D.L. n. 223/2006: banditi gli interessi anatocistici

L’art. 37, comma 50, del D.L. n. 223/2006 ha statuito che “gli interessi previsti per il rimborso di tributi non producono  in nessun caso interessi ai sensi dell’articolo 1283 del codice civile”.

 

Si pone così termine ad una querelle giurisprudenziale che ha impegnato per lungo tempo, cassando – per legge – le sentenze che imponevano agli uffici il pagamento degli interessi anatocistici.

Vediamo di fornire un quadro della problematica, atteso che il contenzioso sul punto è notevole.

 

L’anatocismo – Il quadro normativo 

L’art. 44 del D.P.R. n. 602/73 prevede che il contribuente che abbia effettuato versamenti  diretti  o  sia  stato scritto  a  ruolo  per  un  ammontare  di  imposta  superiore   a   quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo  ha  diritto,  per  la  maggior somma effettivamente pagata, all’interesse del 6 per cento (La misura degli interessi, stabilita in origine al 2,50  per  cento,  è stata poi fissata:  al 5 per cento dall’art. 8, D.L. 6  luglio  1974,  n.  260,  convertito dalla L. 14 agosto 1974, n.354, a decorrere dal semestre in corso alla    data di entrata in vigore del citato D.L. n. 260/1974  (10  luglio 1974); – al 6 per cento dall’art. 2, D.L. 4 marzo 1976, n. 30, convertito  dalla L. 2 maggio 1976, n.160; per la decorrenza vedasi l’ultimo  comma  del medesimo art. 2; – al 6 per cento,  –  con  espressa  modifica  del  presente  articolo) per  ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del  versamento  della scadenza dell’ultima rata del ruolo in  cui  è  stata  iscritta  la maggiore imposta  e  la  data  dell’ordinativo  emesso  (allora dall’intendente  di finanza, oggi dall’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate) o dell’elenco di rimborso (ai sensi dell’art. 19, D.Lgs. n. 46/1999 le disposizioni  del  presente articolo si applicano alle sole imposte sui redditi).

L’interesse di cui al primo comma dell’art. 44 citato è dovuto, con decorrenza dal  secondo semestre successivo alla presentazione  della  dichiarazione,  anche  nelle ipotesi previste nell’art. 38, quinto comma e nell’art. 41, secondo comma.

L’interesse è calcolato dall’ufficio, che lo indica nello stesso elenco di sgravio, ed  è  a  carico dell’ente destinatario del gettito dell’imposta.

Il successivo comma 44-bis dispone, per i rimborsi effettuati con  le  modalità  di  cui  all’art.  42-bis, che l’interesse è dovuto con decorrenza dal secondo semestre solare  successivo alla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione fino alla data di emissione  dell’ordinativo  di  pagamento concernente il rimborso d’imposta, escludendo  dal  computo  anche  il semestre in cui tale ordinativo è emesso.

 

 

IL PENSIERO DELLA GIURISPRUDENZA

Evidenziamo, in estrema sintesi, le sentenze più interessanti che nel corso di questi anni hanno arricchito il dibattito:

 

sentenza n. 1 del 22 febbraio 2006 (dep. il 1° marzo 2006) della Commissione tributaria regionale di Roma, Sez. XXXVI,

secondo cui sul debito di  rimborso  a  titolo  Irpeg  non  sono  dovuti  interessi anatocistici, non essendo tali interessi previsti dalla specifica  normativa di cui agli art. 44 e 44-bis del D.P.R. 602/1973.

In pratica, i giudici romani fanno propria la tesi dell’ufficio, che aveva sostenuto che l’art.  1283  del  codice  civile,   che   disciplina   gli   interessi anatocistici, non prevede la corresponsione di  detti  interessi  in  linea generale per tutte le obbligazioni pecuniarie, ma  ne  stabilisce  solo  la possibilità  teorica,  in  mancanza  di  usi  contrari,  in  base  ad   una pattuizione (fonte convenzionale) ovvero ad una disciplina normativa (fonte legale).

