Continuiamo a segnalare alcune proposte per migliorare ulteriormente e rendere più equa la riforma della Giustizia tributaria entrata in vigore da pochi mesi.
Le nostre proposte riguardano anche la possibilità di decisione per equità e la possibilità di utilizzo delle prove acquisite illegittimamente.
Giustizia Tributaria: proposta di modifiche alla riforma
Terminiamo la serie delle nostre proposte di miglioramento della recente riforma della giustizia tributaria.
I) Possibilità di prevedere la sospensione del ruolo o del processo nelle controversie relative alla contestazione dei cd. “costi da reato”
Tra gli ulteriori interventi riformatori auspicabili vi sarebbe anche la necessità di prevedere la sospensione del ruolo o del processo tributario nelle controversie relative alla contestazione dei cd. costi da reato, in attesa che vi sia una sentenza penale passata in giudicato.
In altri termini, risulta assolutamente necessario un intervento normativo chiarificatore in tema di rapporto tra processo tributario e processo penale, nelle ipotesi di deducibilità dei costi da reato.
Sul punto giova brevemente rammentare che la disciplina fiscale dei c.d. costi da reato è prevista all’art. 14, comma 4-bis, della, L. 24 dicembre 1993, n. 537 (come sostituito dall’art. 8, comma 1, D.L. n. 16/12, come modificato dall’allegato alla legge di conversione L. n. 44/2012 con decorrenza dal 29.04.2012), che sancisce l’indeducibilità, ai fini della determinazione dei redditi, di costi e spese dei beni o delle prestazioni di servizio “direttamente utilizzati” per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale:
- il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale
- o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 codice procedura civile, ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 codice procedura civile fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale.
Occorre rilevare che la seconda parte del citato art. 14, comma 4-bis, prevede espressamente che:
«Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi».
In altri termini, è lo stesso legislatore che ha disposto che, in ambito fiscale, i c.d. costi da reato (ritenuti indeducibili in quanto direttamente utilizzati per il compimento di delitto non colposo) debbano comunque essere versati (nonostante non vi sia una sentenza penale irrevocabile che accerti il reato), cui consegue il diritto al rimborso delle maggiori imposte, solo qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi.
Di frequente, infatti, si verificano situazioni in cui nelle more del processo penale vengano versate maggiori imposte in relazione alla contestata indeducibilità dei costi da reato, già prima che venga emessa una sentenza definitiva.
Ne consegue che in caso di sentenza penale di:
- assoluzione, ai sensi dell’art. 530 del codice di procedura penale;
- non luogo a procedere, ai sensi dell’art. 425 del codice di procedura penale, fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla prescrizione del reato;
- non doversi procedere, ai sensi dell’art. 529 del codice di procedura penale;
spesso il contribuente è tenuto poi a svolgere tutte le incombenze necessarie legate alla necessità di inoltrare un’eventuale istanza di rimborso, senza considerare, poi, l’enorme danno economico e imprenditoriale subìto durante la pendenza del giudizio.
Ma non solo.
È evidente, infatti, che spesso le indagini penali, facciano ingresso nel processo tributario, condizionandone l’andamento, senza che vi sia certezza della colpevolezza dell’imputato.
Per tale ragione, nel solco di un momento storico fortemente condizionato dalla riforma del processo tributario, sarebbe auspicabile una previsione normativa finalizzata a consentire, nelle more di un processo penale, la sospensione del ruolo o del processo tributario nelle controversie relative alla contestazione dei cd. costi da reato, in attesa che vi sia una sentenza penale passata in giudicato.
II) Possibilità di consentire al nuovo giudice tributario monocratico di decidere secondo equità
La legge dovrebbe, altresì, consentire al nuovo giudice tributario monocratico di decidere secondo equità quando si tratta di questioni di merito, anche senza l’accordo delle parti ex art. 113 codice procedura civile (come previsto per il giudice di pace, ai sensi dell’art. 103, comma 2, codice procedura civile).
Oggi, infatti, nel processo tributario, anche riformato, non è previsto il giudizio di equità.
