Si pone così termine ad una querelle giurisprudenziale che ha impegnato per lungo tempo, cassando – per legge – le sentenze che imponevano agli uffici il pagamento degli interessi anatocistici.
Vediamo di fornire un quadro della problematica, atteso che il contenzioso sul punto è notevole.
L'anatocismo - Il quadro normativo
L’art. 44 del D.P.R. n. 602/73 prevede che il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato scritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all'interesse del 6 per cento (La misura degli interessi, stabilita in origine al 2,50 per cento, è stata poi fissata: al 5 per cento dall'art. 8, D.L. 6 luglio 1974, n. 260, convertito dalla L. 14 agosto 1974, n.354, a decorrere dal semestre in corso alla data di entrata in vigore del citato D.L. n. 260/1974 (10 luglio 1974); - al 6 per cento dall'art. 2, D.L. 4 marzo 1976, n. 30, convertito dalla L. 2 maggio 1976, n.160; per la decorrenza vedasi l'ultimo comma del medesimo art. 2; - al 6 per cento, - con espressa modifica del presente articolo) per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento della scadenza dell'ultima rata del ruolo in cui è stata iscritta la maggiore imposta e la data dell'ordinativo emesso (allora dall'intendente di finanza, oggi dall’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate) o dell'elenco di rimborso (ai sensi dell'art. 19, D.Lgs. n. 46/1999 le disposizioni del presente articolo si applicano alle sole imposte sui redditi).
L'interesse di cui al primo comma dell’art. 44 citato è dovuto, con decorrenza dal secondo semestre successivo alla presentazione della dichiarazione, anche nelle ipotesi previste nell'art. 38, quinto comma e nell'art. 41, secondo comma.
L'interesse è calcolato dall'ufficio, che lo indica nello stesso elenco di sgravio, ed è a carico dell'ente destinatario del gettito dell'imposta.
Il successivo comma 44-bis dispone, per i rimborsi effettuati con le modalità di cui all'art. 42-bis, che l'interesse è dovuto con decorrenza dal secondo semestre solare successivo alla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione fino alla data di emissione dell'ordinativo di pagamento concernente il rimborso d'imposta, escludendo dal computo anche il semestre in cui tale ordinativo è emesso.
IL PENSIERO DELLA GIURISPRUDENZA
Evidenziamo, in estrema sintesi, le sentenze più interessanti che nel corso di questi anni hanno arricchito il dibattito:
sentenza n. 1 del 22 febbraio 2006 (dep. il 1° marzo 2006) della Commissione tributaria regionale di Roma, Sez. XXXVI,
secondo cui sul debito di rimborso a titolo Irpeg non sono dovuti interessi anatocistici, non essendo tali interessi previsti dalla specifica normativa di cui agli art. 44 e 44-bis del D.P.R. 602/1973.
In pratica, i giudici romani fanno propria la tesi dell’ufficio, che aveva sostenuto che l'art. 1283 del codice civile, che disciplina gli interessi anatocistici, non prevede la corresponsione di detti interessi in linea generale per tutte le obbligazioni pecuniarie, ma ne stabilisce solo la possibilità teorica, in mancanza di usi contrari, in base ad una pattuizione (fonte convenzionale) ovvero ad una disciplina normativa (fonte legale).
Nella procedura di rimborso dell'Irpeg non ricorre alcuna delle due ipotesi né quella convenzionale, data la specificità del rapporto tributario, né la fonte legale, atteso che il D.P.R. n. 602/1973 in materia di rimborso di interessi non prevede la corresponsione di interessi anatocistici.
La Corte, afferma, infatti, che “ le argomentazioni dell'ufficio in merito alla estraneità degli interessi anatocistici nel caso di specie appaiono fondate.
Si osserva che in materia di Irpeg le modalità relative all'esecuzione dei rimborsi sono espresse dagli artt.37 e seguenti del D.P.R. n. 602/1973, i quali nulla stabiliscono in ordine agli interessi anatocistici.
In particolare il pagamento degli interessi per rimborso di imposte è regolamentato dagli artt. 44 e 44-bis del D.P.R. n. 602/1973, che, appunto, non prevedono la corresponsione degli interessi anatocistici.
Sull'argomento si è espressa più volte la Suprema Corte sostenendo il principio che la specialità della materia fiscale giustifica la diversa disciplina dettata in materia dal legislatore, il quale ha voluto regolare, secondo modalità diverse da quelle dettate in campo civilistico, gli interessi su crediti derivanti da rimborsi di tributi, a carico dello Stato (cfr. sent. n. 6310 del 10 luglio 1996; sent. n. 198 del 10 gennaio 2004; sent. n. 9497 del 23 settembre 1998).
Dalla lettura dell'art. 1283 del codice civile si rileva che gli interessi anatocistici non si producono automaticamente ma possono trovare applicazione solo in mancanza di usi contrari.
