Il presente contributo analizza, alla luce di recenti interventi del giudice di legittimità, la nullità della sentenza per carenza di motivazione idonea a sorreggere la decisione del giudice tributario.
In particolare, precisa i profili di censurabilità della cd. motivazione apparente della sentenza pronunciata dalla Commissione Tributaria.
Motivazione apparente e sentenza nulla: l’error in procedendo
La motivazione di rigetto nel merito dell’appello rientra agevolmente nello stigma delle sentenze nulle, in quanto la CTR ha del tutto omesso di indicare gli elementi da cui ha desunto il proprio convincimento, di procedere alla disamina logica e giuridica degli elementi circostanziali posti dall’Ufficio a fondamento della pretesa nonché di quelli contrari addotti dal contribuente, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento.
E’, difatti, principio consolidato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla, perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. [1]
Né giova il rinvio, per relationem[2], alla “completezza argomentativa” della sentenza di prime cure e alle valutazioni fatte dall’Ufficio sulla documentazione probatoria offerta dal contribuente in sede precontenziosa, rinvio che, anzi, aumenta l’inconsistenza motivazionale, essendo principio pacifico che il vizio di omessa o apparente motivazione ricorre anche nel caso in cui il giudice di appello pur manifestando la sua condivisione alla decisione di prime cure, abbia poi mancato di illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame.
Egualmente, la mera adesione acritica all’atto di accertamento impugnato, senza indicazione, né della tesi in esso sostenuta, né delle ragioni di condivisione, è affetta da nullità, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, codice procedura civile, in quanto corredata da motivazione solo apparente.
Tali principi sono stati precisati dalla Corte di Cassazione.
Il caso di Cassazione: sentenza nulla per carenza di motivazione
Con il ricorso in cassazione un contribuente ha denunciato la nullità della sentenza del giudice del gravame per carenza[3] di motivazione idonea a sorreggere la decisione di rigetto dell’appello.
Il vizio dedotto ha riguardato anche a quella parte della motivazione della sentenza impugnata che concerneva il merito della controversia.
La pronuncia della Cassazione
Gli Ermellini, con la pronuncia citata, hanno precisato che la motivazione resa dai secondi giudici sulle questioni preliminari è idonea a superare il tetto del cd. minimo costituzionale, essendo in tale parte indicate, seppur succintamente, le ragioni per le quali i secondi giudici hanno ritenuto che l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione fosse adeguatamente motivato e che non fossero applicabili retroattivamente i nuovi coefficienti per la determinazione del reddito sintetico di cui al d.l. 31/05/2010 n. 7.
Viceversa, la motivazione di rigetto nel merito dell’appello rientra agevolmente nello stigma delle sentenze nulle per cd. motivazione apparente (impossibilità di percepire il fondamento della decisione ovvero argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento)
Motivazione sentenza
L’articolo 111 della Costituzione così recita: «Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati».[4]
La sentenza rappresenta il momento in cui la tutela giurisdizionale assume la sua massima espressione; essa è il risultato giurisdizionale in merito alla controversia.
La parte motiva della sentenza esprime il ragionamento che il giudice effettua per applicare la legge (rectius: rappresenta l’iter logico seguito dal giudice per arrivare alla decisione), si prefigge di rendere più penetrante il sindacato del provvedimento, in caso d’impugnazione, e costituisce un requisito richiesto dall’articolo 36 del D.lg. 546/92, che ricalca sostanzialmente la corrispondente norma del c.p.c. (art. 132).
Motivazione apparente
Si ha carenza[5] di motivazione, nella sua duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, soltanto quando il giudice omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un’approfondita disamina logica e giuridica.[6]
Si ha motivazione insufficiente nell’ipotesi di obiettiva deficienza del criterio