Sta cambiando il futuro delle partite IVA: autonomi a rischio

Redditi in calo, mancanza di tutele e rischio crescente di povertà: è il quadro che emerge per milioni di lavoratori autonomi. Il popolo delle partite IVA risulta più esposto al rischio di esclusione sociale rispetto ai lavoratori subordinati. Una crisi silenziosa che si riflette nel calo dei redditi, nella mancanza di tutele e in una crescente instabilità economica.
Numeri e percentuali aiutano a comprendere le cause profonde di un disagio sempre più diffuso.

Autonomi sempre più poveri e partite IVA sempre più in crisi: l’allarme della CGIA di Mestre

crisi partite ivaL’Ufficio studi della CGIA di Mestre è sempre molto attento ad analizzare lo scenario in tema di lavoro ed economia. Ed è l’Istat a fornire numeri e dati utili a fotografare e ricostruire l’evoluzione dei redditi e degli stipendi nel nostro paese.

Secondo la CGIA ha senso parlare di nuove povertà, o per lo meno di un rischio molto concreto di una nuova e progressiva perdita di potere d’acquisto. Rispetto al 2003 il reddito degli autonomi è infatti crollato del -30% (a differenza dei dipendenti che hanno perso l’8%): nel 2025 lavorare con partita Iva è assai meno remunerativo di un tempo e oggi, a spaventare chi lavora in modo auto-imprenditoriale, sono anche i dazi voluti dall’amministrazione Trump.

Vediamo allora le indicazioni offerte dalla CGIA di Mestre, per capire un po’ meglio qual è la situazione di coloro che non lavorano alle dipendenze.

 

Le cause della crisi degli autonomi e i numeri del rischio povertà

In termini assoluti – spiega l’Ufficio studi – la popolazione italiana – a rischio povertà o esclusione sociale – corrisponde a 13,5 milioni di persone (23,1% del totale abitanti). Di questi, 7,7 milioni – uguale al 57% del totale – sono residenti nel Mezzogiorno.

L’Italia è il paese europeo con più alta concentrazione di PMI, ma ciò non significa garanzia di successo economico. Anzi. Costo del lavoro, concorrenza della GDO e del commercio elettronico, aumento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, crollo dei consumi interni, mancanza di politiche pubbliche all’altezza di una delicata situazione e difficoltà nel reperire manodopera qualificata sono alcuni dei tasselli che compongono il “mosaico” delle ragioni della crisi degli autonomi.

Come rimarca CGIA Mestre nella sua analisi effettuata con numeri, percentuali e grafici, le piccole e micro imprese – insieme alle partite IVA – stanno infatti vivendo un periodo di incertezza e difficoltà, a causa di una combinazione di fattori economici, politici e strutturali che influenzano negativamente le loro attività.

 

Quanti sono e chi sono i lavoratori indipendenti in Italia

Dall’elaborazione dei dati Istat in chiave critica, l’associazione artigiana indica che il potere d’acquisto dei salari reali è considerevolmente sceso negli ultimi decenni, gravando in particolare gli operai e impiegati con bassi livelli di inquadramento contrattuale e/o firmatari di contratti di lavoro precario. Ne hanno così fatto le spese i consumi delle famiglie, costrette talvolta a indebitarsi per far fronte alle spese più comuni.

Tuttavia, sono i fatturati dei lavoratori autonomi ad avere mostrato la peggior contrazione, con serie ripercussioni sulla qualità della vita. CGIA Mestre porta all’attenzione diversi campanelli d’allarme e sottolinea che, in Italia, il numero dei lavoratori indipendenti – giovani, donne, over 50 – si avvicina ai 5,2 milioni di unità. Poco più della metà di loro opera in regime dei minimi / forfetario.

Si tratta di attività economiche e partite IVA a spiccato carattere di auto-imprenditorialità, senza dipendenti e una vera e propria struttura aziendale, e con un ricavo o compenso annuo al di sotto degli 85 mila euro.

Frequentemente le partite IVA – spiega CGIA Mestre – cercano di far quadrare il bilancio familiare con consulenze e attività saltuarie e senza alcuna garanzia di continuità nel tempo. Inoltre, i redditi sono un’incognita perché non sempre le spettanze sono incassate con regolarità, e quindi con versamenti tempestivi da parte di chi si è avvalso delle loro prestazioni professionali.

