Il recesso del socio da società di persone

La riforma del diritto societario ad opera del D. Lgs. n. 6 del 2003 ha, tra le altre cose, profondamente modificato la disciplina del diritto di recesso esercitato nell’ambito delle società di capitali, adeguandola alle nuove esigenze giuridico – sociali, assicurando “una più efficace tutela dei soci di minoranza fino al limite di condurre allo scioglimento della società”1 attraverso un ampliamento dei casi in cui il diritto di recesso è concesso.

Tale riforma ha tuttavia lasciato invariata la disciplina del recesso del socio da società di persone, che quindi rimane davvero poco regolamentata. A cura di di Daniela Di Gravio, consulente aziendale, Studio Giuliano e Di Gravio.

Disciplina civilistica e criteri di liquidazione della quota

recesso del socio di una società di personeSi ritiene che “Il riconoscimento della facoltà di recesso importa una deroga al principio generale, codificato nell’art. 1372 c. c., secondo il quale “il contratto (…) non può essere sciolto che per mutuo consenso”, ossia per volontà di tutti i contraenti originari.2

Tuttavia in armonia con il principio costituzionalmente garantito della libertà di iniziativa economica3, approcciato in senso negativo, non si può costringere un individuo ad esercitare un’attività contro la sua volontà.

Il socio esercita il diritto di recesso comunicandone il preavviso tre mesi prima della data in cui detto recesso avrà effetto. Oltre che tramite raccomandata la Cassazione ha ammesso la possibilità di comunicazione verbale del recesso4 , che non presuppone alcuna accettazione per essere efficace, salvo però eventualmente dimostrare l’avvenuto adempimento.

I casi in cui è possibile recedere dalla società sono:

  • quando questa è contratta a tempo indeterminato;
  • quando lo consenta il contratto sociale;
  • quando sussista una giusta causa, come per esempio il dissidio insanabile tra i soci.

 

In questo ultimo caso il recesso si esercita mediante domanda giudiziale ed avrà efficacia solo con una sentenza che ne riconosca la giusta causa5.

Qualche problema può sorgere in merito all’esercizio del recesso da società contratta a tempo indeterminato. Infatti viene comunemente concessa la facoltà di recedere in quanto non è ammissibile un vincolo contrattuale perpetuo.6 Per contratto a tempo indeterminato deve intendersi un contratto in cui:

  • è prevista una durata indeterminata;
  • non è previsto alcun termine;
  • sia stata prorogata tacitamente la durata prevista nel contratto già scaduto.

Ai fini del recesso la legge equipara alla società a tempo indeterminato quella contratta per tutta la vita di uno dei soci, ovvero quella contratta per un periodo che supera la durata della vita di uno dei soci (es. società contratta per 99 anni)7, oppure quando il fatto che sia superata la vita di uno dei soci lo si può desumere dall’oggetto sociale.

Esercitato il diritto di recesso secondo le modalità sopra indicate, sarà necessario procedere al calcolo della quota spettante al socio recedente, comprensiva di quanto maturato e maturando non ancora pagato, così come sancito dall’art. 2285 c.c., che al suo secondo comma prevede che

“ la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento”.

L’art. 2289 c.c. così recita nel 1° comma:

“nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota”.

Questo sta a significare che il socio recedente non può sottrarre alcun bene alla destinazione produttiva sua propria rimanendo quindi detto bene nel patrimonio della società. Infatti il credito del socio recedente è costituito solo da una somma di denaro.

Al proposito è stabilito che “anche le cose conferite in godimento restano vincolate fino al momento fissato nel contratto sociale e non possono essere restituite al socio il cui rapporto sociale sia sciolto”8, ma gli verranno restituite solo allo scioglimento della società o verranno restituite ai suoi eredi.

