Controllo pubblico congiunto previsto dal Tuspp

Il tema del controllo pubblico nelle società partecipate è sempre molto sentito: una recente sentenza del TAR Emilia Romagna evidenzia che la semplice somma delle partecipazioni (da sola) non può dare luogo ad un controllo congiunto.

Controllo congiunto previsto dal TUSPP – Argomenti trattati:

  1. La sentenza del TAR Emilia-Romagna del 2023
  2. La prassi del MEF sulla nozione di controllo pubblico
  3. Un po’ di giurisprudenza amministrativa
  4. E un po’ di giurisprudenza contabile
  5. La definizione di controllo
  6. Esiste un orientamento di senso contrario!

 

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controllo pubblico congiunto tusppLa sentenza del TAR Emilia-Romagna sez. I n. 299/2022 del 25/01/2023 affronta il tema della definizione del controllo congiunto previsto dal Tuspp (d.lgs. n. 175/2016), confermando il proprio precedente orientamento e consolidando la tesi interpretativa affermata dai Giudici amministrativi, secondo la quale la semplice somma delle partecipazioni (da sola) non può dare luogo ad un controllo congiunto.

 

La sentenza del TAR Emilia Romagna sul controllo congiunto previsto dal TUSPP

Il Tar Emilia-Romagna viene chiamato ad esprimersi dall’AGCM (Autorità Garante Concorrenza del Mercato) che, ai sensi dell’art. 21 bis della legge 190/1990, impugna le due delibere dell’ente locale aventi ad oggetto l’approvazione del Piano di razionalizzazione periodica 2020 e 2021 relative alle partecipazioni detenute rispettivamente al 31/12/2019 e 31/12/2020, lamentando che erra l’ente locale a non considerare la propria partecipata indiretta X una società a controllo pubblico congiunto e, di conseguenza, a non inserire le controllate di quest’ultima – e segnatamente Y (che organizza fiere e gestisce i quartieri fieristici) e la sua controllata Z (attiva nel settore degli allestimenti fieristici nel perimetro) nel proprio piano di razionalizzazione periodica delle partecipazioni societarie.

Il Giudice felsineo conferma che la controversia va decisa negli stessi termini dei precedenti conformi (art. 74 c.p.a.) con cui il medesimo Tribunale adito (sentenze Sez. I, 28 dicembre 2020, n. 858 e Sez. I, 9 marzo 2022, n. 25), ha respinto precedenti impugnative proposte dalla parte ricorrente in relazione ad analoghe questioni, evidenziando l’infondatezza dell’ipotesi, sostenuta dall’AGCM, di “controllo pubblico congiunto” da parte dell’ente locale e degli altri due soci enti pubblici, sulla società X e quindi, indirettamente, sulle società Y, e Z.

Va ricordato che, in precedenza nelle sentenze citate, il medesimo Giudice adito aveva privilegiato un’interpretazione della norma aderente al tenore letterale della stessa (art. 2 comma 1 lett. b) ed m) del D.lgs. 175/2016) in base alla quale ha sostenuto che, nel caso di una pluralità di soci, detentori di partecipazioni minoritarie che se sommate determinino una partecipazione di maggioranza, si potrà configurare un controllo pubblico congiunto solo ed esclusivamente in presenza di “strumenti organizzativi” (clausole statutarie o, più spesso, patti parasociali) idonei ad assicurare il funzionamento di un nucleo di controllo stabile da parte di soggetti pubblici, non essendo dunque sufficiente una mera maggioranza aritmetica di partecipazioni pubbliche.

Testualmente afferma:

“nelle società partecipate da più amministrazioni pubbliche il controllo pubblico non sussiste in forza della mera sommatoria dei voti spettanti alle amministrazioni socie; dette società sono a controllo pubblico solo allorquando le amministrazioni socie ne condividano il dominio, perché sono vincolate – in forza di previsioni di legge, statuto o patto parasociale – ad esprimersi all’unanimità, anche attraverso gli amministratori da loro nominati, per l’assunzione delle ‘decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale’”.