Nella procedura di rimborso dell’Irpeg non  ricorre  alcuna  delle due ipotesi né quella  convenzionale,  data  la  specificità  del  rapporto tributario, né la fonte legale, atteso che il D.P.R. n. 602/1973 in materia di rimborso di interessi non prevede la  corresponsione di interessi anatocistici.

La Corte, afferma, infatti, che “ le  argomentazioni  dell’ufficio  in  merito  alla   estraneità   degli interessi anatocistici nel caso di specie appaiono fondate.

Si osserva  che in materia di Irpeg le modalità relative all’esecuzione dei  rimborsi  sono espresse dagli artt.37 e seguenti del D.P.R. n. 602/1973,  i  quali  nulla stabiliscono in ordine  agli  interessi  anatocistici. 

In  particolare  il pagamento degli interessi per rimborso di  imposte  è  regolamentato  dagli artt. 44 e 44-bis del D.P.R. n. 602/1973, che, appunto,  non  prevedono  la corresponsione degli interessi anatocistici.

Sull’argomento si  è  espressa più volte la Suprema Corte sostenendo il principio che la specialità  della materia fiscale giustifica la diversa disciplina  dettata  in  materia  dal legislatore, il quale ha  voluto  regolare,  secondo  modalità  diverse  da quelle dettate in campo civilistico, gli interessi su crediti derivanti  da rimborsi di tributi, a carico dello Stato (cfr. sent. n. 6310 del 10 luglio 1996; sent. n. 198 del 10 gennaio 2004; sent. n. 9497  del  23  settembre 1998).

Dalla lettura dell’art. 1283  del  codice  civile  si  rileva  che  gli interessi anatocistici non si producono automaticamente ma possono  trovare applicazione solo in mancanza di usi contrari.

Anche  volendo  porre  sullo stesso piano, in ordine alla gerarchia delle fonti, la norma  tributaria  e gli usi e le consuetudini, la sussistenza comunque  di  una  fonte  minore, come nel caso di specie, preclude la maturazione degli interessi composti”;

 

sentenza n. 12060 del 14 ottobre 2003 (dep. il 1° luglio 2004) della Corte di Cassazione, Sez.  tributaria 

-, secondo cui poiché il disposto dell’art. 1283 del  codice  civile  non  è derogato dalla disciplina dell’art. 5 della legge 26 gennaio 1961,  n.  29, dettata in tema di rimborsi per tasse  e  imposte  indirette  sugli  affari ritenute non dovute, il contribuente che chiede il rimborso  di  tasse  per concessioni governative indebitamente corrisposte può conseguire  anche  il pagamento degli interessi anatocistici,  ove  ne  ricorrano  i  presupposti stabiliti dall’art. 1283 del codice civile.

 

La Cassazione afferma che

“ anche la doglianza relativa alla richiesta di condanna del Ministero al pagamento  degli  interessi  anatocistici  è  fondata  alla  stregua  della giurisprudenza ormai consolidata secondo la quale per il ritardato rimborso di un credito Iva, se ne ricorrono le condizioni, deve essere  riconosciuto il diritto agli interessi anatocistici previsti dall’art. 1283  del  codice civile (cfr. Cass. sentenze nn. 552/1999, 9273/1999, 10628/2000, 3179/2001, 5790/2001, 7408/2001, 20512003)”. 