Tuttavia la somma di denaro che gli verrà attribuita sarà determinata “in misura corrispondente all’utilità che la società ricava dall’essere titolare di un diritto di godimento”.9

Questo limite può essere compreso se considerato sotto la prospettiva del going concern, cioè del proseguimento dell’attività aziendale, che è uno dei principi cardine nella redazione del bilancio, esposto nell’art. 2423-bis,comma 1, n. 1 a proposito della valutazione delle voci di bilancio.

La liquidazione della quota spettante al socio recedente deve essere pagata entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, senza alcuna corresponsione di interessi10.

Allo scopo di quantificare il valore della quota sarà necessaria una situazione patrimoniale straordinaria dove la valutazione dei beni aziendali dovrà essere fatta con riferimento alla data dell’evento, cioè dello scioglimento del rapporto sociale e tale valutazione verrà fatta ai valori effettivi e non a quelli contabili.

Per valore effettivo si deve intendere non tanto il valore di mercato quanto il valore della capacità reddituale futura dei beni: l’attivo e il passivo devono essere valutati in funzione della loro attitudine alla produzione di redditi.11

Il socio recedente ha diritto agli utili o è obbligato alle perdite per le operazioni in corso e per quelle che sono di diretta conseguenza di rapporti giuridici preesistenti, anche se si sono concluse solo dopo il suo recesso.

Sarà comunque responsabile verso terzi per le obbligazioni sociali assunte fino al giorno del recesso.

Tuttavia è solo grazie alla pubblicità legale, e cioè all’iscrizione nel registro delle imprese dell’avvenuto scioglimento del rapporto sociale, che il socio receduto sarà esente da responsabilità per le obbligazioni sorte successivamente al recesso. Così pure sarà esonerato dal fallimento personale solo decorso un anno dal recesso.12

Per ciò che concerne la natura del credito del socio receduto è considerato secondo la tesi prevalente come debito della società con responsabilità sussidiaria dei soci superstiti 13, che potrà essere saldato dalla società o facendo ricorso alle disponibilità immediate oppure diminuendo il capitale sociale e di conseguenza le quote dei soci.

Tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che l’onere connesso alla liquidazione del socio uscente grava sugli altri soci e non sul patrimonio netto dell’azienda.

Inoltre il debito sociale per la liquidazione della quota del socio uscente ha natura di debito di valuta ed è soggetto al principio nominalistico dell’art. 1277 c.c.14

A tal proposito la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che: “Il credito di cui all’art. 2289 c. c., relativo alla liquidazione della quota del socio uscente, avendo fin dall’origine ad oggetto una somma di denaro, è un credito di valuta ed è soggetto, quindi, al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c. c.; nondimeno la svalutazione monetaria assume rilevanza quando, non essendo avvenuto l’adempimento entro il termine di sei mesi previsto dall’ultimo comma dell’art. 2289 c. c., diventino applicabili i principi sul risarcimento del danno conseguente alla mora del debitore.”15

 

Aspetti fiscali del recesso del socio da società di persone

Il socio receduto

Il recesso del socio nelle società di persone provoca effetti fiscali in capo al socio receduto da un lato e alla società, che sostiene l’onere della liquidazione della quota, dall’altro.

Per ciò che attiene al socio receduto dal punto di vista fiscale bisogna analizzare il fenomeno giuridico sotto l’aspetto delle imposte dirette e indirette.

Per quanto attiene alle imposte dirette è necessario che la quota liquidata al socio receduto venga ripartita tra rimborso di capitale, che non è soggetto a tassazione e quota di natura reddituale.

La ratio è la tassazione dell’utile e non del capitale. Questo perché il nostro sistema di imposizione fiscale si basa prevalentemente sulla tassazione del reddito, invece l’imposizione sul patrimonio è attuata solo con aliquote molto modeste, intanto perché non è semplice l’individuazione degli elementi del patrimonio, (come per esempio l’individuazione di oggetti d’arte o gioielli) e poi perché non è ben tollerata dal soggetto tassato, in quanto non sempre corrisponde ad una effettiva liquidità. A seguito di ciò molte delle imposte sul patrimonio sono state abrogate, come l’imposta sul patrimonio netto delle imprese, abrogata con d. lgs. 15/12/1997 n. 446, oppure le imposte sulle successioni e donazioni, indirettamente patrimoniali, abrogate con legge 383/01.

