reddito di lavoro dipendente, le Entrate riprendono quanto già chiarito nella circolare n.28/E del 2006: assume rilevanza la notizia, acquisita dal datore di lavoro, dell’avvenuta cessione delle azioni da parte del dipendente, sempreché il cessionario non sia lo stesso datore di lavoro o la società emittente.
Pertanto, il datore di lavoro deve applicare le relative ritenute nel primo periodo di paga utile, successivo all’avvenuta conoscenza del presupposto impositivo, anche per effetto di un’apposita comunicazione del dipendente.
Trattandosi, quindi, dell’applicazione di una norma agevolativa che condiziona i suoi presupposti alla sussistenza di un determinato requisito giuridico – temporale (possesso di un determinato numero di azioni per almeno un quinquennio), il datore di lavoro-sostituto d’imposta è tenuto ad informare i destinatari dell’assegnazione agevolata circa l’obbligo di comunicare tempestivamente allo stesso le eventuali cessioni delle predette azioni, anche successivamente all’eventuale cessazione del rapporto di lavoro.
Nell’ipotesi in cui il contribuente che ha ricevuto l’assegnazione delle azioni abbia cessato il rapporto di lavoro, intraprendendone uno nuovo con altro datore di lavoro ovvero sia collocato a riposo, il precedente datore di lavoro deve comunicare al nuovo datore di lavoro o all’ente che eroga il trattamento pensionistico l’importo del valore che questi deve assumere a tassazione, unitamente al reddito di lavoro dipendente o al trattamento pensionistico erogato (cfr. circolare n. 326 del 23 dicembre 1997 e risoluzione n. 186/E del 12 giugno 2002).
In mancanza o in caso di ritardata comunicazione da parte del precedente datore di lavoro, il nuovo datore di lavoro o l’ente pensionistico, informato dal dipendente della sussistenza di un fringe benefit derivante dal precedente rapporto di lavoro, è tenuto ad attivarsi al fine di conoscere il predetto importo.
Qualora il contribuente non intrattenga un altro rapporto di lavoro dipendente o assimilato ovvero non percepisca un trattamento pensionistico, le ritenute relative al reddito di lavoro dipendente derivante dalla cessione delle azioni o dalla loro costituzione in garanzia devono essere operate dal datore di lavoro che aveva assegnato le azioni, previa comunicazione dell’evento da parte del lavoratore cessato e corresponsione della relativa provvista.
Le nuove disposizioni si applicano alle assegnazioni di azioni effettuate a decorrere dal 3 ottobre 2006, data di entrata in vigore del decreto, anche se i relativi piani sono stati deliberati in data anteriore.
Con riferimento alle assegnazioni di azioni effettuate nel periodo che va dal 5 luglio 2006 al 2 ottobre 2006 si rendono applicabili le disposizioni contenute nel D.L. n. 223 del 2006, tra cui quella relativa al vincolo retributivo e alla detenzione quinquennale di tutte le azioni ricevute.
Inoltre, affermano gli estensori del documento di prassi n. 1/2007 che
“le nuove disposizioni sono applicabili alle assegnazioni di azioni effettuate successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo D.L. n. 223 del 2006, e quindi a decorrere dal 5 luglio 2006, anche se i relativi piani erano stati deliberati anteriormente a tale data”.
La circolare AdE n. 11/2007
Con la circolare n.11/07 – paragrafo 11 – sono state date apposite risposte a precisi quesiti posti:
Termine per l’esercizio dell’opzione |
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Quesito | Parere |
Si pongono particolari problemi di diritto transitorio, con riferimento ai piani di stock option varati prima del 3 ottobre 2006 (data di entrata in vigore del D.L. n. 262 del 2006), senza essere conformi al requisito secondo il quale l’opzione non deve essere esercitabile prima che siano trascorsi tre anni dalla sua attribuzione. Come ci si deve comportare? | Le nuove disposizioni dell’art. 51, comma 2-bis, del Tuir (così come risultanti dalle modifiche apportate dal D.L. n. 262 del 2006) impongono che il piano preveda un cosiddetto vesting period obbligatorio triennale: l’opzione, infatti, sulla base delle previsioni del piano, non deve essere esercitabile prima del termine di tre anni dalla attribuzione.In altre parole, tale condizione va verificata in concreto secondo le specifiche previsioni contenute nei piani deliberati dalle società. Pertanto, non è sufficiente che il contribuente non eserciti l’opzione prima dei tre anni, ma è necessario che tale condizione sia prevista anche espressamente nei piani.