 

Infondata è, invece,  la  doglianza  relativa alla pretesa del maggior danno, atteso che con  la  sentenza n. 7236/2003, in una fattispecie identica,  è stato deciso che “ che  l’articolo  1224,  secondo comma del codice civile, non è applicabile nel casa di  rimborso  di  tassa non dovuta per la  specialità  della  disciplina  dettata  dalla  legge  n. 29/1961 in tema di tasso semestrale. Questo orientamento va  condiviso  non essendo emersi elementi idonei a farlo modificare”;

 

sentenza n. 31 del 19 ottobre 2004 della Commissione tributaria provinciale di  Torino,  Sez.  XIII 

-, secondo cui   sulla somma dovuta a titolo d’imposta spettano  gli  interessi  di  cui all’art. 44-bis del D.P.R. n. 602/1973, oltre a quelli anatocistici previsti dall’art. 1283 del codice civile dalla data di presentazione del ricorso. Osserva la Commissione “ che gli interessi anatocistici  siano  dovuti  è  principio  del  tutto consolidato in giurisprudenza e quindi anche nella fattispecie essi  devono essere corrisposti, come previsto  dall’art.  1283  del  codice  civile,  a decorrere dal giorno di presentazione dei ricorsi (16  e  17  marzo  2004), oltre agli interessi dovuti secondo quanto previsto  dall’art. 44-bis  del già citato D.P.R. n. 602 del 1973, che disciplina in generale gli interessi per rimborsi eseguiti mediante procedura automatizzata”;

 

sentenza n. 4830 del 10 dicembre 2003 (dep. il 10 marzo 2004) della Corte di Cassazione,  Sez. tributaria

-, secondo cui la condanna del debitore al pagamento degli  interessi  sugli interessi, in base all’art. 1283 del codice civile è possibile solo  se  il giudice accerta che vi sia una specifica domanda giudiziale degli interessi anatocistici  proposta  su  interessi  già  scaduti,  o   una   convenzione posteriore  alla  scadenza  degli  interessi  principali  che  preveda  gli interessi anatocistici.

Se, viceversa, al momento della domanda  giudiziale volta a conseguire tali interessi, gli interessi principali siano già  stati (sia pur tardivamente) versati, gli  interessi  anatocistici  non  spettano (nel caso di specie sugli interessi dovuti su un credito Iva). 

Né  vale  a costituire una convenzione da cui possa derivare il diritto agli  interessi anatocistici,  la  semplice  comunicazione   da   parte   dell’ufficio   al contribuente degli interessi principali dovuti sul debito, perché si tratta di un atto privo del requisito della bilateralità.

La Corte, nel richiamare il dettato normativo di cui all’art. 1283 del codice civile che stabilisce che “… gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale  o  per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tatti di interessi dovuti almeno per sei mesi”, afferma che

“ il  giudice  può condannare al pagamento degli interessi sugli  interessi  solo  se  si  sia accertato: – che alla data  della  domanda  giudiziale  erano  già  scaduti  gli interessi principali sui quali calcolare gli interessi secondari, cioè  che il debito era esigibile e che il debitore era in mora (Corte di  Cassazione 18 luglio 2002, n. 10434); – che  l’attribuzione  degli  interessi  anatocistici   postula   una specifica domanda giudiziale del creditore (Corte di Cassazione  12  aprile 2002, n. 5271, e 14 dicembre 2001, n. 15838) o stipula di  una  convenzione posteriore alla scadenza degli interessi; – che la mora si è protratta, anteriormente al giudizio,  per  almeno sei mesi, cioè si tratta di crediti  ultra  semestrali  scaduti  (Corte  di Cassazione 18 luglio 2002, 10434, e 12 febbraio 2002, n. 1964)”.

 

La realizzazione della prima  condizione  comporta  che  gli  interessi anatocistici sono dovuti solo se non sono contemporaneamente  dovuti  anche agli interessi principali. Ora, nel caso di specie, gli interessi  moratori erano già stati interamente pagati nel 1999, così che non era più esigibile alcunché ed era cessata la mora del debitore, mentre la domanda  giudiziale degli interessi anatocistici è stata avanzata solo nel 2000.   

 

 

Leggi anche: 
Anatocismo bancario e nuovi criteri di calcolo degli interessi dei conti correnti
Anatocismo bancario: come orientarsi tra comunicazioni e moduli

 

di Gianfranco Antico

Palermo, 20 luglio 2006