Non solo. Questi professionisti scontano anche l’assenza di ammortizzatori sociali ad hoc o di forme di sostegno pubblico mirato, come pure la mancanza dei permessi, della malattia, o di tutele sindacali o previdenziali al pari di quelle dei lavoratori subordinati. Uno scenario che è spia delle difficoltà economiche affrontate quotidianamente da chi non ha le garanzie connesse a un contratto di lavoro subordinato.

 

Le percentuali del rischio di povertà o esclusione sociale

Sulla scorta di queste considerazioni, non sorprende che la situazione di rischio di povertà o esclusione sociale si palesi in modo netto. Con un’elaborazione su dati Istat, CGIA Mestre indica che tale rischio:

  • colpisce di più i lavoratori autonomi, ossia artigiani, esercenti, commercianti e liberi professionisti – 22,7% nel 2024, con un +0,4 rispetto all’anno precedente;
  • cala per i dipendenti – 14,8% nel 2024, con un -1% rispetto all’anno precedente.

Al contempo, l’Ufficio studi evidenzia che l’appena citato rischio di povertà ed esclusione sociale consiste in un articolato indicatore, formato dalla somma delle persone che vivono in famiglie in almeno una delle seguenti condizioni:

  • a rischio povertà;
  • in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale;
  • a bassa intensità di lavoro.

All’interno della sua analisi, CGIA Mestre dà una definizione e spiega nel dettaglio le caratteristiche di queste tre condizioni e, al contempo, sottolinea che le percentuali – menzionate poco sopra – hanno come riferimento il reddito del lavoratore, inteso come quello principale della famiglia.

Inoltre, l’analisi conferma una disparità crescente tra categorie lavorative e un divario territoriale che penalizza soprattutto il meridione. La CGIA puntualizza che la stima effettuata non risente del dato falsato sui redditi, che potrebbero essere non dichiarati o non completamente dichiarati degli autonomi: il rischio povertà è, infatti, un indicatore complesso, che mescola vari dati socio-economici restituendo uno spaccato credibile sul popolo delle partite IVA.

 

Dazi statunitensi e possibili minacce per gli autonomi

Lo studio della CGIA Mestre guarda anche oltre i confini nazionali. Gli autonomi – ribadiscono – sono coloro che più hanno patito le conseguenze del carovita e del calo di fatturato, ma ora – almeno sulla carta – non rischiano di essere pesantemente esposti alle conseguenze delle tensioni commerciali scatenate dai dazi Usa.

Infatti, gran parte delle partite IVA non opera direttamente con i mercati stranieri e soltanto una ristretta fetta di autonomi è attiva nelle filiere produttive coinvolte nelle esportazioni; tuttavia, laddove le misure protezionistiche introdotte dall’Amministrazione Trump dovessero causare un rallentamento della crescita economica e un aumento dell’inflazione anche nel nostro paese, gli autonomi più fragili potrebbero nuovamente essere danneggiati.

Per la CGIA Mestre il rimedio efficace sarà duplice: diversificazione dei mercati di vendita dei nostri prodotti nei paesi stranieri e rilancio della domanda interna, attraverso l’attuazione integrale degli obiettivi del PNRR. Al contempo, ad arginare i rischi dei dazi potrebbe essere la ripresa dei consumi, trainata o trainabile dalla riduzione delle imposte a famiglie e imprese.

Concludendo, il quadro offerto dall’analisi dell’associazione artigiana rivela che l’Italia è spaccata anche sotto questo punto di vista: da un lato, i lavoratori subordinati, pur in difficoltà, conservano un rischio povertà più contenuto o attenuato negli ultimi anni, mentre – dall’altro – il popolo delle partite IVA è esposto a una precarietà pluriennale e paga il prezzo di un affaticato sistema economico.

L’Ufficio studi suggerisce perciò di non abbandonare i lavoratori autonomi, perché senza un efficace pacchetto di tutele e con redditi in caduta libera, la crisi rischia concretamente di aggravarsi ancor più.

 

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Claudio Garau

Sabato 19 aprile 2025