Deducibilità contributi e sanzioni INPS per annualità precedenti

Prendendo spunto da un recente interpello che riguarda la deducibilità fiscale di contributi INPS per annualità precedenti, recuperati insieme a sanzioni e interessi, vediamo alcune criticità della posizione rigida del Fisco italiano in tema di recupero delle sanzioni

L’argomento oggetto di una risposta ad interpello riguarda la deducibilità fiscale dei contributi previdenziali INPS relativi ad annualità precedenti, oggetto di recupero da parte dell’INPS.

Il caso: recupero di contributi INPS sanzioni e interessi

Una società aveva ricevuto dall’INPS la richiesta di pagamento dei contributi eccedenti il massimale, sia per la quota a carico dell’azienda sia per la quota a carico del dipendente, e dei relativi sanzioni e interessi.

L’Agenzia delle Entrate ha confermato che le somme che si qualificano come contributi previdenziali rappresentano, per la società, un costo deducibile.

Sulla deducibilità dal reddito d’impresa delle sanzioni INPS

versamenti inps deducibilitàCiononostante, non sono deducibili, per costante orientamento di prassi, le somme versate per sanzioni e interessi moratori comminati per violazioni inerenti i contributi versati; in tal senso, rimanda a quanto detto nella c.m. n. 7/21, a conferma di quanto affermato nella RM 114/09.

L’agenzia continua, nel tentativo di supportare la propria tesi, affermando che anche la giurisprudenza, in tema di determinazione del reddito d’impresa, ha stabilito che in relazione alle “sanzioni derivanti dal compimento di attività illecite, essendo le stesse la conseguenza del comportamento illecito dell’imprenditore, non è possibile considerarle quali costi inerenti ai ricavi conseguiti. Non è configurabile, infatti, neppure in via indiretta, alcun rapporto funzionale tra il costo stesso e i ricavi realizzati”.

Tale rinvio, oltre ad essere poco calzante nella fattispecie (non si può certo parlare di attività illecita, almeno tecnicamente…), non è supportato da alcun riferimento normativo.

L’agenzia delle Entrate si fa forza su quanto affermato dalla Cassazione, per la quale i contributi previdenziali a carico del lavoratore dovuti dall’imprenditore in caso di ritardato o omesso pagamento, integrano un’ipotesi di “sanzione civile” intesa come reazione dell’ordinamento a un comportamento antigiuridico del datore di lavoro, ragion per cui la tesi (errata) dell’Agenzia è che la quota di contributo a carico dei dipendenti che non può costituire oggetto di rivalsa rappresenti per questo un onere indeducibile.

Di più, in totale spregio della normativa, l’Agenzia sostiene che i suddetti oneri risultano indeducibili anche ai fini IRAP, non essendo attinenti (alla luce della loro natura sanzionatoria, appunto) all’attività d’impresa svolta dalla società.

Come si è anticipato, dove il legislatore vuole vietare qualcosa che altrimenti sarebbe permesso, lo fa specificamente.

Nel caso che ci occupa, nessuna norma prevede la indeducibilità di un costo (la sanzione) afferente un costo (i contributi) deducibile. Ma, di più, nessuna norma prevede in senso generale la indeducibilità delle sanzioni. Occorre in sostanza rifarsi al principio di inerenza, che, come confermato da Cassazione, riguarda non i ricavi ma l’attività in genere dell’impresa. E, se si segue questo orientamento – l’unico previsto dalla norma – la tesi dell’agenzia non può che ritenersi infondata.

Ma, nel caso in specie, le affermazioni atecniche (per usare un eufemismo) dell’Agenzia non finiscono qui.

Essa ha poi richiamato il principio di derivazione rafforzata, per effetto del quale, ai fini della determinazione del reddito imponibile, gli elementi reddituali e patrimoniali iscritti sulla base dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili internazionali assumono rilevanza anche ai fini fiscali.

Pertanto, la rappresentazione contabile adottata dalla società (lo stanziamento di un accantonamento non dedotto) assuma rilevanza fiscale. E fin qui, tutto corretto.

Ma l’astrusità sta nel prosieguo: considerato che, nell’esercizio della avvenuta notifica dell’accertamento, gli accantonamenti stanziati sono indeducibili, la deducibilità dei suddetti contributi, per la sola quota riferibile al datore di lavoro, è consentita nel periodo d’imposta in cui è avvenuto il relativo pagamento e, conseguentemente, il relativo fondo è stato utilizzato a copertura delle passività a fronte delle quali era stato stanziato. È evidente l’erroneità di tale ultima affermazione, laddove si ritiene deducibile un costo, nel reddito di impresa, nell’esercizio di cassa invece che in quello di competenza.

Tale esercizio potrebbe certamente coincidere con quello di pagamento, ma non sempre. Nel caso di accantonamento, infatti, esso si trasforma in “costo” divenendo deducibile, nell’esercizio in cui la somma richiesta divenga certa nell’esistenza (ad esempio, in caso di contenzioso, all’atto del passaggio in giudicato della sentenza).

Ancora una volta, si ricorda che il pensiero dell’Amministrazione Finanziaria – contrario a qualunque principio normativo – non può determinare aprioristicamente le scelte del contribuente, ancorchè, come in questo caso, avvalorato dalla prevalente giurisprudenza.

Riferimento di prassi: risposta ad interpello n. 412/2022

A cura di: Danilo Sciuto

Lunedì 8 Agosto 2022

 

 

NDR. In tema di contributi INPS, vedi cha il caso dei contributi previdenziali pagati dai forfettarie poi compensati nel modello LM