È ben vero che il giudice tributario non è dotato di poteri di equità sostitutiva, dovendo fondare la propria decisione su giudizi estimativi in relazione alla documentazione acquisite al processo, di cui deve dar conto in motivazione in rapporto al materiale istruttorio (Cassazione n. 10875 del 2022; Cass. n. 16960 del 2019; Cass. n. 7354 del 2018), tuttavia, la praticata riduzione dell’imponibile non rientra nell’esercizio di equità sostitutiva, la quale attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia, perché si tratta di una valutazione del compendio probatorio e del fatto, frutto di un consentito giudizio estimativo (Cass. n. 4442 del 2010; Cass. n. 25707 del 2015; Cass. – Sez. Trib – ordinanza n. 6251/2023).
III) Inutilizzabilità delle prove acquisite in modo illegittimo
Sempre al fine di consentire un rafforzamento del principio di legalità del prelievo tributario e del principio di imparzialità della pubblica amministrazione, nel nuovo processo tributario le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non dovrebbero essere utilizzate, soprattutto in considerazione del nuovo principio dell’onere della prova finalmente formalizzato con la Legge n. 130/2022.
Sul punto, occorre chiarire che, solo con l’entrata in vigore della L. n. 130/2022, il legislatore è intervenuto in tema di riparto dell’onere probatorio in materia tributaria, aggiungendo il comma 5-bis all’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992.
La novella legislativa non solo ristabilisce le regole tradizionali in tema di onere probatorio, ma istituisce, altresì, un maggiore rigore sia nell’individuazione delle prove da parte dell’Amministrazione finanziaria che nella valutazione delle stesse da parte del giudice tributario.
Specificamente, il nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D. Lgs. n. 546/1992, (sganciandosi per la prima volta dalla necessarietà di fornire la prova del diritto da far valere in giudizio di cui all’art. 2697 cc), tanto dispone:
“L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
Orbene, analizzando il testo normativo, la disposizione sembra potersi “scomporre” in due parti:
- il primo periodo, relativo all’onere della prova sugli atti impositivi, dispone che l’Amministrazione è tenuta a provare i presupposti di fatto e di diritto della propria pretesa erariale.
In altre parole, il Fisco deve fornire la prova dell’esistenza dell’an e del quantum dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, vale a dire delle violazioni contestate con l’atto impugnato.
È pacifico che la circostanza per cui l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa tributaria grava sull’ente impositore dipende dalla posizione che quest’ultimo ricopre nel processo, ossia dalla sua posizione di creditore nonché di attore sostanziale.
Spetta, invece, al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati;
- il secondo periodo, invece, è relativo al potere di annullamento del giudice tributario e ai presupposti in tema di valutazione delle prove.
Più nel dettaglio, il secondo periodo della novella legislativa individua i criteri di valutazione rimessi al giudice tributario nell’adozione della propria decisione nonché i presupposti per l’annullamento dell’atto tributario, prevedendo, specificamente, che il giudice debba fondare la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio, nonché annullare l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Peraltro, ai sensi del nuovo comma 5-bis dell’art. 7 D. Lgs. n. 546/1992, in caso di mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Amministrazione finanziaria, il giudice non può acquisire d’ufficio le prove.
In altri termini, il giudice non può supplire alla mancanza di fondatezza o ad una prova insufficiente o contraddittoria, ma, in tale circostanza, ha il dovere di annullare l’atto impositivo.
La nuova disposizione normativa richiede, quindi, una capacità dimostrativa della pretesa, con la conseguente limitazione dei poteri discrezionali del giudice nella sua valutazione.
Infatti, il nuovo comma 5-bis cit. chiarisce che il dovere del giudice di esprimere il suo “prudente apprezzamento”, ex art. 116 codice procedura civile, deve essere basato sulla verifica della sussistenza di una prova specifica, puntuale e circostanziata dei fatti contestati.
Laddove tale prova manchi, allora il giudice dovrà annullare l’atto impositivo.
