Nomi a dominio e Codice della Proprietà Industriale

Prima comparsa nella normativa italiana dei nomi a dominio.  Con l’emanazione del Codice della proprietà industriale,  il legislatore cita per la prima volta i segni distintivi dell’web contrapponendoli ai marchi. A cura di Valentina Frediani

 

Dopo anni di sentenze in cui i giudici hanno citato quando il regolamento della NA, quando la legge Marchi, oggi finalmente gli operatori del diritto, ma soprattutto gli utenti della rete, hanno un testo legislativo cui far riferimento per orientarsi circa eventuali registrazioni o tutele in caso di contrasto del nome a dominio con un marchio.

Vediamo quindi in sintesi i passaggi in cui nel Codice compaiono i nomi a dominio ed a quali fini.

Il primo richiamo si ha in occasione della caratteristica della “novità” riferita alla domanda di registrazione di un marchio: affinché un soggetto possa registrare un marchio, quest’ultimo deve essere dotato di novità, ovvero all’atto di presentazione della domanda  saranno considerati nuovi solo quei segni che non siano identici o simili ad un segno già noto come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale, adottato da altri, se a causa della identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità tra l’attività di impresa da questi esercitata ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.

Seguendo lo stesso ragionamento, il Codice vieta di adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale un nome simile all’altrui marchio, se a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività d’impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o i servizi per cui il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.

Lo stesso divieto viene inoltre esteso anche alla registrazione dei suddetti segni, qualora siano uguali o simili ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini  nel caso in cui l’uso del segno uguale al marchio goda di tale rinomanza da trarne comunque un vantaggio con pregiudizio al titolare del marchio stesso.

Insomma il principio basilare è che ben si debbano distinguere i marchi anche dai nomi a dominio onde evitare confusione tra i potenziali acquirenti.

È rilevabile, infatti, come gran parte delle controversie sorte in rete abbia avuto ad oggetto rivendicazioni da parte dei  titolari di marchi nei confronti di assegnatari di nome a dominio che, cavalcando la notorietà altrui, ottenevano quantità non indifferenti di visite, generando quindi non poca confusione circa la loro identità tra la comunità virtuale.  

Nel Codice viene anche introdotta l’azione cosiddetta di “rivendica” a favore del titolare del marchio verso l’assegnatario dell’omonimo nome a dominio: in tal caso il dominio può essere revocato oppure può essere direttamente trasferito con l’intervento dell’Autorità Registrante.

E sempre in tema di azioni, un articolo è dedicato alla tutela cautelare: è sancito che oltre a inibire un uso di un nome a dominio, il titolare del relativo marchio può anche richiedere ed ottenere un trasferimento provvisorio del nome a dominio (il Giudice può comunque subordinarlo al versamento di idonea cauzione: questo perché qualora la pretesa di trasferimento alla fine si rivelasse infondata, l’assegnatario del nome ha diritto ad una garanzia circa l’eventuale risarcimento del danno subito).

Questo Codice con le sue disposizioni conferma dunque  la centralità del ruolo del nome a dominio in rete: sono ormai lontane quelle sentenze in cui il nome a dominio veniva addirittura indicato come un semplice indirizzo IP senza alcun potere distintivo. Occorre però vedere adesso come sarà recepito e “percepito” nelle aule di Tribunale…

 

 

Avvocata Valentina Frediani

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