Il commercialista è davvero esente da responsabilità se il cliente presenta saldi di cassa negativi? Una recente sentenza, accolta con favore dagli operatori, esclude il danno contrattuale. Ma dietro il principio affermato si celano motivazioni tecniche che meritano di essere analizzate con attenzione.
L’elemento più prezioso per un professionista oggi è sicuramente il tempo. Ed è l’elemento che purtroppo scarseggia; questa mancanza però è molto pericolosa dal punto di vista dell’aggiornamento, in quanto porta spesso a soffermarsi solo sui titoli degli articoli senza approfondirne il contenuto.
Cassa negativa e possibile responsabilità del commercialista
Ne è (ennesima) dimostrazione la superficiale lettura della recente sentenza n. 9721/2025 della Cassazione, che viene riportata da qualcuno con il titolo: “Commercialista non responsabile per l’accertamento al cliente se i saldi cassa sono negativi”: si tratta di una affermazione palesemente fuorviante e falsa, data non solo la costante giurisprudenza di merito e di legittimità, ma soprattutto il principio base della responsabilità contrattuale, stabilito dal Codice Civile.
Vediamo perché, partendo dal caso.
Un cliente presenta richiesta giudiziale risarcitoria nei confronti del commercialista, ritenuto responsabile di errori nella tenuta della contabilità. In particolare, scrive la ricorrente, i saldi del conto cassa sempre negativi avrebbero spinto l’Agenzia delle Entrate ad accertare ricavi non dichiarati, generando un contenzioso tributario e dunque l’irrogazione di sanzioni e maggiori imposte.
Si tratta di circostanza assolutamente verosimile, in quanto è noto che differenze contabili tra denaro in cassa reale e saldo contabilizzato determinano l’inattendibilità della contabilità stessa, con conseguente possibilità di accertamento induttivo da parte dell’agenzia, dal quale è assai difficile difendersi.
Ma in questo percorso, la società ricorrente incespica clamorosamente prima in sede di giudicato di merito, e poi, soprattutto, in sede di legittimità.
Le domande risarcitorie, fondate su presunte gravi negligenze del professionista, sono state rigettate dal giudice di prime cure e successivamente anche dalla Corte territoriale.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9721 del 14 aprile 2025, ha rigettato il ricorso, ritenendo non accoglibili le censure sollevate dalla ricorrente. Vediamo però perché non sono state dichiarate accoglibili.
La ricorrente aveva eccepito che la Corte territoriale:
- avrebbe violato la regola dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale a carico del resistente commercialista in merito alla redazione di un libro cassa, che sarebbe stato tenuto in violazione degli standard minimi di professionalità;
- avrebbe errato nel porre a carico della società la prova del nesso causale, anche nel caso di responsabilità contrattuale, mentre sarebbe stato sufficiente allegare l’inadempimento del commercialista.
È fin troppo evidente che in una causa di risarcimento danni, il danno deve essere debitamente provato, non potendocisi limitare a documentare l’inadempimento.
Pertanto, la Cassazione ha rigettato il ricorso della società cliente non tanto perché il commercialista non abbia avuto colpe, ma perché il danno non era stato provato!
Oltre a questo, la Cassazione ha rigettato altri motivi di ricorso non in quanto infondati, ma in quanto di competenza del giudice di merito, e non di quello adito (di legittimità)!
In conclusione, la società cliente che ha agito verso il proprio commercialista poteva forse vantare le proprie ragioni, ma a causa di una non ottima gestione del ricorso predisposto dal proprio avvocato, non ha ottenuto il risultato che si aspettava.
La sentenza dunque è ben lungi da poter essere considerata favorevole all’operato del commercialista, piuttosto fissa un principio base (la dimostrazione del danno) che non ha certo bisogno di essere riconfermato.
NdR: ti consigliamo anche la lettura di questo articolo: Cassa negativa e accertamento induttivo
Danilo Sciuto
Giovedì 8 Maggio 2025