È attesa per il prossimo 7 marzo la pubblicazione della sentenza con cui la Corte di Giustizia dell’U.E. si soffermerà sulla compatibilità tra la Direttiva IVA e i limiti in tema di utilizzo delle eccedenze a credito posti dalla normativa italiana in tema di società di comodo. Le conclusioni dell’Avvocato Generale, purtroppo, non paiono positive per i contribuenti italiani.
Con ordinanza interlocutoria, a seguito della quale è stata introdotta la causa C-341/22 (Feudi di San Gregorio), la Cassazione ha disposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia affinché chiarisca se sia possibile negare la qualità di soggetto passivo, e la possibilità di disporre dell’eccedenza di credito IVA in periodi successivi, ai soggetti che risultino per tre anni consecutivi “di comodo” o “non operativi” .
Società di comodo: fondamento e funzionamento della disciplina
Con l’intento di colpire le società di mero godimento, l’art. 30 della L. n. 724/94, più volte modificato negli anni, ricollega al possesso di determinati asset (partecipazioni e obbligazioni, immobili e natanti e altre immobilizzazioni) un reddito minimo, in difetto del cui raggiungimento la società si considera operativa, o di comodo.
In tal caso, la società è tenuta (anche ai fini dell’IRAP) a dichiarare un reddito determinato applicando agli asset di cui sopra determinate percentuali, e subisce una maggiorazione dell’aliquota IRES pari al 10,5%.
L’interpello e la controprova
Per superare tali penalizzazioni, era possibile presentare un’istanza di interpello cd. disapplicativo e in tale sede dimostrare la sussistenza di “oggettive situazioni