Omessa svalutazione dei crediti inesigibili: per motivare una condanna di falso in bilancio serve una motivazione analitica sul caso concreto di valutazione dei crediti, non basta che la stima sia stata semplicemente sbagliata.
Una recente sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione interviene su un caso abbastanza frequente, laddove si punta il dito sulla responsabilità degli amministratori in caso di bilanci con poste mendaci: il caso di omessa svalutazione dei crediti tale da portare ad un bilancio falso.
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La svalutazione dei crediti in bilancio
In base all’articolo 2426 comma 1 n. 8) i crediti sono rilevati in bilancio tenendo conto del fattore temporale e del valore di presumibile realizzo.
Il principio contabile OIC 15
L’indicazione, da sempre, non è mai stata ritenuta esaustiva, sicché per una corretta esposizione dei crediti occorre rifarsi al principio contabile OIC15, che invece detta specifici criteri abbastanza esaurienti.
La valutazione dei crediti sulla scorta di tale principio lascia davvero poco spazio alla iscrizione di crediti datati (già) almeno un anno. In presenza di tali fattispecie, il redattore del bilancio deve infatti indicare in Nota Integrativa i motivi per cui ritiene (eventualmente) di non dover svalutarli, o quelli per cui ha applicato una determinata percentuale di svalutazione.
Sulle conseguenze di una stima errata dei crediti si è pronunciata recentemente la Corte di Cassazione (sentenza n. 1148/2024).
Il caso di Cassazione sull’omessa svalutazione dei crediti in bilancio
Il caso è quello, abbastanza classico purtroppo, di due amministratori ritenuti responsabili per avere concorso a cagionare il dissesto della loro società occultando l’entità della perdita attraverso, in particolare, una rappresentazione in bilancio non veritiera dei crediti, che venivano riportati nel loro intero valore nominale, sebbene nei fatti fossero tutti inesigibili.
Il bilancio, ricorda la sentenza, è un atto caratterizzato da profili sia descrittivi sia valutativi, per entrambi i quali aspetti la Giurisprudenza a Sezioni unite dal 2016 ha confermato la configurabilità dell’ipotesi di falsità.
Proprio sulla base di questo assunto, la Corte territoriale ha ritenuto falsa l’indicazione del valore esposto in ragione del tempo medio d’incasso progressivamente crescente e dalla successiva mancata riscossione.
Per i giudici di legittimità, invece, il fatto che la stima sia stata fallace non significa che sia stata anche falsa.
La possibilità di applicare i criteri di veridicità o di falsità ad un enunciato valutativo dipende non solo dall’esistenza di criteri di valutazione generalmente accettati, ma anche dal loro grado di specificità e di elasticità.
Il principio contabile OIC15, secondo la Corte, non individua criteri certi e analitici alla luce dei quali determinare il valore, ma rimanda ad un generale criterio di “ragionevolezza”, senza che nessun ulteriore contributo venga offerto né dalle successive formulazioni del principio (nonostante si individuino alcuni “indicatori” dai quali desumere la “probabilità” che un credito abbia perso valore), né dai principi contabili internazionali (IAS 39), né nella normativa fiscale del TUIR.
Proprio a causa di tale elasticità nell’applicazione di questo criterio, la semplice indicazione della assenza di tentativi di recupero e del tempo medio d’incasso progressivamente crescente non appare elemento sufficiente per sostanziare il giudizio di falsità: è invece necessario indicare gli eventuali criteri di valutazione ritenuti applicabili e rilevanti (alla luce della situazione concreta), specificando, poi, in che modo l’omissione di questi ultimi abbia concretamente inciso sulla determinazione del valore.
In sostanza, l’affermazione delle Sezioni Unita va nel senso di una pecca nel percorso argomentativo della corte territoriale che nella affermazione che una omissione di svalutazione non configuri falsità.
Danilo Sciuto
Mercoledì 17 Gennaio 2024