Si esclude dunque il controllo di natura meramente fattuale ovvero fondato su meri “comportamenti concludenti”, in quanto si rende necessaria l’esistenza di un apposito atto scritto che vincoli i soci nell’esercizio dei loro diritti di voto.

I ricorsi presentati da AGCM si basavano su tesi affermate dalla Corte dei Conti in sue plurime deliberazioni delle sezioni regionali di controllo e fatte proprie anche dalla sezione delle autonomie, nonché su un orientamento reso dalla struttura del MEF ai sensi dell’art. 15 del Tuspp, come di seguito esaminate.

 

La prassi del MEF sulla nozione di controllo pubblico

Con il primo orientamento del 15/02/2018 la “struttura di monitoraggio e controllo” ha affermato che il “controllo pubblico” previsto dal Tuspp, sussiste, oltre che nel (primo) caso di “controllo monocratico” (o anche “solitario”, ovvero da parte di un unico socio detentore della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria dei soci), anche in altre due situazioni, ovvero quando:

  • i soci pubblici congiuntamente tra loro detengano almeno il 50,01% del capitale sociale ed esercitino congiuntamente tra loro il controllo previsto dall’articolo 2359 c.c., anche a prescindere dall’esistenza di un coordinamento formalizzato tra essi, ovvero attraverso “comportamenti concludenti” (una sorta di “patti parasociali” non scritti), che li portino a comportarsi come un unico socio controllante;
     
  • “in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” (rientra in tale fattispecie anche il caso dell’influenza interdittiva attribuita alla Pubblica Amministrazione, come nell’ipotesi del patto parasociale che attribuisce al socio pubblico un potere di veto).

La struttura di monitoraggio e controllo del MEF, nel suddetto orientamento, ha sostenuto che il legislatore del D.Lgs. 175/2016 abbia inteso la Pubblica Amministrazione come soggetto unitario, a prescindere dal fatto che, nelle singole fattispecie, il controllo di cui all’art. 2359 codice civile, faccia capo ad una singola amministrazione o a più amministrazioni cumulativamente e da qualunque altra circostanza.

L’orientamento in questione è stato impugnato di fronte al Tar del Lazio, congiuntamente, da ben nove società di gestione del servizio di trasporto pubblico locale e dalla relativa associazione di categoria (ASSTRA) in data 13 aprile 2018.

Con sentenza n. 9883 del 14/07/2021, il T.A.R. Lazio, sezione seconda, ha stabilito che l’orientamento del MEF del 15/02/2018 è un atto privo di effetti esterni (al MEF) e pertanto non è vincolante (tanto da essere sostanzialmente assimilabile alle mere circolari ministeriali interpretative), ritenendo conseguentemente inammissibile il ricorso delle ricorrenti in ragione della natura non provvedimentale dell’atto impugnato, che, come tale, non ha prodotto alcun effetto sulle ricorrenti stesse.

La sentenza in questione, pur non entrando “nel merito” delle censure formulate dalle ricorrenti, ha però di fatto annullato la “valenza erga omnes” che l’art. 15, comma 2, del Tuspp sembrava invece aver attribuito agli orientamenti/indicazioni/direttive del MEF in materia di interpretazione e corretta applicazione delle disposizioni dello stesso Tuspp, con la conseguenza che – quanto meno fino ad eventuale diversa statuizione giurisprudenziale – tali atti (evidentemente non solo quello impugnato, ma tutti – sia quelli già elaborati fino ad oggi dal MEF, sia quelli che questo dovesse produrre in futuro) hanno ed avranno valenza esclusivamente per il MEF (come “direttiva comportamentale” per i relativi uffici), ma non anche per soggetti terzi, diversi dal MEF, quali, ad esempio, le società pubbliche e i rispettivi soci pubblici, che pertanto non sono e non saranno tenuti ad attenervisi.

