Le operazioni infragruppo e il transfer pricing interno sono al centro di un importante chiarimento della Corte di Cassazione: la sentenza stabilisce che le transazioni tra società dello stesso gruppo, se effettuate a prezzi diversi da quelli di mercato, non configurano automaticamente un’elusione fiscale. Tuttavia, devono essere giustificate per dimostrare la loro conformità alle logiche di mercato e alle normative fiscali. Questo pronunciamento evidenzia la necessità per le imprese di adottare approcci trasparenti e coerenti nell’ambito delle loro politiche di prezzatura interna, sottolineando l’importanza di valutazioni economiche solide e di una corretta documentazione delle operazioni infragruppo.
Le transazioni tra società infragruppo residenti nel territorio nazionale effettuate ad un prezzo diverso dal “valore normale” non sono indice, di per sé, di una condotta elusiva, in quanto l’alterazione rispetto al prezzo di mercato rappresenta solo uno degli elementi di valutazione dell’operazione, non potendo peraltro applicarsi l’automatismo discendente dal disposto di cui all’art. 110 Tuir in tema di transfer pricing estero.
L’operazione che si pone al di fuori dei prezzi di mercato nell’ambito di una situazione di controllo societario costituisce comunque un’anomalia, che giustifica l’accertamento fiscale, con conseguente onere in capo al contribuente di dimostrare che la stessa anomalia non sussiste.
La Corte di Cassazione ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di cosiddetto transfer pricing interno.
Il caso: il Fisco contesta i valori delle operazioni infragruppo
Nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate, rilevato che per le cessioni ad una società del gruppo la contribuente applicava un prezzo con un ricarico del 4%, inidoneo a remunerare i costi laddove il ricarico a tal fine richiesto sarebbe stato almeno del 10%, accertava maggior IRPEF e IRAP relativamente all’anno d’imposta 1999, sul presupposto di un “gonfiamento” degli utili della consorella “meridionale”, assoggettata a regime fiscale agevolato.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, osservando che l’Amministrazione non aveva dimostrato quanto asserito, con sentenza poi confermata anche in secondo grado, laddove la CTR osservava che il