Quindi per ciò che attiene alla quota di liquidazione del socio receduto la quota reddituale, soggetta a tassazione, può in sostanza essere formata da:

  • a) avviamento [è deducibile in capo alla società in misura non superiore ad un diciottesimo (1/18) del valore stesso, secondo l’ art. 103 TUIR, comma 3, come modificato dall’art. 5-bis, decreto legge 203/2005, convertito in legge 23 dicembre 2005, n. 26616, che rende definitivo il contenuto del decreto a partire dal 3 dicembre 2005. Questo allungamento del periodo di deducibilità dell’ ammortamento dell’avviamento opera retroattivamente e riguarda anche i processi di ammortamento in corso nel 2005.]
  • b) riserva in sospensione d’imposta;
  • c) quota di utile dell’esercizio in corso.

Non costituiscono reddito, ma solo reintegrazioni di patrimonio i conferimenti e gli utili già tassati ancorché non prelevati.

Infatti la quota erogata al socio receduto nella parte che eccede il capitale originariamente sottoscritto costituisce reddito da partecipazione, assimilabile al reddito di impresa. Il correttivo IRES introduce il nuovo art. 20-bis del TUIR che attribuisce natura di utile alla somma ricevuta dal socio in caso di recesso per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate.17 Esso può essere tassato in via ordinaria oppure separata.

La tassazione separata è prevista dall’art. 17, comma 1 lettera l) DPR 917/86 nel quale è previsto che l’imposta si applica separatamente su redditi indicati in modo tassativo, in particolare: “ redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci delle società indicate nell’art. 5 nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale……se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della società e la comunicazione del recesso…..è superiore a cinque anni”.

La norma fa riferimento a 5 anni dalla costituzione della società e non dall’ingresso del socio receduto.

Infatti la liquidazione del socio receduto viene considerata reddito straordinario a formazione pluriennale, cioè un tipo di reddito non facilmente ripetibile e percepito dopo un lungo periodo di tempo, che se soggetto a tassazione ordinaria, e quindi con aliquota progressiva, sconterebbe un’imposta totale maggiore.

Per tale motivo il legislatore ha elaborato il correttivo della tassazione separata, con aliquota proporzionale, per quei redditi di natura straordinaria difficilmente rinnovabili. È infatti possibile una manifestazione di volontà all’interno della dichiarazione dei redditi, vincolante per il contribuente, in quelle situazioni in cui c’è la possibilità di un regime opzionale.

Tuttavia i casi per l’applicazione dell’uno e dell’altro regime sono specificamente indicati. La tassazione ordinaria, invece, prevede il cumulo con gli altri redditi posseduti dal socio e può essere richiesta anche quando ricorrano i presupposti per la tassazione separata.

Esempio

La società Gamma s.n.c. si è costituita il 30 marzo 1994 con versamento di danaro dai soci così composto:

conferimento socio Tizio                                 € 10.000 (50%)
conferimento socio Caio                                      5.000 (25%)
conferimento socio Sempronio                             5.000 (25%).

Il capitale sociale ammonta così a € 20.000 (100%).

Il 1 febbraio 2001 il socio Sempronio decide di recedere e invia raccomandata alla società per la comunicazione del recesso (preavviso di recesso) con effetto dal 10 maggio 2001.