A prescindere da quanto appena evidenziato circa la sua “cogenza”, anche nel contenuto l’orientamento del MEF del 15/02/2018 è apparso ed appare tuttora, comunque, non condivisibile, per diversi motivi, principalmente così sintetizzabili:

  • il D.Lgs. 175/2016 costituisce “norma speciale”, per diversi aspetti derogatoria delle altre disposizioni generali (in particolare di quelle del Codice civile) e, quindi, di “stretta interpretazione”, non suscettibile, viceversa, di interpretazioni estensive-analogiche (come quelle proposte dal M.E.F. ed anche dalla Corte dei Conti, come di seguito indicato);
     
  • l’articolo 15 del TUSPP attribuisce al M.E.F., ragionevolmente (nel rispetto del principio della “gerarchia delle fonti del diritto”), il potere di fornire orientamenti ed indicazioni in materia di applicazione del D.Lgs. 175/2016, non anche interpretazioni “ampliate” e difformi dalla stessa, su aspetti (quali la definizione di “società a controllo pubblico”) già puntualmente e chiaramente definiti dalla norma (questa stessa considerazione vale, analogamente, per la definizione di “partecipazioni indirette” fornita dalla Corte dei Conti, di seguito riportata, e successivamente condivisa anche dal M.E.F., come di seguito indicato).

Entrando poi nel merito si deve rilevare:

  • l’orientamento in questione contrasta apertamente con il precedente orientamento reso dallo stesso M.E.F., in materia di assoggettamento o meno delle società a partecipazione pubblica al c.d. “split payment“: nella categoria delle “società a controllo pubblico congiunto” come ora definita dal M.E.F. rientrerebbero anche diverse società (tra le quali, a titolo esemplificativo, non esaustivo, anche “Rimini Congressi s.r.l.”) che invece lo stesso M.E.F., esprimendosi in materia di loro assoggettamento o meno al c.d. “split payment” (ex D.L. 50/2017), dopo averle inizialmente qualificate come “società a controllo pubblico” (quindi tenute allo split payment), a seguito di apposite motivate indicazioni di segno opposto ricevute dalle stesse società, ha poi riqualificato, sia pure limitatamente ai fini fiscali, come “non a controllo pubblico” (quindi non tenute allo split payment);
     
  • lo stesso D.Lgs.175/2016 all’articolo 21, comma 3, nel disciplinare l’obbligo di riduzione (del 30%) dei compensi degli amministratori di alcune società che abbiano registrato perdite nei tre esercizi precedenti, fa riferimento alle “società a partecipazione di maggioranza, diretta o indiretta, delle pubbliche amministrazioni locali …..” e non alle “società a controllo pubblico” già precedentemente definite dallo stesso decreto all’articolo 2, comma 1, lettera “m”, lasciando chiaramente intendere che le due categorie di società non coincidono tra loro;
     
  • ad oggi non pare sussistere alcun indizio del fatto che il legislatore del Tuspp abbia inteso la Pubblica Amministrazione come soggetto unitario, a prescindere da qualunque circostanza, nemmeno nelle relazioni di accompagnamento sia alla “legge delega” che ha portato poi all’emanazione del D.Lgs.175/2016 (L. 124/2015), sia allo stesso decreto;
     
  • la sola detenzione congiunta della maggioranza (50,01%) del capitale sociale (e quindi dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria) di una società di capitali non implica automaticamente l’“esercizio” (congiunto) dei poteri di controllo (ex art. 2359 codice civile) previsto espressamente dall’articolo 2, lettera “m” del Tuspp per configurare una situazione di “controllo pubblico congiunto”; la “coincidenza” tra la detenzione della maggioranza del capitale (e dei voti) e l’esercizio del potere di controllo potrebbe, eventualmente, verificarsi solamente qualora la suddetta detenzione maggioritaria congiunta del capitale (e dei voti) fosse accompagnata anche da un “patto parasociale” tra i medesimi soci, finalizzato ad orientare e coordinare, in modo vincolante per gli stessi, i rispettivi voti assembleari, in modo da “omogeneizzarli” e “uniformarli”; solo in questo caso potrebbe configurarsi – in termini sostanziali – la “unitarietà/identità soggettiva” delle amministrazioni socie che, invece, non può essere fatta discendere dal mero dato normativo (art. 2 del D.Lgs.175/2016), né da meri “comportamenti concludenti”, come afferma la “struttura di monitoraggio e controllo” del M.E.F.;
     
