Il principio iuria novit curia nel processo tributario

la locuzione latina iuria novit curia esprime un fondamentale principio del diritto processuale moderno in base al quale le parti possono limitarsi ad allegare e provare i fatti costituenti il diritto affermato in giudizio, mentre la legge non deve essere provata al giudice, perché il giudice conosce la legge a prescindere da ogni attività delle parti

documentoL’ art. 113, comma 1, c.p.c., impone al giudice che pronuncia sulla causa di seguire le norme di diritto, salvo che la legge gli attribuisca il potere di decidere secondo equità (circostanza, quest’ultima, non ricorrente nel processo tributario – ex plurimis, Cass. Civ. n. 19079/2009).

Unitamente all’art. 12 disp. prel. c.c. (da cui può desumersi l’obbligo del giudice di pronunciarsi anche quando le parti non abbiano indicato le norme giuridiche da loro ritenute applicabili) la norma ,di cui all’art. 113 citato, racchiude il principio iura novit curia secondo il quale è concesso al giudice di desumere una determinata efficacia del fatto, allegato dalla parte, anche sulla base di una disposizione diversa da quella che quest’ultima ha invocato; la regola dello iura novit curia, a sua volta, si traduce (secondo altre osservazioni poste dalla dottrina) in una rappresentazione dei principi di valenza costituzionale come la soggezione del giudice davanti alla legge (art. 101, comma 2, Cost.), l’autonomia e l’indipendenza della magistratura (art. 104 Cost.), il principio di legalità e di obbligatorietà delle norme (art. 54 Cost.) e il principio di uguaglianza davanti alla legge (art. 3 Cost.).

L’applicazione del principio de quo è però, in un certo senso, “temperata” dall’ art. 112 c.p.c. che, come è noto, sancisce il dovere del giudice di esprimersi su tutta la domanda immessa nel giudizio, la corrispondenza tra chiesto e pronunciato e l’impronunciabilità d’ufficio sulle eccezioni che possono essere proposte solo dalle parti.

Nel processo tributario, il giudice può far ricorso al principio iura novit curia ex art. 1, c. 2, D.Lgs n.546/92, e sempre in confronto e collegamento con i due ultimi limiti descritti1; da tale quadro, ne sono sortite decisioni che ben hanno espresso come il contesto evidenzia due profili: quello attinente alla conoscenza della fonte normativa e quello relativo alla sussunzione dei fatti allegati dalle parti nell’ambito della fattispecie legale astratta, entrambi rilevanti ai fini della decisione della controversia instaurata.

Ad esempio, in occasione della sentenza n. 9590 del 19 aprile 2013, i giudici di piazza Cavour hanno sottolineato che :

  • grazie ai contenuti di cui all’art. 113 c.p.c., c. 1, rimane sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (cfr. Corte cass. Sez, 3, Sent. n. 10009 del 24/06/2003; id. , Sent. n. 25140 del 13/12/2010)2;

  • diversamente, sussiste vizio di “ultra” o “extra” petizione ex art. 112 c.p.c. (e quindi difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato) quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato.

Ancora poi recentemente si è affermato che “In ogni caso il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato stabilito dall’art. 112 c.p.c. , che vieta al giudice pronunce “ultra ” o extra” petizione, deve essere correlato con il principio “iura novit curia” stabilito dall’113 c.p.c., comma 1, che obbliga il giudice alla individuazione “d’ufficio” delle norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, anche ponendo a fondamento della propria decisione una regola giuridica non richiamata dalla parte (in tal senso Sez. L, Sentenza n. 25140 del 13/12/2010, Rv. 615703). Ne deriva che non viola il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato stabilito dell’art. 112 c.p.c. la decisione della Commissione tributaria regionale che rigetta l’appello proposto dall’Ufficio contro la sentenza del giudice di primo grado che aveva ritenuto sussistente la causa di non punibilità prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2 e L. n. 212 del 2000, art. 10 per il diverso e pregiudiziale rilievo in ordine alla inapplicabilità della previsione sanzionatoria contestata (di cui alla L. n. 26 del 2009, art. 24, comma 4) alla condotta posta in essere dal contribuente (omessa presentazione della attestazione)” (Cass. civ. Sez. V, Sent., 13/01/2016, n. 383).

