Il pagamento anticipato, in tutto o in parte, del corrispettivo, integra il momento di effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, vale a dire quelle che soddisfano i presupposti oggettivo, soggettivo e territoriale?
Tale evento, cioè il pagamento anticipato, totale o parziale, del prezzo, assume rilevanza “sostanziale”, in quanto idoneo, di per sé, ad integrare il momento impositivo e, quindi, anche l’esigibilità dell’imposta?
Gli effetti della deroga anticipativa prevista si riverberano sulla posizione del cessionario/committente e, dunque, sulla detrazione dell’imposta?
È possibile annullare la detrazione per le fatture anticipate, redatte per il pagamento di un acconto concernente la cessione di beni, mediante emissioni di note di credito nel caso in cui sia stata effettuata successivamente la fatturazione per l’intera ed effettiva fornitura (cd. doppia fatturazione)?
L’avvenuta registrazione delle note di credito, per la quota parte corrispondente a quella indicata nelle fatture anticipate, è idonea a neutralizzare la detrazione in precedenza operata?
Un recente intervento del giudice di legittimità, la recente prassi dell’Agenzia delle Entrate nonché l’art. 18 del DL 73/2021 (c.d. decreto “Sostegni-bis”), che ha modificato l’impianto normativo per l’emissione delle note di variazione IVA derivanti dalle procedure concorsuali avviate a decorrere dal 26 maggio 2021 (data di entrata in vigore del decreto), hanno fornito una serie di chiarimenti circa la rilevanza sostanziale dei pagamenti in acconto, ai fini IVA.
Fatto generatore dell’Iva: esigibilità per adempimento anticipato o anticipata fatturazione e legittimità della detrazione dell’imposta recata da fatture anticipate
Il fatto generatore dell’iva di norma coincide con l’esigibilità, ma ne rimane ontologicamente distinto, giacché esso in realtà s’identifica col materiale espletamento dell’operazione.
È quindi questo a determinare l’insorgenza del presupposto impositivo e, quindi, la rilevanza fiscale dell’attività ai fini dell’Iva.
Ai fini della valutazione di rilevanza dell’adempimento anticipato o dell’anticipata fatturazione, l’art. 10, paragrafo 2, n. 2, della sesta direttiva (corrispondente all’art. 65 della direttiva n. 2006/112, nonché, nell’ordinamento interno[1], all’art. 6, comma 4, del d.P.R. n. 633/72), si discosta dall’ordine cronologico consueto, là dove prevede che, nel caso di versamento di un acconto [2] o di fatturazione anticipata, l’Iva diventa esigibile senza che la cessione o la prestazione siano state ancora eseguite.[3]
Ciò in quanto nel caso di anticipato pagamento (come in quello di anticipata fatturazione dell’acquisto), il contenuto economico dell’operazione si considera già – in tutto o in parte – realizzato, dando vita al presupposto fiscalmente sufficiente per la sua imponibilità, sia pure limitatamente all’importo pagato o fatturato,[4] purché tutti gli elementi rilevanti della futura operazione siano noti al committente/acquirente e l’operazione nel momento dell’acconto o della fatturazione anticipata sembri certa (Cass. 22 maggio 2015, n. 10606; 29 gennaio 2020, n. 1961; 30 dicembre 2020, n. 29859; Corte giust. 31 maggio 2018, cause C-660 e 661/16).[5]
Ricorrendo questi presupposti, è legittima la detrazione dell’imposta recata da fatture anticipate.
In tal caso, l’ acquirente non può detrarre nuovamente l’imposta, perché già detratta, recata dalle fatture successive all’esecuzione delle cessioni e delle prestazioni di servizi, per la quota parte corrispondente a quella indicata nelle fatture anticipate.
Non si possono assoggettare a IVA gli acconti versati per cessioni di beni o prestazioni di servizi non ancora chiaramente individuate.
In pratica, per l’anticipazione dell’esigibilità e, secondo la disciplina domestica, anche del momento impositivo, è necessario che tutti gli elementi idonei a qualificare l’operazione (rectius, la futura operazione) siano già conosciuti.
Insomma, i beni/servizi per i quali è pagato un acconto devono essere individuati con precisione e non in modo generico.
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Detrazione negata: carattere fraudolento dell’operazione
La detrazione può essere negata soltanto nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria sia in grado di dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che il cessionario sapesse o dovesse sapere di partecipare, con l’acquisto, ad una evasione realizzata dal cedente o da altro operatore intervenuto nella catena delle operazioni.
Il carattere fraudolento dell’operazione rappresenta, pertanto, il limite alla detraibilità dell’imposta pagata sull’acconto, nel senso che la mancata esecuzione finale della cessione non è idonea a precludere la detrazione se non imputabile all’intento elusivo o evasivo conosciuto o conoscibile, secondo l’ordinaria diligenza, dal cessionario.
