Lo smart working piace molto ai lavoratori e (forse) un po’ meno alle imprese. Il datore di lavoro può impartire direttive per assicurare il corretto svolgimento dell’attività lavorativa e la tutela del patrimonio aziendale.
In particolare, nei casi di smart working, l’accordo di lavoro agile stabilisce le modalità di controllo, sempre nel rispetto della privacy e della normativa. Tali controlli possono riguardare strumenti aziendali come pc e smartphone, posta elettronica, navigazione internet e, in alcuni casi, persino il ricorso a investigatori.
Approfondiamo insieme i dettagli di questo complesso equilibrio tra diritti e doveri.
Ai sensi dell’articolo 2104 del Codice Civile il datore di lavoro ha il potere di impartire una serie di direttive ai dipendenti al fine di assicurare il corretto svolgimento della prestazione lavorativa in nome del buon andamento dell’attività economico-produttiva oltre che per tutelare il patrimonio aziendale.
Alla luce del citato potere direttivo il datore di lavoro ha altresì la possibilità (e la necessità) di:
- verificare che le prestazioni siano eseguite in osservanza delle direttive impartite, delle mansioni assegnate e dei regolamenti interni;
- accertarsi che i beni aziendali siano tutelati contro furti o danneggiamenti.
I controlli possono essere effettuati direttamente dal datore di lavoro ovvero, nelle realtà di maggiori dimensioni, da personale gerarchicamente preposto (capi ufficio, capi reparto e direttori) ovvero attraverso personale di vigilanza se non addirittura ricorrendo ad agenzie investigative esterne.
Al fine di tutelare i dipendenti di fronte al rischio di controlli indiscriminati da parte delle aziende il legislatore ha posto una serie di paletti, contenuti nello Statuto dei lavoratori, approvato con Legge 20 maggio 1970, numero 300, oltre che nella normativa sulla privacy.
La disciplina sui controlli aziendali ha dovuto far fronte, negli ultimi anni, al diffondersi dello smart-working, quale modalità di esecuzione della prestazione lavorativa a distanza.
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