Anche volendo porre sullo stesso piano, in ordine alla gerarchia delle fonti, la norma tributaria e gli usi e le consuetudini, la sussistenza comunque di una fonte minore, come nel caso di specie, preclude la maturazione degli interessi composti”;
sentenza n. 12060 del 14 ottobre 2003 (dep. il 1° luglio 2004) della Corte di Cassazione, Sez. tributaria
-, secondo cui poiché il disposto dell'art. 1283 del codice civile non è derogato dalla disciplina dell'art. 5 della legge 26 gennaio 1961, n. 29, dettata in tema di rimborsi per tasse e imposte indirette sugli affari ritenute non dovute, il contribuente che chiede il rimborso di tasse per concessioni governative indebitamente corrisposte può conseguire anche il pagamento degli interessi anatocistici, ove ne ricorrano i presupposti stabiliti dall'art. 1283 del codice civile.
La Cassazione afferma che
“ anche la doglianza relativa alla richiesta di condanna del Ministero al pagamento degli interessi anatocistici è fondata alla stregua della giurisprudenza ormai consolidata secondo la quale per il ritardato rimborso di un credito Iva, se ne ricorrono le condizioni, deve essere riconosciuto il diritto agli interessi anatocistici previsti dall'art. 1283 del codice civile (cfr. Cass. sentenze nn. 552/1999, 9273/1999, 10628/2000, 3179/2001, 5790/2001, 7408/2001, 20512003)”.
Infondata è, invece, la doglianza relativa alla pretesa del maggior danno, atteso che con la sentenza n. 7236/2003, in una fattispecie identica, è stato deciso che “ che l'articolo 1224, secondo comma del codice civile, non è applicabile nel casa di rimborso di tassa non dovuta per la specialità della disciplina dettata dalla legge n. 29/1961 in tema di tasso semestrale. Questo orientamento va condiviso non essendo emersi elementi idonei a farlo modificare”;
sentenza n. 31 del 19 ottobre 2004 della Commissione tributaria provinciale di Torino, Sez. XIII
-, secondo cui sulla somma dovuta a titolo d'imposta spettano gli interessi di cui all'art. 44-bis del D.P.R. n. 602/1973, oltre a quelli anatocistici previsti dall'art. 1283 del codice civile dalla data di presentazione del ricorso. Osserva la Commissione “ che gli interessi anatocistici siano dovuti è principio del tutto consolidato in giurisprudenza e quindi anche nella fattispecie essi devono essere corrisposti, come previsto dall'art. 1283 del codice civile, a decorrere dal giorno di presentazione dei ricorsi (16 e 17 marzo 2004), oltre agli interessi dovuti secondo quanto previsto dall'art. 44-bis del già citato D.P.R. n. 602 del 1973, che disciplina in generale gli interessi per rimborsi eseguiti mediante procedura automatizzata”;
sentenza n. 4830 del 10 dicembre 2003 (dep. il 10 marzo 2004) della Corte di Cassazione, Sez. tributaria
-, secondo cui la condanna del debitore al pagamento degli interessi sugli interessi, in base all'art. 1283 del codice civile è possibile solo se il giudice accerta che vi sia una specifica domanda giudiziale degli interessi anatocistici proposta su interessi già scaduti, o una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi principali che preveda gli interessi anatocistici.
Se, viceversa, al momento della domanda giudiziale volta a conseguire tali interessi, gli interessi principali siano già stati (sia pur tardivamente) versati, gli interessi anatocistici non spettano (nel caso di specie sugli interessi dovuti su un credito Iva).
Né vale a costituire una convenzione da cui possa derivare il diritto agli interessi anatocistici, la semplice comunicazione da parte dell'ufficio al contribuente degli interessi principali dovuti sul debito, perché si tratta di un atto privo del requisito della bilateralità.
La Corte, nel richiamare il dettato normativo di cui all’art. 1283 del codice civile che stabilisce che "... gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tatti di interessi dovuti almeno per sei mesi", afferma che
“ il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se si sia accertato: - che alla data della domanda giudiziale erano già scaduti gli interessi principali sui quali calcolare gli interessi secondari, cioè che il debito era esigibile e che il debitore era in mora (Corte di Cassazione 18 luglio 2002, n. 10434); - che l'attribuzione degli interessi anatocistici postula una specifica domanda giudiziale del creditore (Corte di Cassazione 12 aprile 2002, n. 5271, e 14 dicembre 2001, n. 15838) o stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi; - che la mora si è protratta, anteriormente al giudizio, per almeno sei mesi, cioè si tratta di crediti ultra semestrali scaduti (Corte di Cassazione 18 luglio 2002, 10434, e 12 febbraio 2002, n. 1964)”.
La realizzazione della prima condizione comporta che gli interessi anatocistici sono dovuti solo se non sono contemporaneamente dovuti anche agli interessi principali. Ora, nel caso di specie, gli interessi moratori erano già stati interamente pagati nel 1999, così che non era più esigibile alcunché ed era cessata la mora del debitore, mentre la domanda giudiziale degli interessi anatocistici è stata avanzata solo nel 2000.
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di Gianfranco Antico
Palermo, 20 luglio 2006