  • anche l’intera e più recente giurisprudenza amministrativa, con tutte le sette sentenze attualmente esistenti in materia (T.A.R. Veneto, sentenza n. 363 del 05/04/2018, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, sentenza n. 245 del 06/06/2018 e Consiglio di Stato, sentenza n. 578 del 13/12/2018 – tutte relative al medesimo primo caso concreto – T.A.R. Lazio, sentenza n. 5118 del 13/03/2019; T.A.R. Marche, sentenza n. 69 dell’11/11/2019 e T.A.R. Emilia-Romagna, con sentenza n. 858 del 10/12/2020 e con sentenza n. 252 del 23/02/2022, – quest’ultime già citate  ha rilevato come:

 

Un po’ di giurisprudenza amministrativa

A confermare tale orientamento si colloca anche la citata sentenza del TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 28 dicembre 2020, n. 858, già citata, dove il giudice amministrativo ha sostenuto che partecipazione complessivamente maggioritaria, esso non potrebbe, comunque, essere di tipo meramente fattuale (“di fatto”), ovvero fondato su meri “comportamenti concludenti”, ma richiederebbe l’esistenza di apposito patto parasociale scritto, che vincolasse i soci nell’esercizio dei rispettivi diritti di voto (T.A.R. Veneto 2018 e T.A.R. Friuli Venezia Giulia 2018 ed anche T.A.R. Lazio 2019).

Si noti che il primo caso esaminato in primo grado dai due T.A.R. (Veneto e Friuli-Venezia Giulia) e, in appello, dal Consiglio di Stato, sopra indicato, riguardava una società partecipata da numerosi comuni, detentori, congiuntamente, del 90% circa del capitale sociale, che esprimevano, di fatto, orientamenti univoci, deliberando tutti nello stesso modo in seno all’assemblea dei soci della società, cosa che i due T.A.R. citati e il Consiglio di Stato non hanno ugualmente ritenuto sufficiente, in assenza di elementi formali (patti o statuti) e vincolanti, per ritenere sussistente un “controllo congiunto” di tali enti sulla società[1]

In questo senso deve leggersi anche la sentenza del Consiglio di Stato sez. VII del 27/01/2023 che ha tuttavia esaminato il caso di una società totalmente detenuta da un ministero e per la quale era pacifico il riconoscimento del controllo pubblico (in questo caso neppure congiunto)[2]:

  • la detenzione, congiunta, della maggioranza dei voti assembleari non coincida con il “controllo pubblico congiunto”, che richiede, invece, l’effettivo esercizio di una “influenza determinante” (dei soci controllanti) sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della società partecipata (T.A.R. Marche 2019);
     
  • il controllo pubblico congiunto su una società sussiste solo allorquando le amministrazioni socie ne condividano il dominio, perché sono vincolate – in forma di previsioni di legge, statuto o patti parasociali – ad esprimersi all’unanimità per l’assunzione di decisioni finanziarie o strategiche relative all’attività sociale.
    Tali accordi debbono necessariamente rivestire la forma scritta ed essere deliberati dall’organo competente di ciascuna amministrazione (T.A.R. Emilia-Romagna 2020 e 2022).

 

E un po’ di giurisprudenza contabile

Anche l’intera e più recente giurisprudenza contabile, con le uniche quattro sentenze (n. 16/2019 del 20/03/2019, n. 17/2019 del 17/04/2019, la n. 25/2019 del 05/06/2019 e n.1/2020 del 21/01/2020) attualmente esistenti in materia, tutte emesse dalla Corte dei conti, sezioni riunite, in sede giurisdizionale, in speciale composizione, ha rilevato, in modo univoco, come:

