Scopo del presente contributo è quello di fornire un utile strumento di lavoro, teorico e pratico, indispensabile per adottare una corretta strategia processuale ovvero una efficace linea difensiva in tema di divieto di ius novorum,
Non è consentito al contribuente di prospettare con l’atto di appello motivi non proposti nei precedenti gradi di giudizio ovvero nuove ragioni implicanti valutazioni di fatti e situazioni precedentemente non dedotti.
I motivi di doglianza eccepiti dal ricorrente nell’atto di parte introduttivo costituiscono motivo di annullamento dell’atto impositivo con conseguente inammissibilità di un eventuale mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato davanti al giudice di secondo grado.
Il giudizio tributario è limitato alla verifica della legittimità della pretesa avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e in diritto in esso indicati, ed ha un oggetto delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, sicché le parti non possono proporre nuove eccezioni nel giudizio di appello, ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Tale divieto concerne, tuttavia, esclusivamente le eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono, invece, sempre deducibili.
Nel giudizio di appello non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio (art. 57, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992).
Divieto di Ius novorum: eccezioni in senso stretto
Per eccezioni in senso stretto devono intendersi quelle attraverso le quali il contribuente fa valere, con i motivi di ricorso, un fatto giuridico avente efficacia modificativa, impeditiva o estintiva della pretesa fiscale, non potendo essere considerate tali le eccezioni improprie, o mere difese, che sono quelle dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, ovvero, specularmente, quelle volte alla mera contestazione delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato con il ricorso introduttivo, alle quali rimane circoscritta l’indagine rimessa al giudice di merito.
La categoria dell’eccezione in senso stretto ricomprende tutti i vizi d’invalidità dell’atto impositivo per difetto di elementi formali essenziali, incompetenza o violazione di norme sul procedimento, mentre solo la contestazione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria si risolve in una mera difesa, estranea al divieto di cui all’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Non è consentito al contribuente di prospettare con l’atto di appello motivi non proposti nei precedenti gradi di giudizio ovvero nuove ragioni implicanti valutazioni di fatti e situazioni precedentemente non dedotti.
I motivi di doglianza eccepiti dal ricorrente nell’atto di parte introduttivo costituiscono motivo di annullamento dell’atto impositivo con conseguente inammissibilità di un eventuale mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato davanti al giudice di secondo grado.
Il divieto dello ius novorum[1] si estende alle eccezioni nuove (Cassazione ordinanza 21 aprile 2021, n. 10469); peraltro, oggetto della preclusione in esame sono le eccezioni in senso proprio ossia quelle che la Commissione tributaria regionale può esaminare se non a istanza di parte.
L’eccezione di merito o processuale in senso stretto che non abbia formato oggetto d’esame della Commissione tributaria provinciale in quanto non proposta, è inammissibile in sede d’appello (es. la prescrizione del credito del contribuente è un’eccezione di merito che non trova ingresso nel processo d’appello se non è stata oggetto di proposizione da parte dell’Ufficio in primo grado).
Le c.d. eccezioni in senso proprio si distinguono in eccezioni proprie processuali (o di rito) ed eccezioni proprie sostanziali (o di merito).
Eccezioni processuali o di merito in senso largo o eccezione in senso improprio
Le eccezioni processuali o di merito in senso largo (es. difetto di giurisdizione) possono essere prospettate come motivi di gravame, anche se non sono state proposte in primo grado, poiché trattasi di eccezioni rilevabili d’ufficio[2] in ogni stato e grado del processo.
Sono ritenute eccezioni in senso improprio, la cui proponibilità è quindi ammissibile per la prima volta anche in appello:
- l’eccezione diretta a far dichiarare l’inesistenza del diritto azionato da controparte;
- la deduzione di difese dirette a contestare l’esistenza del fatto costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio;
- ogni questione di interpretazione e applicazione della legge;
- la questione di legittimità costituzionale di una norma;
- la deduzione di avere già corrisposto le somme pretese dall’Ufficio impositore;
- contestazione del valore probatorio dei mezzi istruttori esperiti in primo grado;
- le critiche alle risultanze di una consulenza tecnica espletata in primo grado.
Il divieto dello ius novorum è solo tendenziale poiché occorre ammettere temperamenti; infatti, sono ammesse nel giudizio di secondo grado le eccezioni comunque attinenti alla fase d’appello come l’inammissibilità o improcedibilità dell’appello.
Il divieto di eccezioni nuove non opera nei confronti delle eccezioni (processuali o sostanziali) rilevabili d’ufficio, le quali quindi possono essere in ogni caso sottoposte alla cognizione del giudice d’appello.
Le eccezioni processuali sono in genere sempre rilevabili d’ufficio: si pensi all’eccezione sulle questioni pregiudiziali di rito, sulle cause di inammissibilità dovute ad irregolarità procedurali nella costituzione della medesima fase d’appello, sull’eventuale estinzione del processo per le varie cause previste dalla legge.
Le suddette eccezioni processuali potranno quindi essere dedotte dalle parti per la prima volta in sede di appello purché le stesse non siano incorse in specifiche preclusioni stabilite per esse dalla legge processuale tributaria.
Nel novero delle eccezioni proprie sostanziali, sono eccezioni rilevabili d’ufficio: l’eccezione di decadenza, quando essa rilevi come causa di improponibilità dell’azione.
L’eccezione di decadenza è rilevabile d’ufficio[3] solo se è stabilita a favore dell’amministrazione, mentre se l’eccezione è stabilita in favore del contribuente, essa è sollevabile solo da quest’ultimo.
Sono considerate eccezioni sostanziali sollevabili solo su istanza di parte e, dunque, inammissibili se dedotte per la prima volta in appello, l’eccezione di:
- compensazione[4];
- prescrizione estintiva;
- rinuncia al diritto;
- sussistenza di atti interruttivi della prescrizione;l’eccezione di difetto di titolarità passiva del diritto fatto valere in giudizio.
Il giudicato esterno non richiede l’uso di formule sacramentali, ma postula solo una manifestazione di volonta’ che indichi in modo inequivocabile l’intento di invocarne gli effetti.
In quanto assimilabile agli elementi normativi, il suo accertamento mira ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, è ed effettuabile anche d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo, in quanto corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilita’ della decisione (Cassazione n. 15159 del 16 luglio 2020).
Nuove argomentazioni difensive in appello
Le argomentazioni con le quali l’ufficio nega la sussistenza dei fatti rivendicati (o la qualificazione a essi attribuita) dal contribuente costituiscono mere difese.[5]
Il divieto di proporre nuove eccezione non impedisce di presentare nuove argomentazioni difensive in appello. [6]
Il divieto di nuove eccezioni in appello si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprio, rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non pu