Più nello specifico, il giudice ha l’obbligo di dichiarare la nullità dell’atto impugnato qualora la prova della sua fondatezza sia:
- mancante;
- contraddittoria;
- insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Ne consegue che, la novità legislativa di cui al comma 5-bis cit., induce il giudice ad apprezzare con particolare rigore tali indizi, disattendendo la pretesa quando, anche alla luce delle difese del contribuente, essi appaiano inidonei a integrare, seppur presuntivamente, le “ragioni oggettive” della contestazione.
Tirando le somme di quanto fin qui esposto, non può non rilevarsi che le novità in materia di onere probatorio introdotte con la L. n. 130/2022 hanno permesso di riequilibrare, quantomeno parzialmente, il rapporto tra fisco e contribuente.
L’obiettivo dell’intervento normativo sembra convergere, infatti, verso un unico concetto di onere della prova, in base al quale chi “contesta deve provarne la fondatezza”; pertanto:
- in caso di accertamento, l’Amministrazione dovrà provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato; così come, del pari, spetterà al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso (quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati);
- al contempo, il giudice dovrà annullare l’atto impugnato, se la prova della sua fondatezza è mancante, contraddittoria o insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Di conseguenza, proprio in ragione di questo epocale “cambio di rotta” in tema di onere della prova, si rende necessaria, altresì, l’introduzione di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite (vale a dire, in violazione dei divieti stabiliti dalla legge) nel corso delle controversie tributarie.
Com’è noto, infatti, la Corte di Cassazione – Sez. Trib. – ha chiarito più volte che non esiste nell’ordinamento tributario un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, sicché:
“l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso” (Cass. n. 8344/2001; conf. Cass. n. 13005/2001, n. 1343/2002 e n. 1383/2002, n. 1543/2003 e n. 10442/2003).
E tanto anche con riferimento all’attività della Guardia di Finanza che, cooperando con gli uffici finanziari, procede spesso a ispezioni, verifiche, ricerche e acquisizione di notizie, non osservando la disciplina processual – penalistica, avendo carattere amministrativo – con conseguente inapplicabilità dell’articolo 24 Cost. (Cass. – Sez. Trib. – sentenza n. 8001/2023).
Pertanto, al fine di consentire un rafforzamento del principio di legalità del prelievo tributario e del principio di imparzialità della pubblica amministrazione, nel nuovo processo tributario, si ritiene che le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non debbano trovare ingresso nella fase istruttoria.
IV) Ulteriore riforma della sezione tributaria della Corte di Cassazione
Altra riflessione merita la questione relativa all’introduzione, operata dall’articolo 3 della L. 130/2022, presso la Cassazione di una sezione civile specifica per la trattazione delle sole controversie in materia tributaria.
La predetta norma, rubricata “Misure per la definizione del contenzioso tributario pendente presso la Corte di Cassazione”, infatti, prevede che:
“1. Presso la Corte di cassazione è istituita una sezione civile incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie in materia tributaria.
2. Il primo presidente adotta provvedimenti organizzativi adeguati al fine di stabilizzare gli orientamenti di legittimità e di agevolare la rapida definizione dei procedimenti pendenti presso la Corte di cassazione in materia tributaria, favorendo l’acquisizione di una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati alla sezione civile di cui al comma 1.”
Inoltre, occorre chiarire che in sede di riforma, salva la competenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione relativamente alle sole questioni di giurisdizione, la Sezione Tributaria deve giudicare le impugnazioni delle sentenze delle Corti di giustizia tributaria di secondo grado.
Essa deve essere composta da trentacinque giudici, ripartiti in cinque sotto-sezioni, in ragione delle seguenti materie:
- Imposte sui redditi;
- IVA;
- altri tributi;
- riscossione;
- rimborsi.
Il presidente della Sezione Tributaria è anche presidente della prima sottosezione.
Le altre sottosezioni sono presiedute da uno dei loro componenti.
I collegi sono composti dal numero fisso di tre membri.
I giudizi si svolgono esclusivamente con rito camerale.
