Integra il reato di riciclaggio anche la semplice condotta di colui che accetta di essere indicato come beneficiario economico di beni che, nella realtà, appartengono a terzi e sono frutto di attività delittuosa, in quanto detta condotta, pur non concretizzandosi nel compimento di atti dispositivi, è comunque idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro.
Il riciclaggio è però un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può consistere anche in una pluralità di distinti atti in sé leciti, realizzati a distanza di tempo l’uno dall’altro, purché unitariamente riconducibili all’obiettivo comune cui sono finalizzati: ossia l’occultamento della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità che ne costituiscono l’oggetto.
In tal caso si configura quindi un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere.
La Corte di Cassazione, Sez. Penale, ha chiarito quali sono i presupposti in presenza dei quali può essere contestato il reato di riciclaggio.
Ipotesi di assorbimento del reato di trasferimento fraudolento di valori in quello di riciclaggio: il caso di Cassazione
Nel caso di specie, la Corte di appello aveva confermato la decisione con la quale il G.U.P. del Tribunale, ad esito del giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di trasferimento fraudolento di valori in concorso (artt. 110 e 512-bis codice penale) e riciclaggio, aggravato dal danno di rilevante gravità (artt. 648-bis e 61, primo comma, n. 7, codice penale).
I giudici di merito, con una “doppia conforme”, avevano ricostruito la vicenda nei seguenti termini:
- il ricorrente aveva aperto, a proprio nome, un conto corrente, delegando il coniuge per le relative operazioni;
- sul conto era stato riversato il denaro provento dei delitti di bancarotta commessi dal coniuge, con il quale erano state periodicamente pagate al venditore, a mezzo di rimesse bancarie, le rate mensili del prezzo di un immobile fittiziamente intestato allo stesso imputato.
L’imputato aveva dunque proposto ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione ed erronea applicazione dell’art. 512-bis codice penale, in relazione all’art. 648-bis codice penale, nonché il difetto di motivazione.
La contestazione del delitto di riciclaggio richiamava la intestazione fittizia, all’imputato e relativo coniuge, di un immobile, cosicché, vista la clausola di riserva inserita nell’art. 512-bis codice penale, secondo il ricorrente, la più grave condotta di riciclaggio avrebbe dovuto assorbire l’altra.
Il G.U.P., tuttavia, aveva superato il rilievo difensivo della unicità e identità della condotta, affermando che la condotta di riciclaggio era iniziata con l’apertura del