Per disapplicare la disciplina sulle società di comodo, il contribuente deve dimostrare situazioni straordinarie e indipendenti dalla sua volontà che rendono impossibile raggiungere il reddito presunto. Ma come fornire le prove giuste per superare la presunzione di non operatività? Quali possono essere le oggettive situazioni di impedimento rilevanti ai fini della disapplicazione della disciplina? La Cassazione ha fatto chiarezza su questo punto, offrendo spunti cruciali per chi vuole difendere la propria attività imprenditoriale.
Ai fini della disapplicazione della disciplina in tema di società di comodo, la prova contraria, da parte del contribuente, deve risolversi nell’offerta di elementi di fatto consistenti in situazioni oggettive di carattere straordinario, indipendenti dalla volontà del medesimo contribuente, che rendano impossibile conseguire il reddito presunto avuto riguardo alle effettive condizioni del mercato, desumendosi, pertanto, l’erroneità dell’esito del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva.
Il caso: disapplicazione della disciplina delle società di comodo
La Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di disapplicazione della disciplina sulle cosiddette società di comodo, chiarendo in particolare l’onere probatorio a carico del contribuente per superare la presunzione legale posta dalla detta disciplina in caso di mancato superamento del test di operatività.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla contribuente di non essersi adeguata al reddito minimo risultante dall’applicazione del test di operatività di cui all’art. 30 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724 e di non aver presentato l’istanza di interpello disapplicativo.
Conseguentemente, l’Ufficio aveva accertato un maggior reddito d’impresa e un maggior valore della produzione ai fini IRAP, irrogando anch