Tuttavia, giova rilevare che, in tema di pendenze tributarie riferibili alle controversie in Cassazione, i dati statistici, riportati nella Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2022, pubblicata in data 26 gennaio 2023, mostrano che per la Corte di cassazione, i cui carichi di lavoro hanno registrato, quanto a sopravvenienze, significativi incrementi, c’è stata una diminuzione delle pendenze correlata, oltre ad un obbiettivo aumento della produttività della Sezione, anche alla conclusione delle procedure di definizione agevolata avviate in forza del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, e successive modifiche, e della legge 4 ottobre 2019, n. 118.
Al 31 dicembre 2022, infatti, le pendenze della Corte di cassazione in materia tributaria constano di 44.935 procedimenti, con un ulteriore decremento, rispetto al 30 giugno 2022, del 1,6%. Inoltre, per quanto riguarda la Corte di cassazione il valore complessivo delle controversie iscritte registra una progressiva diminuzione dal 2020 al giugno 2022, come pure è in calo, nella misura del 10% annuo circa, quello dei ricorsi pendenti; correlativamente si registra la crescita di quello dei giudizi definiti.
Pertanto, pur prendendo atto di un trend di miglioramento nella gestione dei procedimenti tributari rispetto al passato, grazie all’efficace attività di smaltimento dell’arretrato dei contenziosi in materia tributaria, specialmente quelli più risalenti e, all’effetto dei regimi premiali di definizione delle liti, la Relazione evidenzia l’esigenza di interventi finalizzati alla riduzione dei tempi di decisione dei procedimenti, in linea con quanto richiesto peraltro dal PNRR.
Difatti, nel PNRR il Governo si è posto l’obiettivo di intervenire sulla giustizia tributaria per ridurre il numero di ricorsi alla Corte di Cassazione e consentire una loro trattazione più spedita.
Tale obiettivo di deflazionare il contenzioso tributario in Cassazione deve essere realizzato rafforzando le dotazioni di personale e intervenendo, mediante adeguati incentivi economici, sul personale ausiliario.
Per ridurre la durata del procedimento di cassazione, sono state così avviate nuove azioni per l’incremento del numero dei consiglieri, nonché l’istituzione dell’Ufficio per il processo (ossia una struttura di staff destinata a sostenere i magistrati nello svolgimento delle diverse fasi dell’attività giurisdizionale e a migliorare il coordinamento fra tale attività e quelle proprie delle cancellerie).
Esse si affiancano alle misure già adottate, tra cui l’assunzione (come ausiliari) di magistrati in pensione e l’applicazione alla Sezione tributaria di magistrati dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo.
Si rileva che, l’art. 3, al comma 2, prevedendo che la sezione civile della Cassazione incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie in materia tributaria, sia costituita solo da magistrati ordinari, denota la sussistenza del c.d. tetto di cristallo per i nuovi speciali magistrati tributari che non possono far parte della suddetta Sezione tributaria della Corte di Cassazione.
In tal senso, si auspica un intervento riformatore del legislatore de iure condendo che consenta l’inserimento in tali sezioni anche dei magistrati tributari, secondo una visione costituzionalmente orientata di tale composizione, atteso che lo stesso art. 102, comma 2 della Costituzione, in riferimento alle sezioni specializzate istituite presso gli organi giudiziari, contempla che possano istituirsi “[…] anche con la partecipazione dei cittadini idonei estranei alla magistratura”.
Per tale ragione, dato che la Costituzione permette la formazione delle sezioni specializzate anche con i cittadini idonei, a maggior ragione, il legislatore, con un intervento modificatore dovrebbe prevedere l’inserimento, nella sezione civile tributaria della Cassazione, anche dei magistrati tributari.
V) Consigli giudiziari
Sarebbe opportuna e auspicabile anche l’istituzione di eventuali Consigli giudiziari presso le Corti di giustizia tributaria di secondo grado, da intendersi quali organi “ausiliari” del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (C.P.G.T.).
