Società di fatto: le ultime dalla Cassazione

Nella fase di crisi d’impresa a volte ci si imbatte nella cosiddetta società di fatto, cioè la società non registrata ufficialmente come tale.
Quando si riscontra l’esistenza di una società di fatto? Quali sono le prove ammissibili in tribunale?

Società di fatto: la sentenza della Cassazione Sez. I, n. 4385 del 13 febbraio 2023

società di fattoCome è noto non esiste nel codice civile una definizione di società di fatto, che viene formulata di fatto dalla giurisprudenza, che ogni volta che è chiamata ad occuparsene fornisce sempre nuovi spunti di interesse, partendo comunque da alcuni capisaldi ormai acclarati:

  • deve avere uno scopo lucrativo;
  • trovare la sua causa nello svolgimento di un’attività economica;
  • caratterizzarsi per la disponibilità di risorse economiche materiali ed immateriali apportate dai soci occulti.

L’esistenza della società di fatto deve essere provata almeno in relazione a tutti gli elementi necessari a configurare la sussistenza di una società, cioè il fondo comune, l’attività comune, la partecipazione agli utili e alle perdite (c.d. affectio societatis), il vincolo di collaborazione tra i soci.

E’, altresì, possibile desumere l’esistenza del rapporto sociale dai comportamenti tenuti nei confronti dei terzi da ciascuno dei soci nell’esercizio collettivo dell’impresa.

Nei rapporti esterni, l’esistenza del vincolo sociale può desumersi dalla sua mera esteriorizzazione.

I criteri di identificazione della società di fatto, onde verificare l’esistenza dei presupposti per l’applicazione di norme impositive, concernono sia il requisito dell’apparenza del vincolo sociale nei confronti dei terzi, quale indice rivelatore della reale esistenza di tale società, sia l’effettiva esistenza degli elementi costitutivi di tale vincolo.

 

La prova dell’esistenza della società di fatto

In ipotesi di fallimento dell’imprenditore che eserciti l’attività d’impresa in forma apparentemente individuale, per la dichiarazione del fallimento in estensione della società di fatto occulta, costituita con i suoi familiari, è indispensabile la prova del rapporto sociale, ai fini della quale le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell’imprenditore possono costituire indici rivelatori sempreché, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto, siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno del garante o finanziatore all’attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali.

È questo sostanzialmente il principio affermato dalla prima sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4385 del 13 febbraio 2023.

 

I principi espressi dalla giurisprudenza di Cassazione

Evidenziami i principi espressi che fanno da guida nella declinazione delle società di fatto:

  • la giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cassazione n. 19234 del 2020):

    “è ormai consolidata nell’opinare che l’esistenza di una società di fatto, nel rapporto fra i soci, postula la dimostrazione, eventualmente anche con prove orali o presunzioni, del patto sociale e dei suoi elementi costitutivi (fondo comune, esercizio in comune di attività economica, ripartizione dei guadagni e delle perdite, vincolo di collaborazione in vista di detta attività).

    In altri termini, la mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validità) non impedisce al giudice del merito l’accertamento aliunde, mediante ogni mezzo di prova previsto dall’ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell’esistenza di una struttura societaria, all’esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attività economica, l’alea comune dei guadagni e delle perdite e l’affectio societatis, cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 33230 del 2019; Cass. n. 8981 del 2016; Cass. n. 5961 del 2010)”;

     

  • il convincimento sulla ricorrenza di una società di fatto fra l’imprenditore e chi lo collabora nell’attività d’impresa può basarsi:

    “su ogni circostanza concreta qualificabile come collaborazione del socio al raggiungimento degli scopi sociali.

    Invero, la società di fatto, ancorché non esistente nei rapporti fra i soci, può apparire esistente di fronte a terzi, quando due o più persone operino nel mondo esterno in guisa da ingenerare l’opinione che esse agiscano come soci, in modo che i terzi, trattando con loro, siano indotti a fare legittimo affidamento sull’esistenza della società.

