Le società di comodo possono riportare il Credito IVA

La normativa italiana in tema di società di comodo prevede una penalizzazione IVA che contrasta con l’ordinamento europeo. Vediamo dunque gli effetti pratici di questa interessante sentenza.

società comodo iva La Corte Giustizia UE interviene in maniera determinante su uno degli aspetti più penalizzanti introdotti dal Legislatore italiano per le società cosiddette “di comodo”, ossia sul divieto di riportare il credito Iva maturato.

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Società di comodo: le limitazioni IVA della norma italiana

Ricordiamo che la norma (art. 30 comma 4 della L. 729/1994) dispone che:

per le società e gli enti non operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del Dlgs 241 del 1997, o di cessione ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter del Dl 70 del 14 marzo 1988, convertito con modificazioni dalla legge 154 del 13 maggio 1988.

Qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi”.

 

Gli effetti della decisione della Corte di Giustizia UE sulla disapplicazione delle limitazioni previste dalla normativa italiana

La decisione della Corte di Giustizia UE comporta, con riguardo a tutti i rapporti non definitivamente esauriti, la disapplicazione della norma interna per contrasto con la disciplina unionale.

In dottrina, tra l’altro, è stato affermato, condivisibilmente, che il principio enunciato è idoneo a travolgere anche i divieti di rimborso, compensazione orizzontale e cessione, fissati nella succitata prima parte del comma 4 del predetto articolo 30.

Si tratta, d’altronde, della ennesima occasione in cui la Corte esprime parere contrario alla legittimità dell’applicazione automatica di meccanismi presuntivi, inidonei a giustificare in modo specifico e concreto contestazioni di evasione o abuso del diritto, in barba dunque agli obiettivi perseguiti dal diritto unionale.

Non si può ammettere che una presunzione di qualsiasi natura determini il disconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva assolta a monte per ragioni di prevenzione all’evasione o abuso del diritto: l’accertamento dell’esercizio di un’attività economica non può essere apprezzato sulla base di elementi meramente quantitativi.

Il diritto alla detrazione dell’Iva dovrebbe essere contestato caso per caso dall’Agenzia delle entrate, in contraddittorio con il contribuente, sulla base di una valutazione delle circostanze obiettive del caso di specie, fondata su elementi verificabili e non appunto su presunzioni anche legali.

 

Fonte: Corte di Giustizia EU, Causa C-341/22, Feudi di San Gregorio.

 

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Danilo Sciuto

Giovedì 9 Maggio 2024