  • il Tuspp, pur definendo il “controllo analogo congiunto”, non definisca, viceversa, il “controllo pubblico congiunto” (lo prefigura solamente, di fatto, come una sorta di “estensione” del “controllo pubblico civilistico” – ex art. 2359 codice civile – monocratico/solitario) e
     
  • la sola maggioranza pubblica del capitale sociale, detenuta congiuntamente da diversi enti pubblici, ciascuno dei quali detentore di una quota di minoranza, non sia sufficiente per configurare il “controllo pubblico (congiunto)” di tali enti sulla società, se non accompagnata da accordi formalizzati (e vincolanti) tra i medesimi enti e, comunque, dall’assenza di poteri di voto determinanti (anche in termini impeditivi – di veto) per l’assunzione delle deliberazioni assembleari più importanti (strategiche) in capo ad eventuali soci privati;
     
  • la situazione di controllo da parte di amministrazioni pubbliche non possa essere presunta in presenza di comportamenti univoci e concludenti, ma debba risultare esclusivamente da norme di legge, statutarie o da patti parasociali che, richiedendo il consenso unanime di tutte le pubbliche amministrazioni partecipanti, siano in grado di incidere sulle decisioni finanziarie e strategiche della società; tanto più che “sotto il profilo normativo, nessuna disposizione prevede espressamente che gli enti detentori di partecipazioni debbano provvedere alla gestione delle partecipazioni in modo associato e congiunto: l’interesse pubblico che le stesse sono tenute a perseguire, infatti, non è necessariamente compromesso dall’adozione di differenti scelte gestionali o strategiche che ben possono far capo a ciascun socio pubblico in relazione agli interessi locali di cui sono esponenziali”;
     
  • anche il Consiglio Nazionale del Notariato, in apposito studio (n. 228-2017/I, “Considerazioni in tema di controllo, controllo congiunto e controllo analogo nella disciplina del Tuspp”, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 05/10/2017 e dal CNN il 26-27/10/2017) ha confermato che non sia possibile comprendere nel novero delle “società a controllo pubblico” quelle che, pur interamente partecipate da enti pubblici, presentino, tuttavia, un assetto proprietario e in particolar modo di governo così frammentato e talvolta instabile (in assenza di patti parasociali o di accordi formali) da non consentire l’individuazione di un centro di controllo (quello che la giurisprudenza “commerciale” ha spesso definito come “nucleo stabile di controllo”);
     
  • anche l’“Osservatorio sulla finanza e la contabilità degli enti locali” istituito presso il Ministero dell’interno, con apposito <<atto di indirizzo ex art. 154, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sulla precisazione della definizione di “società a controllo pubblico” ai sensi e per gli effetti di cui al testo unico in materia di società a partecipazione pubblica approvato con decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175>> del 12/07/2019, dopo aver riepilogato, in sintesi, le diverse e contrastanti posizioni espresse dai vari soggetti (struttura di monitoraggio del M.E.F., Corte dei Conti – sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, Corte dei Conti – sezioni riunite in sede di controllo), ha sostanzialmente contestato la presunzione del “controllo pubblico” (congiunto) discendente dalla sola maggioranza pubblica (congiunta) del capitale sociale accompagnata da “fatti concludenti” e, evidenziando l’urgenza di rimuovere l’incertezza qualificatoria sul punto, con un provvedimento legislativo, ha, viceversa, sostenuto che “Allo stato, dunque, il combinato disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. b) e m) del Testo Unico permette di ricondurre una società nel perimetro delle “società a controllo pubblico” allorché:
     

    • una amministrazione pubblica dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria della società, ovvero dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria della società, ovvero esercita un’influenza dominante sulla società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa; ovvero anche quando in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale sia richiesto anche il consenso di tale amministrazione pubblica;
       
    • più amministrazioni pubbliche, in virtù di un coordinamento formalizzato in forza di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, dispongono congiuntamente della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria della società, ovvero dispongono di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria della società, ovvero esercitano un’influenza dominante sulla società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa; ovvero anche quando per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale sia richiesto anche il consenso unanime di tali amministrazioni pubbliche in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali (laddove per consenso unanime si intende l’espressione di una volontà collettiva unitaria, vincolante anche per le amministrazioni che abbiano espresso un dissenso minoritario); sempre che non sussista l’influenza dominante del socio privato, anche unitamente ad alcune o tutte le amministrazioni socie.

