La Corte di Cassazione ha formulato un interessante chiarimento in ordine ad un dubbio sollevato da più parti, inteso a prevedere espressamente che, se una impugnazione, anche incidentale, viene respinta integralmente o è dichiarata inammissibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa contestazione.
Il contributo unificato – introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 9 della Legge 23 dicembre 1999, n. 488 – ha sostituito, dal 1.3.2002, il previgente sistema di imposizione sulla introduzione delle liti, basato sul bollo e sulla tassa di iscrizione a ruolo, oltre che sui diritti di cancelleria
Nel processo tributario, il contributo unificato è stato poi introdotto dall’art. 37, comma 6, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni in Legge 15 luglio 2011, n. 111.
La misura del contributo de quo è rapportata al valore della controversia secondo una “forbice” che comporta importi variabili (da 30 euro, per controversie di modesto valore, cioè nel limite di euro 2.582,28, fino a 1.500 euro per le controversie il cui valore supera 200 mila euro).
Per determinare l’importo del contributo occorre fare riferimento alla somma dovuta, a titolo di tributo, che forma oggetto di contestazione, precisandosi che, nel caso in cui la controversia abbia ad oggetto solo le sanzioni applicate dall’amministrazione finanziaria con l’atto di contestazione, deve aversi riguardo (come base di calcolo) dell’importo indicato da quest’ultimo.
Il compito di riscuotere il contributo unificato e irrogare le sanzioni in caso di omesso o parziale versamento delle somme dovute dal ricorrente non spetta all’Agenzia delle Entrate ma è attribuito all’Ufficio del Ministero di Giustizia o, per quel che interessa le liti fiscali, alla