Dalla situazione patrimoniale redatta dagli amministratori risulta che il valore attribuito alla società è di € 60.000, così composto:

– capitale                                                           € 20.000
– utili esercizi precedenti                                        6.000
– utili                                                                       1.000
– avviamento                                                         33.000
Totale                                                                    60.000

 

Valore della quota liquidata al socio:

quota capitale                                                       € 5.000
Quota utili esercizi precedenti                                 1.500
utili                                                                             250
avviamento                                                              8.250
Totale                                                                     15.000

 

Allo scopo di determinare il reddito da tassare in capo al socio si deve detrarre sia la quota capitale sia gli utili da tassare

Quota socio                                                           € 15.000
Quota capitale                                                       – 5.000
Quota utili già tassati                                            – 1.500
Totale                                                                          8.500

 

Il valore di € 8.500 è soggetto a tassazione ordinaria oppure separata, essendo la società stata costituita da più di cinque anni.

a)   La società

Per quanto riguarda il trattamento fiscale delle somme erogate al socio receduto in capo alla società di persone l’ordinamento tributario non disciplina la fattispecie, mentre l’Agenzia dell’Entrate non si è sempre espressa in modo coerente. Ai fini fiscali è necessario considerare la c.d. differenza da recesso, generata dal maggior valore rispetto a quello contabile della quota del socio uscente in sede di liquidazione, determinata dalla valorizzazione del plusvalore latente dei beni e dall’avviamento.

Ci si pone il problema se tale differenza da recesso sia deducibile o meno ai fini fiscali.

La prassi e la dottrina prevalenti, con una posizione favorevole per l’impresa, considerano le somme liquidate al socio receduto come componente negativo deducibile interamente dal reddito.

Infatti le istruzioni alla dichiarazione dei redditi del modello Unico società di persone 200118 prevedevano la deducibilità integrale delle somme corrisposte al socio receduto da società o associazioni per la parte che eccede il patrimonio netto. Tuttavia nelle più recenti istruzioni al modello Unico non c’è più menzione di tali indicazioni, senza però che ne sia chiarito il motivo.

Tuttavia la R. M. n. 9/318 del 12/6/1978 ha precisato che, in merito alla liquidazione all’erede di una quota di società di fatto eccedente il valore patrimoniale originariamente versato dal socio deceduto, “ la modificazione del rapporto sociale intervenuta con la liquidazione in argomento comporta che il predetto reddito sociale è imputabile ai soci che rivestivano tale qualità alla fine del periodo d’imposta, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili, alla cui determinazione concorre come costo fiscalmente deducibile l’importo degli utili inerenti alle operazioni in corso corrisposte all’erede del socio deceduto”. Infatti la parte di quota pari al valore patrimoniale conferito originariamente dal socio non può essere assoggettata a tassazione, anche se costituita da utili inerenti alle operazioni in corso, perché tali utili risultano tassabili in capo al socio e non è ammissibile una doppia tassazione.

La differenza da recesso può essere costituita da:

  • quota di utile dell’esercizio;
  • quota di plusvalenza derivante da rivalutazione dei cespiti;
  • quota di avviamento.

Per la quota di utile si ha, come detto, deducibilità fiscale.

Per ciò che attiene alla plusvalenza derivante da rivalutazione volontaria dei cespiti essa non ha rilevanza fiscale né tantomeno i relativi ammortamenti rappresentano costi deducibili fiscalmente, da come si è venuta delineando tale disciplina negli ultimi tempi.

Per quanto riguarda l’avviamento, questo quando autogenerato non può essere iscritto in bilancio, secondo quanto previsto dal principio contabile n. 24 A. I lettera a) del CNDC- CNR19 e dai principi contabili internazionali20, ma sussiste solo la possibilità di iscriverlo nello stato patrimoniale quando acquisito a titolo oneroso.

Un’altra tesi propone la indeducibilità della differenza da recesso, ascrivendo il recesso del socio tra le operazioni di capitale, che non hanno quindi alcuna influenza ai fini reddituali.