 

La definizione di controllo

La definizione di controllo recata dal Tuspp pare perfettamente coerente anche con orientamenti non giurisdizionali, ma comunque qualificati, che non ritengono esistente un controllo congiunto in assenza di formalizzazioni ed in particolare con il principio contabile internazionale (IFRS) n. 11, secondo cui:

“Il controllo congiunto è la condivisione, su base contrattuale, del controllo di un accordo, che esiste unicamente quando per le decisioni relative alle attività rilevanti è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”…

(si noti che queste ultime parole sono esattamente le stesse usate dall’articolo 2, comma 1, lettera b, del Tuspp, quasi a suggerire che il legislatore del Tuspp abbia “copiato” la definizione del principio contabile in questione, modificandola in parte minima – sopprimendo il riferimento alla “condivisione su base contrattuale” – ma comunque determinante, rendendola concretamente inapplicabile);

  • la imprescindibilità (risultante dal chiaro disposto dell’art. 2, comma 1, lett. “b”, secondo periodo del D.Lgs.175/2016) di un accordo/patto avente forma scritta che impegni in modo vincolante tra loro i soci (nell’eventuale loro “controllo congiunto” su una società da essi partecipata) già chiara nel caso di soci privati, è ancora più evidente nel caso di soci pubblici (enti locali), che possono esprimere la propria volontà solo nelle forme (scritte) previste dalla legge, che, peraltro, proprio all’art. 9, comma 5, del D.Lgs.175/2016, prevede che la conclusione, la modificazione e lo scioglimento di patti parasociali siano espressamente deliberati dall’organo consigliare, confermando, quindi, l’impossibilità che gli stessi possano sussistere anche solamente per meri “comportamenti concludenti”;
     
  • anche l’A.N.A.C., al fine dell’individuazione del proprio “campo di azione” (di vigilanza) nelle “materie” della “prevenzione della corruzione” (L.190/2012) e soprattutto della “trasparenza” (D.Lgs.33/2013), a fronte della grande incertezza e difficoltà operativa generata dalla definizione di “società a controllo pubblico” (congiunto) data dall’orientamento M.E.F. sopra indicato e dai successivi discordanti pareri/sentenze sopra richiamati, ha ritenuto di formulare un proprio “parere” in merito, stabilendo, con propria delibera n.859 del 25/09/2019, che, limitatamente ai propri fini (di “vigilanza”), la maggioranza pubblica (complessiva) del capitale sociale sia “indice” (presuntivo) del “controllo pubblico”, fatta salva, da parte della società, la prova contraria, consistente nella dimostrazione della sussistenza di almeno uno dei due fondamentali requisiti “aggiuntivi” ed imprescindibili in tal senso, individuati dalla giurisprudenza contabile, sopra già indicati: mancanza di accordi formalizzati (e vincolanti) tra i soci pubblici (detentori, congiuntamente, della maggioranza del capitale) e/o sussistenza di un potere di voto determinante in capo ad un socio privato.

 

Esiste un orientamento di senso contrario!

Per completezza va anche rilevato che l’unico orientamento” di segno diverso e contrario, rispetto ai dieci univoci e concordanti orientamenti giurisprudenziali attualmente esistenti (sette amministrativi e tre contabili) sopra indicati e a tutte le considerazioni sopra svolte, è quello espresso – non nell’ambito di un giudizio, ma in risposta ad un quesito formulatole dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per l’Umbria – dalla Corte dei Conti, sezioni riunite in sede di controllo, con la delibera n. 11/SSRRCO/QMIG/19 del 20/06/2019, in cui la Corte ha affermato, peraltro senza quasi motivarlo, né argomentarlo, che la semplice maggioranza pubblica (congiunta) del capitale sociale implica l’esistenza del “controllo pubblico” (congiunto), sostenendo addirittura che “nel caso di società a maggioranza o integralmente pubbliche, gli enti pubblici hanno l’obbligo di attuare e formalizzare misure e strumenti coordinati di controllo (mediante stipula di appositi patti parasociali e/o modificando clausole statutarie) atti ad esercitare un’influenza dominante sulla società”, mentre ad oggi, non esiste, invece, alcuna norma di legge che imponga tale obbligo, come espressamente chiarito dalla “Corte dei Conti, sezioni riunite in sede giurisdizionale, in speciale composizione” e già evidenziato ai punti precedenti.