Incombe alle autorità fiscali competenti dimostrare in termini giuridicamente sufficienti il ricorrere degli elementi oggettivi che comprovano l’esistenza di un’evasione o di un abuso.
Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le autorità fiscali interessate abbiano dimostrato l’esistenza di siffatti elementi oggettivi.
Con la sentenza n. 4618/2014 la Suprema Corte ha ritenuto indetraibile l’IVA versata dal promittente acquirente al promittente venditore per il pagamento anticipato del corrispettivo relativo alla compravendita di un bene immobile, laddove la mancata stipula del contratto sia dovuta all’intento fraudolento perseguito dalle parti. [6]
Il diritto alla detrazione dell’Iva nasce quando l’imposta diventa esigibile, ossia all’atto della cessione del bene o della prestazione del servizio, mentre non basta la semplice menzione in fattura (Cassazione ordinanza n. 28263, dell’11 dicembre 2020).
Il diritto alla detrazione nasce quando l’imposta detraibile diventa esigibile, ossia all’atto della cessione di beni e della prestazione di servizi.
Da ciò consegue che il diritto a detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, con l’ulteriore effetto che, in difetto della cessione effettiva dei beni ovvero della prestazione dei servizi, un siffatto diritto non può sorgere, non essendo sufficiente che di essa sia fatta menzione nella relativa fattura.
Ne deriva che il diritto alla detrazione è subordinato alla condizione che le operazioni corrispondenti siano state effettivamente realizzate, non ostandovi il principio della neutralità fiscale, il quale, costituendo la traduzione del principio generale della parità di trattamento, consente un trattamento differenziato degli operatori economici in assenza di operazioni imponibili rispetto a quelli che hanno posto in essere un’operazione imponibile effettivamente realizzata, indipendentemente dagli scopi e dai risultati della stessa, senza che l’amministrazione finanziaria sia obbligata a procedere a indagini dirette o ad accertare la volontà del soggetto passivo, o a tener conto dell’intenzione di un operatore, diverso dal soggetto passivo, che intervenga nella stessa catena di cessioni.
Annullamento delle fatture anticipate ovvero della corrispondente detrazione iva mediante emissione di note di credito
L’avvenuta registrazione delle note di credito[7] è idonea a neutralizzare la detrazione in precedenza operata. In effetti, in virtù della registrazione si evidenzia un debito [8]pari alla detrazione, e per conseguenza si esplicita di non aver diritto ad essa (Cassazione 11 dicembre 2013, n. 27698; 16 novembre 2020, n. 25896)[9].
Il meccanismo della variazione dell’imponibile è parte integrante del sistema di detrazione dell’iva, perché mira ad aumentare la precisione delle detrazioni, così da assicurare la neutralità dell’iva, in modo che le operazioni effettuate allo stadio anteriore continuino ad originare il diritto di detrazione soltanto nei limiti in cui esse servano a fornire prestazioni soggette a tale imposta.
Tale meccanismo persegue, quindi, l’obiettivo di stabilire una relazione stretta e diretta tra il diritto alla detrazione dell’iva pagata a monte e l’impiego dei beni o dei servizi di cui trattasi per operazioni soggette ad imposta a valle (Corte giust. 13 marzo 2014, causa C-107/13, FIRIN OOD, punto 50).
La Cassazione sostiene che, il contribuente, registrando le note di credito ricevute, annulla gli effetti della detrazione in precedenza operata per le fatture anticipate ovvero annulla il vantaggio conseguito con la detrazione dell’intero.
Anche senza variazione in diminuzione, la cartella per l’IVA non più dovuta a causa del fallimento è illegittima
Con la sentenza n. 25896, depositata il 16 novembre 2020[10], la Corte di Cassazione ha precisato che in tema di IVA, è illegittima la pretesa del fisco di ottenere l‘imposta dal cedente o dal prestatore che non abbia fatto ricorso al meccanismo della variazione della base imponibile per mancato pagamento, a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, qualora questo meccanismo sia stato utilizzato dal cessionario o committente, e sia stato eliminato in tempo utile il rischio di perdita di gettito per l’erario.
Anche senza variazione in diminuzione, la cartella per l’IVA non più dovuta a causa del fallimento è illegittima.
La procedura di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, di cui all’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, non presuppone la certezza dell’irrecuperabilità del credito derivante dall’infruttuosità della procedura concorsuale.
Il riconoscimento del diritto all’emissione della nota di variazione e, conseguentemente, della detrazione dell’IVA può avvenire ogniqualvolta il cedente/prestatore ravvisi “con ragionevole certezza” che il credito non potrà essere incassato, giustific