La posizione assunta dall’Agenzia delle entrate, relativamente all’irrogazione della sanzione in misura proporzionale, è tuttavia incompatibile con le conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza comunitaria.
Errata applicazione IVA: perimetro applicativo della normativa
La disciplina sanzionatoria in caso di errata applicazione dell’IVA nelle fatture emesse dal cedente/prestatore è contenuta nell’art. 6, comma 6, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in base al quale:
“…Chi computa illegittimamente in detrazione l'imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al novanta per cento dell'ammontare della detrazione compiuta..”.
Il legislatore prosegue specificando che:
“…In caso di applicazione dell'imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, l'anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.
La restituzione dell'imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale…”.
Tra gli operatori è emerso il dubbio se il cessionario/committente abbia diritto alla detrazione dell'IVA erroneamente corrisposta, ed all’applicazione della sanzione amministrativa in misura fissa, non solo nel caso di applicazione dell’Iva in misura maggiore rispetto a quella effettiva, ma anche relativamente ad un’operazione non imponibile, esenti o non soggetta ad imposta.
La tematica è stata ampiamente trattata dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 03.11.2020, n. 24289 (cui ha aderito successivamente la stessa Corte di Cassazione, Sentenza 21.4.2021, n. 10439) che ha esaminato le questioni attinenti alla detraibilità dell’IVA er