Relativamente alla “cogenza” degli “orientamenti” (e delle “indicazioni/direttive”) della “struttura di monitoraggio e controllo” del M.E.F., anche prescindendo da quanto stabilito dal T.A.R. Lazio, sezione seconda, con la sentenza n. 9883 del 14/07/2021, sopra indicata ed ammettendo, per ipotesi, che essi avessero valenza anche nei confronti di soggetti terzi rispetto al M.E.F., va comunque segnalato che essi – ivi incluso quello del 15/02/2018, qui in discussione – rappresenterebbero, comunque, come indica la loro stessa denominazione, “orientamenti” o “indicazioni”, ovvero atti che non avrebbero carattere vincolante e dai quali sarebbe comunque possibile discostarsi, con “motivazione aggravata” (alias “rafforzata”), come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (tra le tante T.A.R. Lombardia, sez. II, sentenza n.1700 del 23/09/2016), sia pure con riferimento ad altro potere di indirizzo.

 

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NOTE

[1] Il M.E.F., nel “Rapporto sugli esiti della revisione straordinaria delle partecipazioni pubbliche” del maggio 2019, nel quale il M.E.F., dopo aver affermato “(a pagina 54) riporta in merito alla  sentenza del Consiglio di Stato, che:

<<L’orientamento adottato dalla Struttura (quello del 15/02/2018) esclude che da una partecipazione maggioritaria al capitale sociale da parte di più pubbliche amministrazioni possa automaticamente inferirsi la natura di “società a controllo pubblico” e richiede, al contrario, in tale ipotesi la verifica dell’effettivo esercizio, da parte dei soci pubblici, del controllo sulla società>>,

sostiene, però (a pagina 56), usando una “originale” doppia negazione (“non sembra che. …non possa desumersi che…”), che l’affermazione (espressamente contraria alla tesi del M.E.F.) fatta dal Consiglio di Stato nella propria sentenza n. 578/2018 (in sintesi: per assicurare il controllo pubblico “è necessaria la presenza di strumenti negoziali – ad es. patti parasociali – che possano dar modo alle amministrazioni pubbliche di coordinare e dunque rinforzare la loro azione collettiva….”) <<non sembra tuttavia condurre alla conclusione che, pur nel contesto di quote di partecipazione di minima entità (“pulviscolari”, nella definizione del Consiglio di Stato), in presenza di “comportamenti concludenti” riscontrabili in sede di approvazione delle principali delibere assembleari da parte delle amministrazioni socie, non possa desumersi in concreto l’esercizio di una, ancorché discutibile, nelle modalità, forma di controllo pubblico congiunto>>: come se i “comportamenti concludenti” delle pubbliche amministrazioni socie potessero costituire gli “strumenti negoziali” ipotizzati dal Consiglio di Stato!

Con il secondo orientamento sopra indicato, invece, la “Struttura di monitoraggio e controllo” ha definito puntualmente il proprio ruolo, chiarendo quanto segue:

“E’ compito della Struttura verificare la rispondenza dei piani di razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche presentati dalle Amministrazioni ai criteri indicati nel Tuspp, utilizzando le informazioni e i dati raccolti nella banca dati “Partecipazioni”, condivisa con la Corte dei conti. Parallelamente, la Struttura monitora l’effettiva attuazione delle misure di razionalizzazione indicate nei suddetti piani, quali alienazione, fusione, messa in liquidazione della società. Nelle ipotesi di rilevata incongruenza o inadeguatezza delle informazioni presenti nella citata banca dati, questa Struttura potrà anche richiedere, compatibilmente con le esigenze della programmazione definita in base alle Linee Guida per lo svolgimento dell’attività ispettiva dei S.I.Fi.P. l’attivazione da parte del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato dei poteri ispettivi, secondo quanto previsto dall’art. 15, comma 5, del Tuspp.”