    In tale ipotesi, soccorre la tutela della buona fede dei terzi, per il principio dell’apparenza del diritto, in virtù del quale, nonostante l’inesistenza dell’ente, coloro che si comportino esteriormente come soci vengono ad assumere in solido obbligazioni come se la società esistesse”;
     

  • la pronuncia della Cassazione n. 8981 del 2016 ha puntualizzato che:

    è sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell’art. 2297 cod. civ., l’esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l’idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza della società; mentre Cass. n. 33230 del 2019 ha ribadito che, in tema di società di fatto tra consanguinei, la prova della esteriorizzazione del vincolo societario deve essere rigorosa, occorrendo che essa si basi su elementi e circostanze concludenti, tali da escludere che l’intervento del familiare possa essere motivato dalla affectio familiaris e deporre, invece, nel senso di una sua compartecipazione all’attività commerciale (cfr. Cass. n. 15543 del 2013; Cass. n. 3163 del 1999)”;
     

  • un risalente, ma non per questo meno autorevole, pronuncia di legittimità (Cassazione n. 7119 del 1982), poi, ha chiarito:

    “la natura dei fatti e delle prove che, in tali accertamenti, si rivelano particolarmente utili, enunciando il principio secondo cui, al fine della dichiarazione di fallimento di una società di fatto, la sussistenza del contratto sociale può risultare, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti (affectio societatis, costituzione di un fondo comune, partecipazione agli utili ed alle perdite), pure da manifestazioni esteriori della attività del gruppo, quando, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino l’esistenza della società anche nei rapporti interni (cfr., in senso sostanzialmente conforme, anche Cass. n. 6422 del 1984; Cass. n. 3398 del 1985; Cass. n. 6087 del 1986; Cass. n. 5403 del 1988; Cass. n. 2985 del 1994; Cass. n. 4187 del 1997; Cass. n. 7624 del 1997; Cass. n. 4529 del 2008; Cass. n. 27541 del 2019)”; la pronuncia n. 7119 del 1982 ha poi proseguito affermando che “finanziamenti e fideiussioni in favore dell’imprenditore, se non sono di per sé idonei ad evidenziare il rapporto sociale fra quest’ultimo ed il finanziatore o garante, specie se giustificabili in relazione a vincoli di coniugio o parentela, possono costituire, pure in tal caso, indici rivelatori del rapporto stesso, qualora, alla stregua della loro sistematicità e di ogni altra circostanza del caso concreto, siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività dell’impresa, qualificabile come collaborazione del socio al raggiungimento degli scopi sociali”;
     

  • nel caso di specie va rimarcato, peraltro,…

    …“che le garanzie de quibus, così come gli apporti finanziari forniti dalla medesima controricorrente, sono state prestate non già in favore del di lei marito ( ), ma unitamente a questi ed in favore del cognato ( ) o, al più, della società di fatto almeno tra questi due già definitivamente accertata, così da rendere quanto mai problematico ritenere, soprattutto – giova ripeterlo – in ragione della loro sistematicità (perché protrattisi per svariati anni), numero ed entità complessiva, che tali operazioni (come, invece, opinato dalla corte di appello) potessero spiegarsi sulla base della mera affectio familiaris, piuttosto che come chiara collaborazione attuatasi tra i componenti di quel gruppo familiare per il raggiungimento degli scopi sociali, così integrando, in via tacita, un contratto sociale tra gli stessi, non necessariamente frutto di uguali posizioni nell’ambito dell’organizzazione societaria, quale si è effettivamente organizzata”;
     

  • a tanto deve pure aggiungersi una prova testimoniale volta a dimostrare proprio la sussistenza di quell’affectio societatis tra i fratelli.

