La digitalizzazione, una strada per raggiungere i profitti sostenibili

La digitalizzazione può essere la via maestra per costruire un futuro in cui i profitti aziendali siano sostenibili? L’Italia è partita in ritardo sulla via della digitalizzazione ma pare in via di recupero rispetto ai partner europei.

digitalizzazioneIl digitale può diventare un buon abilitatore per un profitto sostenibile delle aziende? Sostanzialmente parte da questa domanda la ricerca realizzata dal The European House-Ambrosetti in partnership con Avvale dal titolo “Il digitale per un profitto sostenibile: la Twin Transition delle imprese e le soluzioni digitali a supporto di sostenibilità e circolarità”.

Lo studio cerca di fornire delle risposte ad alcuni quesiti molto importanti per il futuro delle imprese. Tra questi c’è quello relativo alla twin transition, ossia lo sviluppo sinergico di soluzioni che possano favorire contemporaneamente la transizione verde e quella digitale. Ma non solo: quali tecnologie, quali processi e quali strategie le aziende possono adottare per ridurre al massimo il proprio impatto ambientale? Senza, ovviamente, andare ad impattare negativamente sulla propria performance economica.

 

Digitale e profitto sostenibile: un binomio importante

La domanda sulla quale la ricerca ha posto le proprie basi è se il digitale possa diventare un buon abilitatore ad un profitto sostenibile. Alla quale Giorgio Metta, Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, ha provato a dare una risposta:

“Il mondo della ricerca è alla costante ricerca di nuove tecnologie e materiali sostenibili, ma senza nuovi modelli di efficienza e circolarità il progresso scientifico sarà vano: la transizione verde non è una sfida tecnologica, ma una sfida di sistema. In questo contesto, le aziende possono fare leva sulle nuove tecnologie digitali che, oltre a rendere i processi sempre più efficienti, possono creare nuovi modi di consumare e di interagire tra consumatori e aziende, estendendo intensità di utilizzo e riciclo di prodotti e materiali. La sfida è grande, ma grazie al digitale disponiamo oggi degli strumenti con cui affrontare la transizione verso un nuovo modello di profitto sostenibile”.

Sostanzialmente risultano essere tre i messaggi chiavi che emergono dalla ricerca:

  1. nel momento in cui un’azienda ha l’ambizione di diventare realmente sostenibile, deve essere un’impresa con degli strumenti di misurazione altamente digitalizzati;
  2. senza dubbio il digitale rappresenta il più potente acceleratore di performance economica e ESG;
  3. la strada che porta verso il net zero può avvenire unicamente attraverso dei nuovi modelli di business e processi circolari.

 

Processi di digitalizzazione: l’Italia è ancora in ritardo

Dalla ricerca sono emersi alcuni dati. L’Italia, almeno in termini di digitalizzazione delle aziende, si trova in una posizione di svantaggio. Solo e soltanto il 27,8% sta utilizzando delle tecnologie realmente avanzate. Il valore si discosta di qualcosa come 4,6 punti percentuali rispetto alla media europea e oltre 10 punti percentuali rispetto alle imprese olandesi e tedesche.

L’Italia, ad ogni modo, è il paese che ha registrato la maggiore crescita nei processi di digitalizzazione tra tutte le nazioni europee: il tasso è stato pari al 75% nel periodo compreso tra il 2017 ed il 2022.

Buone notizie per le imprese che hanno scelto di investire nelle migliori infrastrutture digitali: mostrano un livello di produttività maggiore del 64% rispetto alle aziende non digitalizzate. Sono passate, infatti, da 133.000 euro per dipendente a circa 220.000 euro. In Germania, ad esempio, la differenza in termini di produttività è minore rispetto all’Italia, ma comunque del 35%.

 

Gli investimenti in digitale: un quadro d’insieme

Nell’Unione Europea la percentuale sul PIL di investimenti privati in circolarità è pari allo 0,8% con 121 miliardi di euro nel 2021. L’Italia, in valori assoluti, si posiziona dopo la Germania e la Francia con 12,4 miliardi di euro. Gli investimenti delle imprese tedesche sono pari a 31,5 miliardi di euro, mentre quelli francesi sono pari a 20,4 miliardi di euro.

In termini relativi rispetto al PIL, i Paesi dell’Unione europea con la più alta percentuale di investimenti sono Belgio e Austria con l’1,4% mentre l’Italia si posiziona solamente all’undicesimo posto con lo 0,7%. Analizzando, invece, l’andamento degli investimenti sull’economia circolare tra 2011 e 2021, si osserva come l’Italia abbia quasi raddoppiato i propri investimenti privati nell’economia circolare, ben sopra la media europea che ha registrato solamente una crescita del 16,5%.

“L’adozione di modelli circolari e l’innovazione digitale rappresentino i mezzi più potenti che le aziende hanno a disposizione per coniugare profitto e sostenibilità – spiega Domenico Restuccia, Fondatore e Ceo di Avvale -. Integrare i principi della circolarità nei processi operativi e nel design dei propri prodotti non solo ottimizza l’efficienza operativa, ma permette anche di disaccoppiare la crescita dei ricavi dal consumo di risorse. Questo approccio pone le imprese in una posizione vantaggiosa per ridurre l’impatto ambientale e creare valore economico sostenibile nel lungo termine. L’innovazione tecnologica rende oggi questo obiettivo raggiungibile. Il digitale ci fornisce, infatti, strumenti adeguati per il superamento di un modello economico lineare in favore di ecosistemi circolari, in cui prodotti e materiali circolano al massimo valore il più a lungo possibile su scala industriale”.

Pierpaolo Molinengo

Sabato 17 Febbraio 2024

 

 

 

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