[2] Consiglio di Stato sez. VII 27/1/2023 n. 860. In merito ad assoggettamento alle disposizioni in materia di trasparenza ex d.lgs. n. 33/2013 e a quelle in materia di accesso ai documenti amministrativi ex legge n. 241/1990.

Secondo quanto previsto dall’art. 2 comma 1 lett. m) D.lgs. n. 175/2016, richiamato dall’art. 2 bis co. 2 lett. b) D.lgs. n. 33/2013, per “società a controllo pubblico” si intendono “le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”, ossia allorché ricorrano le condizioni di cui all’art. 2359 c.c., potendo il controllo “sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

L’art. 2359 codice civile ritiene controllata la società allorché un’altra società disponga della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (n. 1) o di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (n. 2) o eserciti un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (n. 3).

Nel caso in esame ricorrono i presupposti di cui all’art. 2359 comma 1 n. 1 codice civile poiché le quote societarie della I.T.A. S.p.A. sono attualmente detenute per intero dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che, pertanto, esercita un controllo pieno al punto da giustificare la qualificazione della I.T.A. S.p.A. quale società a controllo pubblico.

Siffatta qualificazione deve essere, chiaramente, valutata allo stato, poiché in relazione alle società può avere incidenza il futuro ed eventuale mutamento della compagine sociale e dei conseguenti assetti societari tra i vari soci (non trattandosi di un ente pubblico contraddistinto da una struttura organizzativa-amministrativa rigidamente definitiva per legge).

Pertanto, sino a quando l’attuale assetto societario non muterà in modo significativo, la I.T.A. S.p.A. dovrà considerarsi società controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e, dunque, sottoposta ad un controllo pubblico e, come tale, tenuta ai sensi dell’art. 2 bis comma 2 lett. b) D.lgs. n. 33/2013 agli obblighi di trasparenza, ivi inclusi, per quanto di interesse in questa sede, quelli previsti dall’art. 16 (“Obblighi di pubblicazione concernenti la dotazione organica e il costo del personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato”), dall’art. 17 (“Obblighi di pubblicazione dei dati relativi al personale non a tempo indeterminato”) e dall’art. 19 (“Bandi di concorso”) secondo cui (co. 2 bis) “I soggetti di cui all’articolo 2-bis assicurano, tramite il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri, la pubblicazione del collegamento ipertestuale dei dati di cui al presente articolo, ai fini dell’accessibilità ai sensi dell’articolo 4, comma 5, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125”.

 

A cura di Roberto Camporesi

Sabato 18 marzo 2023

 

Le Utilities dopo il Decreto di riordino

(D.Lgs. n. 201/2022)

Conversazione sul futuro
in collaborazione con

Public Utilities

Convegno Online in Diretta GRATUITO
 

utilities dopo decreto riordinoIl Decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201 (G.U. del 30 dicembre 2022, n. 304) avente ad oggetto il “Riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, prevede, tra i tanti aspetti, un maggior rigore nei confronti dell’in house providing e molta burocrazia in più sulle spalle degli Enti Locali.

A quasi quattro mesi dalla sua pubblicazione, e dopo le prime letture del testo di legge, a cui Public Utilities ha dedicato una propria sezione speciale, è venuto il momento di riflettere non solo sulle norme ma sulle prospettive del mondo delle Utilities e delle Società Pubbliche.

Quando: Martedì 18/04/2023, ore 14.30 – 17.30
Accreditamento: in fase di accreditamento per Commercialisti (3 CFP). 
Chiusura iscrizioni: ore 13.00 del 18/04/2023, salvo esaurimento posti.

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