La piena compatibilità, anche nel rito trattato dalle commissioni tributarie, del principio iura novit curia sia con il principio della trattazione formale o dispositivo, sia con quello della domanda, comporta in conclusione che, mentre alle parti spetta l’esclusivo potere di iniziativa quanto all’instaurazione del giudizio (salvi i casi tassativi nei quali è ammessa l’iniziativa ufficiosa) e all’allegazione dei fatti (con conseguente divieto per il giudice di fare impiego del proprio sapere privato), al giudice stesso compete l’individuazione delle fonti del diritto, cioè di quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità (nei quali non sono compresi né quelli aventi carattere normativo ma non giuridico come le regole della morale e del costume – né quelli aventi carattere giuridico ma non normativo, come gli atti di autonomia privata, o gli atti amministrativi ) e la qualificazione giuridica della fattispecie dedotta in giudizio3.

Da notare inoltre che alla luce di un rigoroso criterio ermeneutico, il riferimento dell’art. 113, c. 1, alla locuzione “norme di diritto” è interpretato dalla giurisprudenza in senso restrittivo, tant’è che il contribuente intenzionato a richiamare, a proprio favore, una condotta coerente con le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate e dall’Avvocatura generale dello Stato (es. in circolari, pareri…), non può porre speranza nel postulato ex art. 113 cpc , poiché tali documenti non essendo fonti normative, restano estranei all’ingerenza di tale disposizione e impongono alla parte di contemplarli in una tempestiva difesa Cass. civ. n. 13672/2004).

Va verificato poi l’impatto del principio qui scrutinato nell’ambito dell’abuso del diritto poiché il costante orientamento della giurisprudenza aveva sancito che quest’ultima fattispecie è rilevabile d’ufficio, anche per effetto iura novit curia, da parte del giudice tributario (a prescindere da un qualsiasi richiamo da parte dell’amministrazione) sulla base dei fatti acquisiti al processo e di una diversa qualificazione giuridica della fattispecie evincibile dagli elementi indicati nell’atto impositivo (Cass. civ 13 maggio 2009, n. 10981; Cass. 21 gennaio 2009, n. 1465)4.

Autorevole dottrina5 non ha tardato a rimarcare come oggi debba tenersi conto della normativa espressa nei commi 8 e 9 dell’art. 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contribuente) e soprattutto con il fatto che “la dirompente novità letterale della nuova disciplina è la codificazione della non rilevabilità d’ufficio dell’abuso del diritto”; infatti, mentre al comma 8 della norma, è previsto che “l’atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusivi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente nel termine di cui al comma 6”, proprio nel comma 9 si sancisce, invece, che “L’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3”.

13 febbraio 2017

Antonino Russo

1 Ad esempio nella sentenza della Cassazione Civile, Sez. trib., n. 7223/2016, il principio iura novit curia è stato ritenuto applicabile anche in caso di contrasto fra le parti con riguardo alla decorrenza del termine decennale di prescrizione, indipendentemente dalle ricostruzioni normative da queste avanzate.

2 Nel caso di specie, la Corte di Cassazione riteneva immune dalla censura contestata la pronuncia della CTR piemontese che aveva inteso ricondurre l’insorgenza della obbligazione tributaria alla attività fraudolenta posta in essere anche dalla contribuente chiamata pertanto a rispondere delle conseguenze del fatto illecito.

3 Così A.Uricchio “Il principio “iura novit curia” nella giurisprudenza della sezione tributaria della Corte di Cassazione” in Rassegna. Tributaria, 2016, 4, 1051.

4 Il ricorso all’abuso del diritto è sorto, come si ricorderà, in adeguamento alla giurisprudenza comunitaria ed, in particolare, al caso della decisione della CGCE (Grande Sezione), 21 febbraio 2006, causa C-255/02, “Halifax” ,con la quale la Corte di giustizia affermava che il soggetto passivo Iva non avesse il diritto di detrarre l’imposta assolta «a monte» in conseguenza dell’impiego “abusivo” delle norme comunitarie; oggi, detta regola è ora solidamente radicata nel pensiero della Corte di Cassazione che ritiene la clausola generale antiabuso immanente nell’ordinamento in forza dei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione.

5 A. Marcheselli, A.Contrino “L’obbligo di motivazione “rinforzata” e il riassetto degli oneri probatori nel “nuovo” abuso del diritto” in “Corriere Tributario” n. 1 del 2016, pag. 15.