    “Secondo la qui condivisa giurisprudenza di legittimità, cui, dunque, va data continuità, la specificazione dei fatti oggetto di richiesta di prova testimoniale è soddisfatta quando, sebbene non definiti in tutti i loro minuti dettagli, essi vengano esposti (come avvenuto nel caso di specie) nei loro elementi essenziali per consentire al giudice di controllarne l’influenza e la pertinenza e mettere in grado l’altra parte di proporre istanza di prova contraria, giacché la verifica della specificità e della rilevanza dei capitoli va condotta non soltanto alla stregua della loro letterale formulazione, ma anche in relazione agli altri atti di causa ed a tutte le deduzioni delle parti, nonché tenendo conto della facoltà del giudice di domandare ex art. 253 comma 1, cod. proc. civ., chiarimenti e precisazioni ai testi (cfr. Cass. n. 22254 del 2021; Cass. n. 2149 del 2021; Cass. n. 17981 del 2020; Cass. n. 11765 del 2019; Cass. n. 12642 del 2003; Cass. n. 10371 del 1995; Cass. n. 3716 del 1983; Cass. n. 4143 del 1981; Cass. n. 5784 del 1979; Cass. n. 3685 del 1979; Cass. n. 1330 del 1979; Cass. n. 2071 del 1978)”;
     

  • la prova del coinvolgimento personale di un soggetto nello svolgimento di un’attività economica, soprattutto se protrattosi nel corso degli anni,

    “deve riguardare proprio l’attività dal medesimo continuativamente esercitata, senza necessità, quindi, di specifici riferimenti temporali riguardanti singoli episodi”;
     

  • la disposizione dell’art. 244 codice procedura civile sulla necessità di un’indicazione specifica dei fatti da provare per testimoni non va intesa in modo rigorosamente formalistico,…

    “ma in relazione all’oggetto della prova, cosicché, qualora questa riguardi – come nella specie – un comportamento o un’attività che si frazioni in circostanze molteplici non elencate in modo puntuale, è sufficiente la precisazione della natura di detto comportamento o di detta attività (fermo restando che nell’interpretazione del significato e della portata delle deduzioni probatorie occorre tenere presente la loro finalità, in relazione alla concreta materia del contendere), in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova, attraverso la deduzione e l’accertamento di attività o comportamenti di carattere diverso, spettando, peraltro, al difensore ed al giudice, durante l’esperimento del mezzo istruttorio, una volta che i fatti siano stati indicati nei loro estremi essenziali, l’eventuale individuazione dei dettagli (cfr. Cass. n. 11844 del 2006; Cass. n. 5842 del 2002; Cass. n. 10371 del 1995; Cass. n. 4426 del 1995)”;
     

  • se è vero che:

    “il giudizio sulla superfluità o genericità della prova testimoniale (qui, peraltro, del tutto omesso dalla corte distrettuale) è insindacabile in Cassazione, involgendo una valutazione di fatto che può essere censurata soltanto se basata su erronei principi giuridici, ovvero su incongruenze di ordine logico (cfr. Cass. n. 34189 del 2022; Cass. n. 18222 del 2004), è parimenti innegabile che la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza se – come nella specie – il giudice trae conseguenze dalla mancata osservanza dell’onere sancito all’art. 2697 cod. civ., benché la parte abbia offerto di adempierlo (cfr. Cass. n. 18285 del 2021; Cass. n. 2904 del 2021; Cass. n. 8466 del 2020; Cass. n. 24205 del 2019; Cass. n. 8357 del 2005; Cass. n. 11491 del 1992; Cass. n. 5915 del 1981; Cass. n. 1627 del 1979; Cass. n. 2867 del 1975; Cass. n. 789 del 1963)”.

 

NdR: Potrebbe interessarti anche…

La società di fatto tra professionisti, ai fini fiscali, può essere dedotta anche dall’esistenza di indici presuntivi?

La SRL che partecipa ad una società di fatto fallisce insieme alla partecipata

 

A cura di Gianfranco Antico

Lunedì 22 maggio 2023