Sul punto si richiama quanto già chiarito nella circolare n.1 del 19 gennaio 2007 secondo cui per consentire di usufruire dell’agevolazione ai piani già deliberati alla data di entrata in vigore della norma (3 ottobre 2006) che non prevedono un vesting period obbligatorio triennale e le cui azioni non siano già state assegnate (neanche in parte), detti piani possano essere in tal senso modificati senza che tale modifica possa costituire una fattispecie novativa. Infatti, non costituisce novazione la revisione della data di esercizio delle opzioni, sempre che rimangano inalterate le altre condizioni essenziali del piano, quale, ad esempio, quella che al momento dell’esercizio dell’opzione stessa il prezzo pagato sia almeno pari al valore dell’azione al momento dell’offerta. |
Stratificazione delle azioni ricevute |
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Quesito | Parere |
Nel caso in cui il dipendente abbia in portafoglio azioni soggette a diversi regimi fiscali di cedibilità (cioè soggette a più di uno dei regimi di cui all’art. 51 del Tuir che si sono succeduti nel tempo), si può ritenere corretto che il dipendente decida autonomamente, in caso di cessione di una parte delle azioni, da quale “pacchetto” di azioni possedute prelevare le azioni cedute?Inoltre, si può ritenere che sia estensivamente applicabile il principio affermato nella risoluzione 12 agosto 2005, n. 118/E, secondo cui
Nella fattispecie analizzata dall’Agenzia delle Entrate, il nuovo socio di riferimento della società che aveva varato il piano di incentivo aveva posto in essere un’operazione cosiddetta di squeeze out, finalizzata ad acquisire il 100 per cento del pacchetto azionario della controllata. |
Ai fini dell’individuazione delle azioni cedute dal dipendente, nel caso in cui le azioni siano state dallo stesso ricevute in epoche diverse, come precisato nella risoluzione n. 186/E del 12 giugno 2002, si conferma che può essere fatto riferimento al criterio del Fifo (first in first out), ossia il criterio che consente di riferire la cessione agli acquisti meno recenti.Tale criterio può essere riferito esclusivamente alle azioni assegnate al dipendente sulla base di piani di stock option e non anche alle azioni che il dipendente abbia acquistato autonomamente sul mercato. In questa ipotesi, infatti, rimangono fermi i criteri di determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria, compreso quello indicato nel comma 1-bis dell’art. 67 del Tuir e si dovrà quindi fare riferimento al criterio Lifo (last in first out).
In ordine al vincolo di incedibilità quinquennale, si richiama la risoluzione n. 118/E del 12 agosto 2005, secondo cui il trasferimento ex lege di azioni in possesso del dipendente, avvenendo in forma obbligatoria e non lasciando alcun margine di scelta alle parti del rapporto di lavoro (datore di lavoro e dipendente), non configura una fattispecie elusiva e non comporta la decadenza dal beneficio fiscale. |
Investimento minimo quinquennale |
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Quesito | Parere |
L’art. 51 comma 2-bis, lettera c), del Tuir pone la condizione che il beneficiario mantenga per almeno i 5 anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente.Si vuole sapere come deve essere determinato, nel tempo, l’investimento minimo. | A differenza della norma previgente, contenuta nel D.L. n. 223 del 2006, che imponeva un vincolo di indisponibilità della totalità delle azioni ricevute dal dipendente per un periodo di tempo quinquennale, la disposizione modificata dal D.L. n. 262 del 2006 prevede che il beneficiario debba mantenere per almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione non tutte le azioni ricevute, bensì un “investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente“.
In sostanza, l’oggetto del vincolo è costituito dalla differenza tra il valore normale dei titoli assegnati e l’ammontare pagato dall’assegnatario, in modo tale da consentire lo smobilizzo o la costituzione in garanzia di un numero di azioni corrispondente all’esborso effettuato dal dipendente. Il calcolo del numero delle azioni indisponibili nel quinquennio e del loro corrispondente valore, deve essere stabilito alla data dell’assegnazione delle azioni. Il numero di azioni così calcolato deve essere mantenuto indipendentemente dalla circostanza che il valore delle azioni subisca modificazioni nel corso del predetto periodo. Tale modalità di determinazione dell’investimento minimo quinquennale, in particolare nell’ipotesi in cui il valore delle azioni subisca una diminuzione nel quinquennio, non costringe il dipendente a dover acquistare sul mercato un numero maggiore di azioni per tener fede al valore dell’investimento da mantenere. |
La circolare n.33/2007
Con circolare n. 33 del 24 maggio 2007 le Entrate forniscono ulteriori indicazioni in ordine al trattamento fiscale delle stock option relative a piani già deliberati alla data del 3 ottobre 2006, che – di fatto – superano i precedenti chiarimenti fornite con le circolari n. 1/E e n 11/E del 2007.
In particolare,
“per i piani di stock option già deliberati alla data di entrata in vigore della nuova disciplina dettata dal D.L. n. 262 del 2006 (3 ottobre 2006), che non prevedono un termine per l’esercizio dell’opzione oppure prevedono un termine inferiore a tre anni, era stato affermato nelle richiamate circolari”
Agosto 2007
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