La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha depositato l’attesa sentenza Feudi San Gregorio, relativa alla compatibilità tra la normativa italiana in tema di società di comodo con la Direttiva IVA. Analizziamo gli effetti pratici della bocciatura della normativa italiana…
Nel precedente intervento (“Società di comodo e IVA: attesa per la decisione della Corte di Giustizia”) del 24 febbraio 2024 si erano riportate le conclusioni dell’Avvocato Generale Collins depositate nella causa Feudi di San Gregorio, pendente presso la Corte di Giustizia a seguito del rinvio pregiudiziale disposto dalla Corte di Cassazione italiana.
Si era detto, in quella sede, che le conclusioni non lasciavano ben sperare: in sostanza, l’Avvocato Generale aveva sostenuto che le limitazioni poste dall’art. 30 della L. n. 724/1994 all’esercizio del diritto di detrazione perseguono il legittimo obiettivo di ridurre al minimo i rischi di evasione ed elusione, e che rispettano il principio di proporzionalità purché (cosa che è compito del giudice nazionale accertare) al contribuente sia concessa la più ampia facoltà di provare le ragioni oggettive del volume d’affari anormalmente basso.
I Giudici, tuttavia, sono andati in direzione decisamente diversa.
La normativa italiana incriminata in tema di società di comodo
La disposizione della cui compatibilità con la Direttiva IVA la Cassazione ha dubitato è l’art. 30, comma 4, della L. n. 724/1994, che prevede limitazioni di crescente intensità nei confronti delle società non operative (o, con espressione equivalente, di comodo), ossia:
- il divieto di rimborso, di compensazione (orizzontale) e di cessione del credito, per le società e gli enti che siano non operativi (situazione alla quale era equiparata quelle di perdite reiterate, prima dell’abrogazione della relativa disciplina con il D.L. n. 73/2022) in quello specifico