L’amministratore non esecutivo non è più una figura secondaria: segnali ignorati, controlli omessi e decisioni non sorvegliate possono costare caro. La giurisprudenza rafforza i profili di responsabilità, trasformando l’inerzia in rischio concreto. Scopriamo come la Cassazione ridisegna i confini della responsabilità in azienda e perché la vigilanza attiva diventa oggi una forma di tutela imprescindibile.
Amministratori non esecutivi: nuove responsabilità e doveri di vigilanza
Il ruolo dell’amministratore non esecutivo, percepito come figura ancillare rispetto agli amministratori dotati di deleghe operative, è oggetto di una rilettura giurisprudenziale che ne rafforza il peso e le responsabilità.
La Corte di Cassazione – in linea con un orientamento ormai consolidato – ha precisato che l’obbligo di diligenza non si esaurisce nella ricezione passiva delle informazioni trasmesse dagli organi esecutivi, ma si estende a un dovere di verifica e intervento quando emergano segnali d’allarme idonei. Non si tratta più solo di rispettare un principio formale di vigilanza, ma di garantire un presidio sostanziale e dinamico di legalità gestionale, in cui la diligenza richiesta è modulata in base alla complessità dell’impresa e alle competenze professionali specifiche degli amministratori.
Il quadro normativo di riferimento
La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali è una delle declinazioni della responsabilità contrattuale ex art. 1218 codice civile, adattata alla peculiare posizione giuridica di chi gestisce beni e interessi non propri, ma della collettività societaria.
L’art. 2392 codice civile dispone che:
«gli amministratori devono adempiere ai doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze».
La norma individua un criterio soggettivo di responsabilità: la diligenza non è quella del buon padre di famiglia, ma quella «richiesta dalla natura dell’incarico», che, nel caso di società complesse, si traduce in una diligenza qualificata e tecnica.
Si distingue tra responsabilità interna (verso la società) e responsabilità esterna (verso creditori e terzi). La prima trova disciplina nell’art. 2393 codice civile, che prevede un’azione sociale di responsabilità esercitabile dalla società per il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale da atti illeciti compiuti dagli amministratori.
La responsabilità verso i creditori sociali è disciplinata dall’art. 2394 codice civile, il quale prevede che:
…«gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale»,…
qualora tale inosservanza abbia determinato l’insufficienza del patrimonio a soddisfare le ragioni creditorie. Infine, la responsabilità verso i terzi (che ha natura extracontrattuale) può sorgere qualora gli amministratori pongano in essere atti illeciti che cagionano danno direttamente ai terzi.
In ambito di S.r.l., l’art. 2476 codice civile riprende sostanzialmente i medesimi principi, adattandoli alla struttura più semplice delle S.r.l., ma, come confermato anche dalle sentenze in commento, non vi è una sostanziale differenza in tema di doveri e responsabilità fra amministratori di S.p.A. e S.r.l. quando si tratta di conservazione del patrimonio sociale e vigilanza.
L’obbligo di diligenza e la rilevanza delle omissioni
Elemento cardine della responsabilità è l’obbligo di diligenza. La diligenza richiesta agli amministratori non può essere intesa in senso statico o meramente formale: essa è dinamica, graduata e rapportata sia alla complessità della società sia alle competenze personali dell’amministratore. La Corte di Cassazione nella sentenza n. 15054/2024 ha chiarito che, la violazione di tale obbligo può consistere non solo in un comportamento commissivo ma anche, e soprattut