Il nuovo obbligo di tracciabilità delle spese di rappresentanza crea una disparità tra imprenditori e lavoratori autonomi, sollevando dubbi sulla coerenza del sistema fiscale.
Mentre per le imprese la deducibilità è vincolata ai pagamenti tracciabili, per gli autonomi resta senza restrizioni.
Una scelta che rischia di generare confusione e penalizzazioni: semplice svista o discriminazione?
La nuova norma sull’obbligo di tracciabilità delle spese di rappresentanza
Il comma 81, lett. d, della legge di bilancio 2025 all’art. 108, comma 2 TUIR, in materia di deducibilità delle spese di rappresentanza in regime d’impresa, ha aggiunto un periodo a mente del quale:
“Le spese di cui al presente comma sono deducibili se i pagamenti sono eseguiti con versamento bancario o postale ovvero mediante altri sistemi tracciati di pagamento previsti dall’art 23 del Decreto Legislativo n. 241/1997”.
Preliminarmente si sottolinea come, in modo che si reputa poco logico, analoga prescrizione non sia stata introdotta nel reddito di lavoro autonomo, nonostante l’analoga ratio di tutela si renda intravedibile anche in tale regime fiscale. Non si tratta di una ratio di tutela che appare giustificato diversificare in raccordo con la diversa delineazione strutturale del reddito, in quanto essa appare essere alla base della generica prerogativa dell’effettività del costo. Il limite prescrizionale al solo reddito d’impresa appare, quindi, essere irragionevolmente discriminante.
La diversità di trattamento fra reddito d’impresa e lavoro autonomo
Ma si deve anche verificare se tale diversità di trattamento di condizioni alla base del diritto di deduzione fiscale delle spese di rappresentanza, assuma rilevanza anche ai fini dell’IVA. L’art. 19 bis1, lett. h), DPR 633/1972 riporta testualmente:
“Non è ammessa in detrazione l’IVA relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sui reddito, tranne quelle sostenute