“A supporto di questa teoria si cita l’art. 91 del TUIR, in materia di annullamento di azioni proprie, che esprimerebbe il principio sistematico dell’ordinamento per cui gli atti tra società e soci non possono mai essere produttivi di reddito. Più in generale si afferma che il recesso non rientra tra le operazioni di scambio con terze economie destinate a produrre l’ordinario profitto sociale; il recesso darebbe quindi luogo ad un esborso di somme non inquadrabile nell’attività ordinaria dell’impresa. In quest’ottica il socio non verrebbe considerato soggetto terzo rispetto alla società”.21

Anche se l’art. 91 Tuir è riferito alle società di capitali, l’applicazione è naturalmente ampliabile alle società di persone, dove la commistione tra società e socio è nella natura stessa del rapporto societario e quindi gli atti tra società e socio non dovrebbero produrre reddito.

La dottrina sta ora imponendo una nuova soluzione fiscale, che usa il linguaggio proprio delle società di capitali, che però trova facile attuazione nella disciplina delle società di persone.

Infatti secondo una circolare Assonime sul nuovo regime di tassazione dei dividendi22, poiché la società, pagando la liquidazione al socio receduto, ne riconosce il maggior valore, che, come abbiamo visto, determina la differenza da recesso e consolida nel proprio patrimonio la plusvalenza riconosciuta al socio, sarebbe quindi consequenziale iscrivere tale eccedenza nell’attivo dello stato patrimoniale, al pari dell’avviamento nelle operazioni con altri soggetti terzi. L’ipotesi è quindi assimilabile ad un realizzo, con le plusvalenze indicate nell’attivo dello stato patrimoniale e tassazione delle stesse. In questa situazione la società godrebbe del beneficio di ammortizzare tali plusvalenze negli anni successivi, realizzando minori plusvalenze o maggiori minusvalenze.

Volendo però riferirsi alle società di persone bisogna considerare che le plusvalenze latenti anche se riportate nell’attivo patrimoniale non vanno soggette a tassazione, perché già sono tassate in capo al socio come redditi di partecipazione e quindi redditi d’impresa.

Sussiste poi un’altra ipotesi di liquidazione che prevede che siano i soci, che, volendo acquistare la quota del socio recedente, si fanno carico della liquidazione. In questo tipo di recesso, detto atipico, il socio recedente, che è anche il cedente, realizzando una plusvalenza, realizza un capital gain. Tale guadagno è soggetto a diversi tipi di regime fiscale in base al fatto che la partecipazione sia o meno qualificata.

Molto più chiara è la regolamentazione per ciò che attiene alle imposte indirette. Infatti ai fini IVA non c’è imposizione per la quota erogata dalla società al socio, salvo il caso di assegnazione di beni aziendali. 23

È stato poi stabilito dalla Corte di Cassazione che il recesso, in quanto negozio unilaterale, va assoggettato ad imposta di registro in misura fissa.

 

A cura di di Daniela Di Gravio, consulente aziendale, Studio Giuliano e Di Gravio

 

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Recesso del socio: problematiche fiscali

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NOTE

Articolo pubblicato sul n. 5 del 2006 di Diritto e pratica delle società, Sole 24 ore, Milano. 1 Campobasso G.F., La riforma delle società di capitali e delle cooperative, UTET, p. 162 2 Galgano F., Diritto Civile e Commerciale, Le società di persone, Cedam-Padova, p.353

3 Costituzione, art. 41, comma 1“L’iniziativa economica privata è libera.”

4 Cass. 6 febbraio 1965, n. 187, cit. alla nota seg. e anche trib Torino 9 febbraio 1978, in Giur. Comm, 1979, II, p.98

5“La giusta causa di recesso del socio dalla società trova fondamento esclusivamente nell’inadempimento di specifici obblighi contrattuali da parte degli altri soci. In una società di persone ricorre la giusta causa di recesso del socio ex art. 2285, 2° comma, c. c., ogni qualvolta il recesso sia la conseguenza dell’estromissione del socio dall’amministrazione e dalla gestione della società”. (App. Emilia-Romagna Bologna, 20.11.1993) “La giusta causa di recesso del socio di società in nome collettivo va ricondotta ad una plausibile e giustificabile reazione ad un comportamento degli altri soci, che in misura obiettiva abbia inciso negativamente sul rapporto fiduciario che deve legare ciascun socio all’altro”. (Trib. Pavia, 21.04.1989)

