Dopo aver rilevato che, in caso di tassazione per trasparenza nei confronti dei soci, la regola generale del simultaneus processus non ha ragion d’essere, nei casi, come quello di specie, in cui il socio non contesti la pretesa erariale a monte, ma solamente questioni personali, la Corte di Cassazione, con recente ordinanza, ha ritenuto irrilevante l’assoluzione nel procedimento penale, per l’autonomia del processo tributario.
Dopo aver rilevato che, in caso di tassazione per trasparenza nei confronti dei soci, la regola generale del simultaneus processus non ha ragion d’essere, nei casi, come quello di specie, in cui il socio non contesti la pretesa erariale a monte, ma solamente questioni personali, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8476 del 6 aprile 2018, ha ritenuto irrilevante l’assoluzione nel procedimento penale, per l’autonomia del processo tributario.
Considerazioni e precedenti giurisprudenziali
La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che, nel giudizio tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati siano gli stessi che fondano l’accertamento, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova previsti dall’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/92 e trovano ingresso anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna[1].
Data la reciproca autonomia e indipendenza, è normale che il processo penale e il processo tributario si concludano con accertamenti contrastanti su un medesimo fatto, o che il giudice penale quantifichi l’imposta evasa (ai fini del superamento delle soglie di punibilità) in misura diversa rispetto al giudice tributario, pur se è indiscutibile il rilievo probatorio del giudicato, potendo la sentenza penale divenuta definitiva essere prodotta come documento nel giudizio tributario ai sensi degli artt. 24 e 32 del D.Lgs. n. 546/92.
In particolare, i massimi giudici di legittimità hanno affermato che, ferma la non vincolatività del giudicato penale, il giudice tributario,
“nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (articolo 116 c.p.c.), è tenuto a verificare la rilevanza, rispetto alla fattispecie tributaria soggetta ad esame, di tutti gli elementi desumibili dall’inchiesta e dalla sentenza penale” (Cass. civ., 3 settembre 2008, n. 22173).
Sul punto, la Guardia di Finanza, nella circolare n.