Scatta l’aggravante ex art. 13-bis, comma 3, del D. Lgs n. 74/2000 per il consulente che elabora ovvero commercializza un modello seriale di evasione fiscale e lo offre ai suoi clienti, anche se risulta personalmente beneficiario del modello evasivo utilizzato. Vediamo perchè. Il caso scatenante è da individuare in suggerimenti di atti consistenti nell’alienare “simulatamente o comunque trasferendo in modo fraudolento beni propri, in modo da rendere in tutto o in parte inefficaci le procedure di riscossione coattiva”, al fine di evitare il pagamento di rilevanti debiti erariali della società.
Scatta l’aggravante ex art. 13-bis, comma 3, del D. Lgs n. 74/2000 per il consulente che elabora ovvero commercializza un modello seriale di evasione fiscale e lo offre ai suoi clienti, anche se risulta personalmente beneficiario del modello evasivo utilizzato.
Inoltre, per la sua contestazione occorre verificare altresì la potenziale riproducibilità in futuro dello schema elusivo impiegato.
Lo ha stabilito Corte di Cassazione con la sentenza n. 36212 del 19 agosto 2019.
Responsabilità del Consulente che elabora un modello seriale di evasione: la sentenza n. 36212/2019
Il GIP del Tribunale di Firenze aveva applicato a carico di un commercialista la misura cautelare della custodia cautelare in carcere in ordine a quattro episodi (capi A, B, C e D) per il reato di cui al D. Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, comma 1, contestando anche l’aggravante prevista dal successivo art. 13-bis, comma 3 D. Lgs. cit. (si veda nota 1).
Il caso del Consulente e del modello di evasione fiscale da lui elaborato e diffuso ai clienti
In pratica, veniva opposto al consulente di aver elaborato un modello di evasione fiscale, consistente nell’alienare “simulatamente o comunque trasferendo in modo fraudolento beni propri, in modo da rendere in tutto o in parte inefficaci le procedure di riscossione coattiva”, al fine di evitare il pagamento di rilevanti debiti erariali della società da lui stesso amministrata e di quella da lui partecipata (rispettivamente capo A e B), e di aver “esportato” tale modello di evasione anche in favore di altri clienti “venendo realizzati in modo fraudolento ripetuti contratti di locazione d’azienda su beni propri, in modo idoneo a rendere inefficaci in tutto o in parte le procedure di riscossione coattiva” (capo C e D).
Il dibattito sull’applicabilità dell’aggravante ex art. 13-bis, comma 3 al caso
Di tutt’altro avviso si era dimostrato – però – il Tribunale del riesame, che in riforma dell’ordinanza del GIP, aveva applicato la (più tenue) misura degli arresti domiciliari “escludendo altresì la configurabilità della aggravante di cui al D. Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 bis, u.c.”.
Avverso tale ordinanza, il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze aveva proposto ricorso per cassazione, contestando con un unico motivo le argomentazioni utilizzate dal Tribunale del Riesame al fine di escludere l’odierna aggravante.
In particolare – con riferimento alle operazioni descritte ai capi A e B – la Procura opponeva che non doveva (né poteva) assumere alcuna valenza “esimente” il fatto che il consulente avesse agito anche “in proprio” in quanto doveva comunque rinvenirsi un rapporto di alterità tra la figura del professionista che aveva elaborato il modello di evasione fiscale e quella del medesimo soggetto che insieme a vari complici aveva usufruito di tale modello (si veda nota 2).
Mentre – con riferimento alle operazioni descritte ai capi C e D – per le quali il Tribunale del Riesame “aveva escluso il requisito della serialità, inteso come abitualità e ripetitività delle condotte illecite”, il ricorrente metteva in evidenza che tale requisito doveva essere inteso piuttosto “come riproducibilità in più casi analoghi del medesimo meccanismo di evasione fiscale, in quanto elaborato dal consulente fiscale o semplicemente proposto ai propri clienti