6 Galgano F., Società di persone, CEDAM-Padova, p. 269

7 Propersi A., G. Rossi, Le società di persone, Il sole24ore

8 Cottino G., Diritto Commerciale, I, 2, 4°a ed., CEDAM-Padova 1999, 154

9 Cass., 17 novembre 1984, n. 5853.

10 “L’onere di provare il valore della quota del socio defunto di una società di persone, ai fini della liquidazione della stessa in favore degli eredi, incombe ai soci superstiti e non agli eredi del socio, in quanto solo i soci rimasti in società, e non certo gli eredi del defunto, sono in grado, con la produzione di scritture contabili della società, di dimostrare quale era la situazione patrimoniale nel giorno in cui si è verificata la morte del socio e quali sono gli utili e le perdite inerenti alle operazioni in corso in quel momento. In caso di mancato o parziale assolvimento di tale onere il giudice del merito può disporre consulenza tecnica d’ufficio la quale esprima, anche sul fondamento dei documenti prodotti, una valutazione per la liquidazione della quota ed apprezzarne liberamente il parere senza necessità, quando ne faccia proprie le conclusioni, di una particolareggiata motivazione o di un’analitica confutazione delle eventuali diverse conclusioni formulate dai consulenti di parte”. (Cass. civ. sez. II, 19.04.2001 n. 5809)

11 Cass. Civ. Sez. I^ 10.07.1993 n. 7595 : “Nel caso di recesso di socio di società di persone, per il calcolo della liquidazione della quota, a norma dell’art. 2289, 2° comma c.c., deve tenersi conto della effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi anche il fattore di redditività della azienda stessa; tale redditività, in cui si sostanzia il concetto di avviamento, deriva da un complesso di elementi che, se pure cronologicamente attualizzati al momento dello scioglimento del rapporto, si fondono sui risultati economici delle passate gestioni e sulle prudenti previsioni dei futuri rendimenti e si traduce nella probabilità proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti, derivati dall’apporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come componente del patrimonio sociale”.

12 Art. 10 R.D. 16/3/1942 n. 267.

13 Cass. Civ. Sentenza 10/6/1998

14Art. 1277 c.c. “ I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.

Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento, questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima”.

15 Cass. Civ. Sez. I^ 10.06.1994 n. 5647

16 Finanziaria 2006

17Art. 20-bis TUIR : “Redditi dei soci delle società personali in caso di recesso, esclusione, riduzione del capitale e liquidazione. 1. Ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all’art. 17, comma 1, lettera l), si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’art. 47, comma 7, indipendentemente dall’applicabilità della tassazione separata.”

18 Unico 2001 SP- quadro RK

19“In una prima accezione, l’avviamento è il frutto di una gestione aziendale efficiente nell’organizzazione tanto del complesso dei beni aziendali, materiali e immateriali , quanto delle risorse umane. Definiremo questo avviamento come avviamento internamente generato ovvero avviamento originario. L’avviamento internamente generato non può essere capitalizzato, e iscritto nel bilancio d’esercizio sia perché esso non è definibile in termine di oneri e costi a utilità differita nel tempo (venendo così meno uno dei requisiti fondamentali per la sua iscrivibilità), sia perché esso costituisce il valore attuale di un flusso di futuri utili sperati, presunti”.

20IAS 38 “L’avviamento generato internamente non deve essere rilevato come attività in quanto non è un’attività identificabile controllata dall’impresa il cui costo può essere ragionevolmente determinato”.

21“Per le somme corrisposte al socio che recede il trattamento tributario è affidato alla prassi”, L. Miele e G.P. Ranocchi,Guida alla riforma fiscale, n.11,dicembre 2005 gennaio 2006, Ilsole24ore

22 Assonime, Circolare 14 luglio 2004, paragrafo 5.4

23DPR 633/72 art. 2, comma 2, n. 6

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