Esaminiamo i vari casi in cui le attività degli Enti del Terzo Settore sono considerate non commerciali e le relative caratteristiche: acquisto e perdita di tale qualifica.
Le attività commerciali per gli Enti del Terzo settore
Sono considerate non commerciali (e quindi esenti dall’IRES) le attività:
- di cui all’art. 5, comma 1°, lettera h), del Codice del Terzo Settore vale a dire quelle di ricerca scientifica di particolare interesse sociale, se svolte direttamente da Enti del terzo settore (escluse le imprese sociali e le cooperative sociali) la cui finalità principale è quella di effettuare tali attività e purché tutti gli utili (intesi come avanzi di gestione visto che le società e le imprese individuali non possono essere ETS e le imprese sociali sono escluse) siano interamente reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati e non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati alle capacità di ricerca dell’ente medesimo nonché ai risultati prodotti;
- di cui alla lettera precedente affidate dagli ETS ad università e/o ad altri enti od organismi (fondazioni) di ricerca che le svolgono direttamente in ambiti e secondo modalità definite dal DPR n° 135 del 2003 (3° comma dell’art. 79);[1]
- e di cui all’art. 5, comma 1°, lettere a), b) e c), del CTS vale a dire quelle che realizzano interventi e sevizi sociali, interventi e prestazioni sanitarie o prestazioni socio-sanitarie, se svolte da fondazioni delle ex Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) a condizione che gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di natura sociale, sanitaria o socio-sanitaria e che non sia deliberato alcun compenso a favore degli organi amministrativi.
Le agevolazioni derivanti dalla non com