Essi, cioè, su numerose materie e provvedimenti di competenza del C.P.G.T., potrebbero redigere pareri motivati, fornendo elementi fondamentali per il corretto esercizio dei poteri del C.P.G.T. stesso, poiché tali organi hanno una conoscenza diretta del magistrato, del giudice tributario o dell’ufficio interessato.
I principali ambiti su cui esprimere i pareri sono:
- le tabelle di composizione degli organi giudiziari (cioè i criteri di assegnazione dei magistrati e giudici tributari alle sezioni e dei procedimenti ai singoli magistrati e giudici tributari);
- le valutazioni di professionalità dei magistrati e dei giudici tributari;
- il trattenimento in servizio o la cessazione dall’impiego dei magistrati e dei giudici tributari;
- l’incompatibilità dei magistrati e dei giudici tributari;
- gli incarichi extragiudiziari dei magistrati e dei giudici tributari;
- il passaggio di funzioni dei magistrati e dei giudici tributari;
- le attitudini al conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi.
Infine, i Consigli giudiziari sarebbero, al contempo, idonei a vigilare sul corretto funzionamento degli uffici del distretto, segnalando eventuali disfunzioni al C.P.G.T. ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
VI) Termini perentori per tutte le parti del giudizio
Nell’ambito di una radicale riforma, come quella in corso, la normativa processuale dovrebbe prevedere tassativamente anche dei termini perentori per tutte le parti in causa (private e pubbliche), sia per la costituzione in giudizio sia per il deposito dei documenti.
A tale scopo, per quanto riguarda il deposito dei documenti, giova ribadire quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4433/2020:
“Nell’ambito del processo tributario, il Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 58, fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’articolo 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dal citato D.Lgs., articolo 61, alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dallo stesso decreto, articolo 32, comma 1, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’articolo 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice anche nel caso di rinvio meramente interlocutorio dell’udienza o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva” (Cass. n. 29087 del 2018).
E ancora:
“Nel processo tributario, poiché il Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 58, consente la produzione in appello di qualsiasi documento, la stessa può essere effettuata anche dalla parte rimasta contumace in primo grado, poiché il divieto posto dall’articolo 57 del detto decreto riguarda unicamente le eccezioni in senso stretto (Cass. n. 29568 del 2018)”.
VII) Previsione di ulteriori sezioni staccate delle CGT di secondo grado sempre presso i distretti delle attuali corti di appello
Nella ridefinizione dell’assetto territoriale delle Corti di giustizia tributaria di secondo grado, sarebbe opportuno prevedere anche l’istituzione di sezioni staccate presso i distretti delle attuali Corti di Appello, tenuto conto dell’importanza giudiziaria delle stesse, anche con riferimento al territorio.
VIII) Necessità di inserimento di avvocati e commercialisti nella commissione di concorso
Com’è noto, la legge di riforma della giustizia tributaria ha previsto che la nomina di nuovi magistrati tributari debba essere conseguita mediante un concorso pubblico per esami (cfr. art. 1, co. 1, lett. e), L. 130/2022).
A tale scopo, l’art. 4 quater, D.lgs 545/92, rubricato “Commissione di concorso” prevede che la commissione debba essere composta:
- dal presidente di una corte di giustizia tributaria di secondo grado, che la presiede;
- da cinque magistrati scelti tra magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari con almeno quindici anni di anzianità;
- da quattro professori universitari di ruolo, di cui uno titolare dell’insegnamento di diritto tributario, gli altri titolari di uno degli insegnamenti delle altre materie oggetto di esame.
Ne consegue la mancata presenza dei professionisti del settore, peraltro, senza giustificato motivo.
Sarebbe, pertanto, opportuno che nella commissione siano presenti anche un avvocato tributarista cassazionista e un dottore commercialista, entrambi iscritti ai relativi albi professionali da almeno trent’anni.
La loro presenza si rende, infatti, necessaria per testare la preparazione teorico-pratica dei futuri magistrati tributari.
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A cura di Avv. Maurizio Villani
Sabato 8 luglio 2023